Dalla letteratura
In collaborazione con l’Associazione Alessandro Liberati – Network Italiano Cochrane
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L’iceberg dei dati sommersi: quali problemi per i ricercatori e i decisori?



La prospettiva proposta da Tom Jefferson sul tema della ricerca trasparente in occasione della Riunione Annuale 2013 dell’Associazione Alessandro Liberati – Network Italiano Cochrane è quella di un revisore Cochrane. L’obiettivo è di riflettere sul futuro delle revisioni sistematiche basate su dati di natura regolatoria e sulle possibili implicazioni che questo cambiamento del paradigma della ricerca dell’evidenza comporta.
Perché è necessario questo cambiamento di paradigma? Perché fare una ricerca più o meno accurata ed esaustiva partendo solo dai dati pubblicati porterebbe sempre agli stessi risultati, tanta è la pervasività dei messaggi commerciali. L’aspetto fondamentale da considerare è quello del reporting bias (di cui il forse più noto publication bias costituisce solo un aspetto): quello che i revisori “vedono” è solo una piccola parte rispetto a quello che “non vedono”. Quello che non vedono sono le migliaia di pagine che compongono il Clinical Study Report (CSR), del quale fanno parte anche le cartelle cliniche, i memorandum, la corrispondenza, i documenti organizzativi e, soprattutto, i dati individuali di tutti i pazienti arruolati nello studio (IPD): informazioni preziosissime alle quali hanno accesso solo i regolatori e in certi casi solo i ricercatori delle aziende farmaceutiche. Queste migliaia di pagine di informazioni devono necessariamente essere sottoposte a un grande lavoro di compressione per poter essere pubblicate nelle 8-16 pagine di un articolo di una rivista scientifica: evitare il bias è quindi molto difficile soprattutto quando le decisioni su cosa pubblicare o no sono invisibili.
Che livello di dettaglio si perde senza accesso al CSR? Per rispondere con un esempio pratico, Jefferson si rifà al trial di fase 4 con Tamiflu eseguito su volontari, che ha un CSR di 8545 pagine e una pubblicazione – avvenuta 10 anni dopo la conclusione del trial – di 7 pagine sul Journal of Antimicrobial Chemotherapy. Alle pagine 422 e 423 del CSR si trovano i certificati di analisi che riportano tutte le caratteristiche delle capsule che contengono il principio attivo e il placebo utilizzate nel trial. Cosa si scopre? Che quelle capsule, considerate nella pubblicazione completamente uguali e confrontabili, in realtà non lo erano perché le capsule del placebo avevano un colore diverso rispetto a quelle del principio attivo. La possibilità di accedere al CSR ha quindi permesso di scoprire che la pubblicazione di quel trial presentava delle informazioni che non corrispondevano al CSR e che all’interno dello stesso CSR c’era una descrizione inaccurata del placebo e non coerente con i certificati di analisi ( http://attentiallebufale.it/informazione-scientifica/don-ferrante-e-la-rivoluzione-dellopen-knowledge/; Cochrane Database of Systematic Reviews 2012; (1): CD008965).
Cosa comporta fare le revisioni Cochrane utilizzando solo il materiale regolatorio? Sicuramente uno sforzo enorme da parte dei ricercatori Cochrane. Solo per ricostruire il programma di trial del Tamiflu e del Relenza un solo ricercatore impiegherebbe 6 mesi. Da questi sforzi è nato però l’aggiornamento di una revisione Cochrane sugli inibitori della neuraminidasi iniziata nel 1998, che è la prima revisione Cochrane esclusivamente basata su informazioni regolatorie. A breve ne sarà pubblicata anche la versione integrale, basata su 77 trial o studi sul Tamiflu e 30 studi sul Relenza, che manderà definitivamente in pensione la revisione Cochrane sugli inibitori della neuraminidasi pubblicata nel 2006, da considerarsi ormai inaffidabile perché aveva incluso una metanalisi con 10 trial, di cui ben 8 non pubblicati.
Restoring Invisible and Abandoned Trials (RIAT)



Peter Doshi, da poco associate editor al BMJ, con l’incarico di seguire il giornalismo di inchiesta, ha presentato alla Riunione Annuale 2013 dell’Associazione Alessando Liberati, Network italiano Cochrane) l’iniziativa RIAT (Restoring Invisible and Abandoned Trials). Un’iniziativa che è l’ultima tappa di un percorso iniziato almeno dal 1990 con l’articolo di Iain Chalmers sul JAMA (JAMA 1990; 263: 1405-8). La consapevolezza della necessità che tutti i risultati di tutti i trial clinici siano accessibili a tutti è finalmente uscita dai recinti della discussione accademica per arrivare, per esempio, sulle colonne del New York Times con l’articolo “Breaking the seal of drug research” (http://www.nytimes.com/2013/06/30/business/breaking-the-seal-on-drug-research. html?ref=rocheholdingag&_r=2&).
Essenzialmente la richiesta di dati, ha spiegato Doshi, risponde a due problemi fondamentali: la mancanza dei dati stessi, dunque invisibilità; la presentazione distorta dei trial, sulla base dei soli dati pubblicati.
Doshi ha invitato il pubblico a soffermarsi sulle dichiarazioni e domande indirizzate alla comunità scientifica dalla direttrice del BMJ, Fiona Godlee:
• perché i dati degli studi clinici non sono normalmente disponibili per analisi indipendenti dopo che un ente regolatorio ha preso una decisione?
• come è stato possibile consentire alle aziende farmaceutiche di valutare i propri prodotti e tenere segrete grandi e sconosciute quantità di dati perfino agli enti regolatori?
• è necessario incoraggiare in futuro la pubblicazione non distorta dei risultati dei trial clinici, trattando le distorsioni deliberate nel riportare i dati come una forma di frode scientifica;
i dati individuali dei pazienti di tutti gli studi sui farmaci dovrebbero essere facilmente accessibili per una verifica scientifica.

Grazie all’iniziativa RIAT e grazie alla revisione degli studi clinici sulla base dei dati completi, avremo anche una EBM migliore: il suo fondamento infatti sono le evidenze, che ora sono in parte condizionate dal marketing e dalla presentazione distorta dei dati. Si tratta di una impresa che, infine, potrebbe essere determinante per dare una nuova credibilità alla ricerca scientifica.