Avastin-Lucentis: off-label e dintorni
Andrea Messori1
E-mail: andrea.messori.it@gmail.com


Avastin-Lucentis: off-label and surroundings.

Summary. In Italy, the debate on the off-label use of intravitreal bevacizumab in patients with age-related macular degeneration (AMD) has attracted a very wide coverage by the media. Our national regulation on the off-label uses of pharmacological agents was initially issued in 1999 to handle the case of the so-called “Di Bella therapy” in patients with cancer. Some changes to this regulation have been made thereafter, and the most recent law currently prohibits the use of off-label agents in cases where approved medicines are available. Bevacizumab and ranibizumab are thought to be equi-effective, and also their safety profiles are similar. Since the cost per intravitreal injection is much lower for off-label bevacizumab than for ranibizumab, in our National Health System the criterion of economic savings, that favours bevacizumab, conflicts with the criterion set by the current regulation that instead favours ranibizumab. Therefore, a lively debate has been started and is still ongoing to establish how the present regulation in this area can be revised. In devising the new regulation on this issue, one point deserving consideration is that the case of bevacizumab vs ranibizumab in patients with AMD is very atypical in the current scenario of in-hospital drug treatments. Hence, the new regulation should be tailored to the therapeutic needs of all patients likely to receive an off-label treatment for any clinical indication rather than to the specific case of intravitreal treatments for patients with AMD.
Introduzione
In Italia, il caso Avastin-Lucentis1 sta assumendo un rilievo mediatico di portata nazionale2,3. Oltre ai quesiti specifici che questa controversia solleva, ancor più importanti appaiono le tematiche di carattere generale che vengono coinvolte, soprattutto in rapporto alle differenti ipotesi di soluzione finora proposte.
Avendo premesso che i quesiti giuridici vanno ovviamente lasciati a chi di competenza, se ci poniamo nella prospettiva di chi opera nel Sistema Sanitario Nazionale (SSN) e, in particolare, negli ospedali, il caso Avastin-Lucentis merita una serie di approfondimenti che comprendono, da un lato, alcuni aspetti pragmatico-operativi riguardanti le eventuali modalità d’uso del farmaco nei pazienti con degenerazione maculare senile (DMS) e, dall’altro, la questione-base rappresentata dai criteri generali di determinazione del prezzo dei farmaci.
Modalità della disponibilità (eventuale) di bevacizumab per uso off-label intravitreale
Il dibattito su questo punto si è sviluppato fin troppo dettagliatamente. C’è addirittura un decreto già emanato, e tuttora in corso di conversione in legge4, per il quale è facile prevedere che verranno proposti ulteriori e sostanziali emendamenti. Il decreto si occupa in dettaglio del rapporto che dovrebbe instaurarsi tra SSN e produttore di Avastin (ossia Roche) e ipotizza una prima situazione in cui Roche ceda i diritti per l’uso intravitreale al SSN, una seconda situazione in cui Roche collabori con il SSN allo scopo di inserire l’indicazione intravitreale nella scheda tecnica e una terza situazione in cui invece Roche si opponga a qualunque ipotesi di uso intravitreale. Purtroppo, scomporre il problema nei termini di cui sopra complica una questione già di per sé molto complessa. Proviamo, perciò, a ricominciare dall’inizio.
Il punto di partenza, che deve necessariamente riguardare le evidenze di efficacia e sicurezza, vede sostanzialmente allineati tutti gli interlocutori. Citiamo: comunità scientifica, ricercatori, Ministero della Salute, AIFA, Società Oftalmologica Italiana, commentatori di varia origine; per finire, aggiungiamo l’European Medicines Agency (EMA) pur con un certo disallineamento di quest’ultima sulla questione della sicurezza. L’allineamento è che ranibizumab on-label (Lucentis) e bevacizumab off-label danno le stesse garanzie di risultato clinico. A questa coppia di vincitori a pari merito si deve aggiungere aflibercept intravitreale (Eylea, perfettamente on-label sia in Italia sia all’estero). Posto che abbiamo una terna di farmaci equivalenti, il problema è che uno di questi (bevacizumab intravitreale) è off-label e, come appare evidente, il suo produttore non ha alcuna voglia di registrarne l’indicazione. Come è noto, l’altro elemento fondamentale (spiegato più avanti in maggior dettaglio) è che bevacizumab intravitreale costa molto meno rispetto a Lucentis ed Eylea e perciò il nostro SSN è comprensibilmente attratto dal beneficio economico che si genera se gli oculisti preferiscono bevacizumab.
È davvero così difficile riuscire a usare bevacizumab intravitreale? La risposta migliore, o comunque quella più utile e costruttiva, va ricercata in base al presupposto che Roche non abbia alcuna intenzione di chiedere l’indicazione. Se si assume questa non intenzione di Roche e si presuppone altresì che Avastin oncologico resti presente sul mercato italiano nella sua attuale formulazione, il SSN ha una sola strada per rendere il bevacizumab intravitreale disponibile negli ospedali, e cioè: sancire la legittimità dell’uso off-label (realizzando questa legittimità a prescindere dal consenso di Roche) e sperare che si mantenga questa fortunata combinazione di circostanze favorevoli che consente di trattare un paziente con la DMS, spendendo 20 euro a iniezione anziché 700.
Perché questa seconda considerazione riguardante l’obbligo di “sperare”? Un elemento che solo pochi finora hanno adeguatamente sottolineato è costituito dall’eccezionalità del caso del bevacizumab intravitreale. Come primo elemento di eccezionalità, un farmaco già largamente usato in oncologia per via endovenosa (alla dose di diverse centinaia di milligrammi) si è dimostrato efficace, per puro caso, se somministrato a pazienti con DMS con iniezione intravitreale (alla dose di 1,25 mg). A questo si aggiunga, come secondo elemento di eccezionalità, il fatto che questa terapia off-label risulta estremamente conveniente in termini economici sia per la forte differenza di dose tra le due indicazioni sia per la presenza di farmaci costosi già on-label per la DMS. Dunque, una doppia eccezionalità. Last but not least: queste circostanze eccezionali non trovano analogia per nessuno degli altri 1000 e più trattamenti inseriti nei prontuari ospedalieri.
Alla luce di tutto ciò, anche se è scomodo dirlo, Avastin intravitreale deve essere considerato un’opzione terapeutica aleatoria. Infatti, basta un “niente” e il castello di carte crolla in un istante. Questo “niente” potrebbe essere rappresentato da una nuova formulazione sottocute di Avastin oncologico (inadatta all’uso off-label intravitreale) oppure da una nuova formulazione endovenosa di Avastin (per esempio, non da ricostituire ma già pronta all’uso in forma pre-disciolta, magari capace di accelerare la somministrazione ev, ma – per composizione degli stabilizzanti/eccipienti – tale da precluderne l’uso intravitreale). Da ciò scaturisce un’ulteriore conclusione altrettanto scomoda. Il caso di Avastin-Lucentis non sembra perciò adatto a suggerire risposte strutturali nella governance dei farmaci, intesa in termini generali. Infatti, sia in tema di usi off-label sia (e soprattutto) in tema di criteri generali di prezzatura dei farmaci, appare inopportuno costruire le regole del gioco prendendo a modello questo caso oggettivamente atipico.
Per tirare le fila del discorso sulla tematica degli usi off-label, non ci sarebbe alcunché da aggiungere se parlassimo soltanto di Avastin-Lucentis in quanto tali. Se invece parliamo della necessità di realizzare una normativa seria e innovativa degli usi off-label dei farmaci in generale, ben venga una discussione a 360° su questo tema. Parleremo allora di quali e quante evidenze servono per autorizzare o promuovere un uso off-label, parleremo dei fondi necessari alle ricerca indipendente, parleremo della necessità di rendere più uniformi le regole europee, parleremo delle norme a tutela sia dei pazienti sia del progresso terapeutico. Infine, già che ci siamo, auspichiamo che alcuni principi attivi vengano finalmente sviluppati e brevettati dalle nostre università e magari che qualche normativa venga sviluppata per assegnare incentivi concreti in questa direzione.
In termini strettamente operativi, sembra sufficiente – all’atto pratico – ridefinire con una norma ragionevole le modalità dell’uso off-label di tutti i farmaci, magari dando all’AIFA l’onere e l’onore dell’approvazione per le situazioni più rilevanti, e magari potenziando il finanziamento per gli studi indipendenti. Sembra essere invece una “mission impossible” l’obiettivo di regolamentare la concessione, da parte del produttore, dell’autorizzazione/diritto d’uso a favore del SSN. Il perché di questa impossibilità è molto semplice: infatti, “quel farmaco” non è stato sviluppato da un’università pubblica, ma è di esclusiva proprietà della ditta produttrice (con annessa tutela brevettuale). Se il produttore vuole, i percorsi già esistono; se non vuole, è meglio lasciar perdere o quanto meno rinunciare a ipotesi di convincimento/costrizione. In fondo, è anche bene che sia così: l’India ha scelto un’altra strada, ma noi siamo in Europa.
Criteri di determinazione del prezzo dei farmaci ammessi alla rimborsabilità
Sia che si tratti di un fenomeno occasionale sia che si tratti di un fenomeno strutturale, è indubbio che il SSN vede nel bevacizumab intravitreale anzitutto un’opportunità di risparmio. Adesso approfondiamo le implicazioni economiche che questo caso solleva concentrandoci soprattutto sugli aspetti di carattere generale.
Va osservato anzitutto che la querelle Avastin-Lucentis è importante sotto un profilo generale perché – come è evidente da quanto abbiamo esposto – incide con forza su un vulnus tuttora aperto: qual è il criterio che il nostro SSN utilizza per prezzare un farmaco, soprattutto se “innovativo”? Negli ultimi anni è emersa con crescente rilievo la questione di quanto, in oncologia, debbano costare le cosiddette “target therapy”. Come Umberto Tirelli ha più volte osservato in varie sedi 5, negli ultimi tempi stiamo pagando acriticamente 80 mila euro a paziente per numerosi farmaci oncologici “innovativi” che generano un beneficio di pochissime settimane di sopravvivenza guadagnata; e, tra l’altro, si tratta di un beneficio che spesso si realizza in condizioni di scarsa qualità di vita.
Se confrontiamo il costo per paziente delle più recenti terapie oncologiche (in base all’assunto di 80 mila euro per paziente) con il costo per paziente che molti auspicano per la terapia intravitreale con bevacizumab (20 euro per iniezione, ossia 200 euro per 10 iniezioni), ben si capisce che qualcosa non torna. Infatti, sulla base di questi dati, stiamo valorizzando nella stessa misura, da un lato poche settimane di sopravvivenza guadagnate in un singolo paziente e, dall’altro, un miglioramento della vista in ben 400 pazienti.



È evidente la profonda stortura insita in questi “equilibri” di prezzo. Il problema è che nessuno (o quasi nessuno) sta finora mettendo questa tematica in seria discussione né le viene attribuita l’importanza che essa invece merita. Tuttavia, anche grazie a questi dati, è oramai evidente che il SSN deve finalmente saper dire quali benefici vuole pagare, quanto li valorizza, e agire poi di conseguenza.
Come osservato assieme a Mauro De Rosa in un recente editoriale6, due sono le principali filosofie che guidano i meccanismi di determinazione del prezzo dei farmaci. Da un lato vi è il criterio per cui la spesa per un farmaco rappresenta l’acquisto della materia prima che lo costituisce (criterio della materia prima): secondo questo criterio, al farmaco si riconosce un prezzo proporzionato al costo del principio attivo (e quindi proporzionato ai mg di principio attivo in esso contenuti). D’altro lato vi è il criterio basato sulla valorizzazione economica del beneficio clinico che il trattamento determina (criterio del beneficio o, secondo la dizione anglosassone, “value-based pricing”); secondo quest’ultima filosofia, il beneficio clinico è riconosciuto come il principale determinante della remunerazione economica, cosicché il prezzo di un farmaco è tanto più alto quanto più grande è il beneficio prodotto dal farmaco stesso 7.
Prendendo inizialmente in esame il versante dei farmaci on-label (e in particolare quelli già rimborsati negli scorsi anni), consideriamo e confrontiamo tra loro alcuni costi di trattamento in campo oncologico e oftalmologico (segnatamente i farmaci per la DMS). In questi due settori, i farmaci innovativi mostrano valori di costo che si collocano, rispettivamente, a non meno di 20 mila euro per paziente (e talora fino a 80 mila euro) nella terapia oncologica e attorno a circa 7 mila euro per paziente nella terapia della DMS (ovviamente quella on-label basata su ranibizumab o aflibercept). Già nell’analisi del prezzo di questi farmaci on-label, sorge il quesito se il rapporto tra i due rispettivi costi per paziente sia o meno giustificato, e cioè se esista o meno un analogo rapporto tra il beneficio osservato nel paziente oncologico e quello osservato nel paziente con DMS.
Il beneficio oncologico è facile da esprimere poiché viene direttamente misurato in mesi di sopravvivenza guadagnata (talora aggiustati, ma più spesso non aggiustati, sulla base della qualità della vita). È noto che la maggioranza dei guadagni di sopravvivenza in oncologia si attesta attorno a 2-4 mesi per paziente (ossia da 0,17 a 0,34 anni per paziente)8,9. Il beneficio oftalmologico è più difficile da esprimere soprattutto per la tipologia dell’end-point clinico che viene migliorato; bisogna inoltre tenere conto sia di quanti pazienti migliorano, sia dell’entità del miglioramento stesso ove presente. Poiché i quality-adjusted life years (QALYs) sono, come è noto, il parametro utilizzabile a tale scopo, secondo lo studio di Hodge et al.10, i pazienti trattati con ranibizumab dimostrano, in confronto con terapia fotodinamica con verteporfina, un beneficio stimabile in 0,78 QALYs per paziente. Alla luce di questi dati viene da chiedersi perché due mesi di sopravvivenza guadagnati in un paziente oncologico (che arrotondando corrispondono a 0,2 o 0,4 QALYs) vengono valutati ben 20 mila euro, mentre il miglioramento della vista in oltre il 30% dei pazienti (che corrisponde a un beneficio di circa 0,80 QALYs per paziente) viene valutato soltanto 7 mila euro.
Sembra, ed è, sovra-stimata la remunerazione per il beneficio oncologico e sottostimata la remunerazione per il beneficio oftalmologico. Ciò, tuttavia, non deve sorprendere. Infatti, il value-based pricing non ha finora avuto un’applicazione sistematica di lunga durata, neppure nei Paesi che da più tempo lo usano. Oltretutto, i valori value-based danno certamente un’indicazione di massima; pesano poi anche la storia delle precedenti decisioni e i fattori legati alla percezione sociale della rilevanza del beneficio. In questo ambito, l’oncologia, per varie ragioni, è stata sempre e ovunque assai favorita, ben oltre i meriti del beneficio prodotto.
Conclusioni
In questo quadro così complesso della prezzatura dei farmaci, dove andrebbe collocato il prezzo di bevacizumab off-label nella terapia della DMS? Il criterio del beneficio clinico colloca il costo di bevacizumab intravitreale sui valori tipici dei due competitor (ranibizumab e aflibercept), e cioè almeno 700 euro per iniezione o 7 mila euro per paziente. Invece, il criterio del costo per mg colloca bevacizumab attorno a 20-50 euro per iniezione (ossia fin a 700 euro per paziente). A quale dei due criteri va data dunque priorità?
Riguardo a questo quesito la risposta migliore è quella che nessuno si aspetta. Poiché Avastin intravitreale rappresenta una circostanza viziata da tanti particolarismi, decidere il miglior prezzo per questo trattamento non assume un particolare rilievo per il SSN. Tutto qui. Magari è giusto che il SSN colga, “finché dura”, l’occasione di questa spiccata economicità del trattamento off-label. Però, la priorità vera è altrove.
Quanto prima dovremo occuparci seriamente dei criteri generali che il SSN utilizza per prezzare un farmaco. Anche grazie a queste decisioni metodologiche, dovremo affrontare in maniera sistematica le grandi questioni che si affacciano nel settore della farmaceutica on-label, con relative implicazioni di sostenibilità. Basti citare i nuovi oncologici, le nuove terapie per l’epatite C, i farmaci orfani. Infine, c’è un rovescio della medaglia legato alla forte mediaticità del dibattito Avastin-Lucentis: l’insistenza, fin quasi esagerata, da parte di tutti, nel discutere questo problema rischia di mettere in secondo piano una questione, altrettanto attuale ma ben più importante, e cioè la definizione dei criteri di determinazione del prezzo di tutti i farmaci innovativi che il SSN decide di rimborsare 11.
Bibliografia
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 2. Bocci M. Mai più un caso Avastin-Lucentis. La Repubblica, 8 marzo 2014, accesso del 6 aprile 2014 https:// www.facebook.com/download/701987653157297/repubblica-8marzo Copy.pdf
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 4. Decreto-Legge 20 marzo 2014, n. 36 “Disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché di impiego di medicinali meno onerosi da parte del Servizio sanitario nazionale. (14G00047)” (GU n.67 del 21-3-2014), Quotidiano Sanità, 23 marzo 2014, accesso del 6 aprile 2014 ­­http://www.quotidianosanita.it/allegati/create_pdf.php?all=8031560.pdf
 5. Farmaci oncologici. Tirelli (CRO Aviano) all’attacco: Molti nuovi farmaci per il cancro costano troppo per quello che offrono realmente al paziente. Il SSN non se li può permettere. Quotidiano Sanità, 10 marzo 2014, accesso del 6 aprile 2014 http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=20216
 6. Messori A, De Rosa M. Caso Avastin-Lucentis: il prezzo di un farmaco rappresenta i milligrammi di principio attivo oppure il valore del risultato clinico? AIFA Editoriale, 13 marzo 2014, accesso del 6 aprile 2014, http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/caso-avastin-lucentis-il-prezzo-di-un-farmaco-rappresenta-i-milligrammi-di-principio-attivo-
 7. Messori A, Santarlasci B, Trippoli S, Vaiani M. Controvalore economico del farmaco e beneficio clinico: stato dell’arte della metodologia e applicazione di un algoritmo farmacoeconomico. Pharmacoeconomics Italian Research Articles 2003; 5: 53-67.
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 9. Fadda V, Maratea D, Trippoli S, Messori A. Comparison between real prices and value-based prices of innovative drugs (part 3): values of survival gain from 37 oncologic treatments. Rapid Response. eBMJ, published 27 June 2012, accesso del 6 aprile 2014 http://www.bmj.com/content/341/bmj.c6390/rr/591787
10. Hodge W, Brown A, Kymes S, et al. Pharmacologic management of neovascular age-related macular degeneration: systematic review of economic evidence and primary economic evaluation. Can J Ophthalmol 2010; 45: 223-30.
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