Medicina e letteratura: un’antologia




Poteva andarmi peggio
Venerdì scorso ho avuto il primo esame del sangue di controllo, e sono stato visitato da uno dei medici più noti del Day Hospital, il dottor Lemoli. Ha riscontrato un calo di numero dei globuli bianchi, inevitabile sotto la chemio. Sono quindi esposto, a causa dell’indebolimento del sistema immunitario, alle malattie contagiose tipiche dei periodi freddi. Reagisco standomene in casa, a leggere, scrivere e dormire davanti alla tv. Per alcuni mesi non potrò fare viaggi lunghi (in aprile dovrò rinunciare a tornare a Puerto Escondido), ma pazienza. Poteva andarmi peggio. Le mie probabilità di guarigione sono valutate attorno al settanta per cento. Mercanteggiai con un medico, il dottor Stefoni: «Settanta per cento? Non si potrebbe fare di più?». Si mise a ridere: «No, ma stia tranquillo».
In effetti ero tranquillo. Lui guardò la mia cartella e mi esortò a non fumare. Gli risposi: «Vorrei morire felice», e gli ricordai l’ultima sigaretta per i condannati a morte. Mi disse: «Il nostro obiettivo è che lei non muoia». Aveva ragione, tuttavia dal momento che su di me incombeva la minaccia di essere nel trenta per cento, volevo fumare quanto mi pareva. Non vedevo nulla di più triste che una morte triste, senza trasgressioni o piaceri, anche se piccoli piccoli. Se fossi ricaduto nella quota dei condannati, sarei stato perfettamente sereno. Di qualcosa bisogna pur morire.
Un ultimo dettaglio. I medici mi suggerirono di bere almeno due litri d’acqua al giorno, per fare tanta pipì. Chiesi, scherzando, se anche la birra andava bene. Erano forse distratti. Mi risposero: «Certamente!». Li presi in parola. Cominciai a bere due litri di birra al giorno. Orinavo a volontà.
Quella della birra è, chiaramente, una terapia poco consigliabile. Ma come si fa a ingurgitare un paio di litri d’acqua al giorno, quando fa ancora freddo? Ho scelto consapevolmente la birra, pur pagandone il prezzo con una diuresi fin troppo abbondante. Controindicazioni: diarrea frequente, se la birra contiene troppo gas. Letargia in orari inaspettati. Vantaggi: lieve stato euforico permanente, che fa scordare di avere una malattia mortale. Se me la caverò, scriverò un trattatello sul tema.

Trovo paradossale la mia situazione. Ho avuto salva la vita, per ora, ma non la qualità della vita. Perché non sono stato messo in guardia? Il mio medico di base – a parte scambiarmi con Bukowski – è molto lucido in merito. Si va per specializzazioni. Una volta dimessomi dal Day Hospital con successo, gli oncologi-ematologi ritengono esaurito il loro compito. La palla passa ad altri colleghi. Dovranno essere loro a provvedere alle cure per riparare le conseguenze delle cure originarie.
Probabilmente ha ragione, ma io, scettico per indole, ho una visione differente. Della genesi del cancro nessuno ha una teoria precisa (neanche coloro che la ritengono genetica), per cui la ricerca avanza per sperimentazioni, ancora in corso mentre si è in cura. Per esempio, i farmaci che terminano con il suffisso -ab, come il mio rituximab, sono ancora in fase di prova. Il primo a dirmelo fu Vittorio Curtoni, e constatai che era vero. Si è un pochino cavie, le ricadute degli interventi a livello chimico non sono del tutto prevedibili, le conseguenze restano incerte e non programmabili. Ok, si tira avanti come si può. Gli specialisti fanno del loro meglio, ma nessuno ha una soluzione miracolosa. Né io la pretendo. Sono un po’ zoppo eppure vivo. Cos’altro dovrei esigere?
A essere onesti mi manca principalmente la possibilità di viaggiare, se non con la fantasia. Quella, il linfoma non l’ha sfiorata.


Da: Day hospital
di Valerio Evangelisti
Firenze: Giunti, 2013