Usi delle informazioni scientifiche e conflitti di interesse in democrazia

paolo vineis

School of Public Health, Imperial College, St Mary’s Campus, London.

Pervenuto su invito il 7 gennaio 2016.

Uses of scientific information and conflicts of interest.

Summary. Conflicts of interest are defined as a situation in which a primary goal (such as individual or collective health, or access to information) conflicts with a secondary goal. Conflicts of interest arise for several reasons and under different circumstances: not only in relation to private profits, but also for reasons related to career or social roles. Conflicts of interest are very common and require increasing awareness in democratic societies that pursue primary goals such as health and independent information. The increasing role of profit-oriented private industry and interactions between private enterprises and public research institutions (for example in research on drugs or alternative sources of energy) require that the safeguard role of the State be strengthened. Also State institutions, however, may be affected by conflicts of interest. Simple disclosure of conflicts is necessary but not sufficient to tackle them. These themes are discussed in the paper referring to two recent examples: an alleged access of total mortality in Italy in 2015, and the carcinogenicity of red meat.

Introduzione

Il tema dei conflitti di interessi nella ricerca medica è stato recentemente dibattuto in riferimento a numerosi esempi provenienti sia dall’ambito clinico sia dalla sanità pubblica1. Il conflitto di interessi è definito da una situazione in cui un fine primario (in genere, negli esempi che consideriamo, la salute individuale o collettiva) confligge – materialmente o potenzialmente – con un fine secondario (per es., la realizzazione di un profitto, ma non solo). In questo articolo considererò diverse circostanze, oltre a quella più comune del profitto, in cui sorgono conflitti di interessi. La mia tesi è che il conflitto di interessi è comune, pervasivo – al di là dei casi “canonici” – e richiede una crescente consapevolezza.

Definizioni di conflitto di interessi

Consideriamo alcune definizioni comunemente accettate. Il recente Dizionario di Epidemiologia2 riporta la seguente definizione: «Compromissione dell’obiettività di una persona quando quella persona ha un interesse costituito. Si verifica quando la persona potrebbe trarre un beneficio finanziario o d’altro tipo (promozione, prestigio) da alcuni aspetti di una ricerca o da altre attività professionali. I conflitti di interessi non sono limitati al contesto della ricerca […]».

Secondo questa definizione e altre simili, il conflitto di interessi implica non soltanto avere per esempio due datori di lavoro allo stesso tempo, uno pubblico e uno privato, ma avere nella propria attività due finalità in conflitto tra loro. L’industria può avere o meno una finalità di sanità pubblica (per es., produrre vaccini efficaci), ma questo non è il suo fine primario che è (legittimamente) la realizzazione di un profitto. Il termine “legittimamente” merita di essere sottolineato: non c’è nulla di male nel profitto (che è una parte ineliminabile delle società liberali in cui viviamo); quello che non va è la mancanza di consapevolezza del fatto che esso può non essere – e spesso non è – un fine coerente con gli interessi generali della società. È il ruolo dello Stato – va ricordato – assicurare che il fine primario sia rispettato, e dunque esercitare una molteplice azione di controllo: sui bisogni della popolazione, sulle forze del mercato, sulla qualità dei prodotti, e così via. Con il termine di Stato intendo tutte le istituzioni che hanno come finalità quella di regolare il funzionamento della società nel suo insieme, inclusa la protezione dei cittadini dalle minacce alla loro salute. Date le funzioni molteplici dello Stato, conflitti di interessi possono originare quando, per esempio, un’indagine scientifica sulla salute è commissionata dal Ministero della Difesa, la cui finalità primaria non è la salute.

C’è spesso confusione sulla natura dei conflitti di interessi. Essi non costituiscono un’opinione, ma un dato di fatto. Il conflitto di interesse è oggettivamente presente quando la stessa persona o istituzione ha due finalità potenzialmente confliggenti. Inoltre, la rivelazione (disclosure) del conflitto è una condizione necessaria ma non sufficiente per affrontarlo. Sostenerlo equivale a dire che una volta che un ricercatore ha rivelato che è pagato dall’industria della carne (poniamo) la sua ricerca sugli effetti della carne sarà necessariamente equilibrata e non affetta da distorsioni: tra la disclosure e l’accertamento dell’assenza di “bias” c’è ancora un vuoto da colmare.




Va chiarito, infine, che i conflitti di interessi (e i fini secondari) non possono essere evitati, ma piuttosto riconosciuti e affrontati consapevolmente. Non solo il profitto è legittimo, ma promuovere la ricerca innovativa (per es., nel campo delle energie alternative) è un preciso compito dello Stato e delle istituzioni di ricerca in collaborazione con l’industria. Proprio per questo, diffondere il linguaggio, la filosofia e la consapevolezza dei conflitti di interesse è così importante oggi.

Esempi in cui il fine è il profitto

Vi sono alcuni esempi recenti (tra i tanti) di ricercatori che sono stati sponsorizzati dall’industria per condurre ricerche “assolutorie” nei confronti dei suoi prodotti. Il primo esempio è l’articolo di Chang et al.3 sulle relazioni tra l’esposizione a Agent Orange/TCDD e tumori della prostata. L’articolo (assolutorio) è stato sponsorizzato da due delle maggiori corporazioni chimiche del mondo, Dow Chemicals e Monsanto, il cui supporto economico è chiaramente riconosciuto al termine dell’articolo. Gli autori affermano in dettaglio che l’industria non ha influenzato i metodi utilizzati per condurre la rassegna sistematica e la sintesi della letteratura epidemiologica, né l’interpretazione dei risultati. Il secondo esempio è una meta-analisi di Boyle et al.4 sul consumo di bevande gassate e il rischio di cancro, finanziato con un contributo della Coca-Cola (si noti che il primo autore dell’articolo è stato Direttore della Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, IARC, dell’OMS). Gli autori di nuovo dichiarano che non vi sono conflitti di interessi dal momento che nessuno di loro ha avuto personalmente dei vantaggi dalla partecipazione alla ricerca. Altri esempi riguardano l’esposizione al pesticida Glifosato e la canola geneticamente modificata per essere resistente a un erbicida5,6. Il primo articolo è finanziato da Monsanto ed è parzialmente basato su rapporti interni dell’industria, mentre il secondo riporta un finanziamento della DuPont, ma dichiara che non sussistono conflitti di interessi. Si possono trovare molti altri esempi simili.

Esempi in cui il conflitto di interessi non coinvolge il profitto

Tutti gli esempi precedenti si riferiscono a situazioni relativamente chiare, vale a dire in cui il fine primario – la difesa della salute della popolazione – è minacciato dall’interesse che ha lo sponsor/finanziatore della ricerca a dimostrare un certo risultato favorevole al proprio profitto. Si noti bene che il conflitto di interessi esiste oggettivamente anche se la finalità del profitto non è materialmente dimostrabile. Vorrei qui estendere le considerazioni (e la casistica) sui conflitti di interessi a situazioni più complesse, caratterizzate da attori multipli e in cui il profitto non è il solo movente che dà origine al conflitto.

Il primo esempio è di cronaca, e cioè uno degli “allarmi” mediatici dei primi giorni del 2016, le 45.000 morti in più verificatesi apparentemente nei primi 8 mesi del 2015. Quando questo articolo comparirà è possibile che il caso si sarà chiarito o ridimensionato (non pretendo di fare predizioni), ma a me interessa considerare come il problema si manifesta in condizioni di “informazioni carenti” o limitate. Scelgo volutamente un esempio di incertezza e incompletezza delle informazioni, perché questo è lo scenario più comune di trasferimento delle conoscenze scientifiche nella pratica e nelle decisioni di sanità pubblica. Uno degli effetti del conflitto di interessi è proprio quello di rallentare il percorso di trasferimento delle conoscenze nella pratica: come dimostra il caso del cambiamento climatico, l’incertezza può perdurare per molti anni senza tradursi in azione, fino a che si trasforma in una amara certezza.

Come è noto, in seguito alla segnalazione di alcuni demografi, agli inizi del 2016 la stampa ha riportato con un certo clamore un apparente eccesso di 45.000 morti nei primi 8 mesi del 2015 rispetto all’analogo periodo degli anni precedenti. Questo avveniva negli stessi giorni in cui l’inquinamento atmosferico delle città italiane toccava livelli molto elevati. L’uso politico che è stato fatto di questi dati (dai populisti) non è dissimile dagli abusi dell’informazione scientifica fatti da movimenti come i Tea Party negli Stati Uniti, che denotano una grave disinformazione, per esempio, sul cambiamento climatico. L’eccesso di morti è stato messo in relazione all’inquinamento atmosferico ed è servito come pretesto per attaccare il governo. Il travisamento è molteplice:

la mortalità si modifica molto lentamente e per “coorte” di nascita (generalmente l’aspettativa di vita aumenta nei Paesi occidentali con ogni generazione di nati);

l’aspettativa di vita è sempre aumentata nei Paesi più ricchi dai primi del Novecento, se si escludono le guerre; l’unica eccezione è stata la Russia post-sovietica;

analizzare i dati per periodo e peggio ancora per mese (poco prudente data la stagionalità delle morti, legata per esempio alle epidemie influenzali) genera di solito gravi malintesi;

il rapporto causa-effetto non può essere invertito, cioè l’inquinamento non può seguire la presunta epidemia di mortalità;

se parliamo di morti attribuibili all’inquinamento, queste sono più o meno 35-50.000 in Italia ogni anno, con una tendenza a diminuire grazie al miglioramento della qualità dell’aria; c’è un periodo di latenza che dipende dal tipo di patologia, che per i tumori e le malattie respiratorie è comunque di molti anni (le morti che si vedono oggi esprimono esposizioni verificatesi molto tempo prima).

Dati tutti questi malintesi circa la presunta epidemia di morti (la cui natura deve ancora essere chiarita mentre scrivo), il caso è esemplare di come si voglia far dire ai dati scientifici cose che essi non dicono. Dove sta il confitto di interessi? Ne sono affetti sia i giornalisti sia i politici populisti che ignorano la storia ormai secolare dei dati di mortalità, ne ignorano i trend (finora sempre al miglioramento) e lanciano allarmi che confliggono con il bene primario di una corretta informazione. Il bene secondario è in questo caso coltivare il proprio elettorato, convincere gli scontenti, e vendere più copie dei giornali. Credo sia utile vedere il problema nella giusta prospettiva, cioè rafforzare la difesa del bene primario: non solo la salute, ma un’informazione veritiera. Nello stesso tempo, i difetti della stampa e dei politici populisti non assolvono i politici, considerato che l’Italia è gravemente in ritardo nel ridurre l’inquinamento atmosferico: è al contempo vero che ovunque – anche in Italia – la qualità dell’aria è sempre migliorata dagli anni ’60 a oggi, ma anche che l’Italia è in forte ritardo rispetto a quasi tutti gli altri Paesi europei. Il procedere per “allarmi” episodici non aiuta certamente nell’affrontare un altro tipico conflitto, quello tra il bisogno/diritto dei cittadini di muoversi nel territorio (per il lavoro, la scuola, ecc.), farlo in modo ragionevole e non troppo punitivo, e il compito dello Stato di sostituire progressivamente certe modalità di trasporto (l’automobile) con altre come la bicicletta e i mezzi pubblici.

Conflitti di interessi multipli

Il secondo esempio, anch’esso largamente ripreso con “allarme” dai media, è quello della cancerogenicità della carne rossa. Anche in questo caso i media hanno fatto molta confusione, suggerendo per esempio che la valutazione dell’Agenzia Internazionale per le Ricerche sul Cancro implicava la rinuncia completa al consumo di carne (interpretazione non vera), oppure che la quantità di 50 g di carne lavorata rappresenta una “soglia” al di sotto della quale non vi sono rischi. Molti equivoci sono nati dalla confusione tra “forza delle prove” e “forza della cancerogenicità”. La forza delle prove, in base al metodo ormai collaudatissimo usato dalla IARC, si basa su una serie di criteri (come il numero di ricerche effettuate e la loro coerenza nel suggerire un rischio di cancro) e ha consentito al gruppo di lavoro di concludere che le prove per la carne rossa lavorata erano “sufficienti”. Questa stessa conclusione qualitativa era stata raggiunta per esposizioni come il fumo o l’amianto. Questo non vuol dire che il consumo di carne rossa lavorata aumenta il rischio di cancro del colon con la stessa “forza” con cui il fumo causa il cancro del polmone. In chi consuma più di 50 g al giorno di carne rossa lavorata il rischio di cancro del colon passa da circa 5 casi per 100 individui nel corso della vita a 6 per 100. Il rischio di cancro del polmone nei non fumatori è 1 su 100 nel corso della vita, nei forti fumatori è di 25 su 100. Al di là di queste incomprensioni e malintesi, un problema di fondo sta nella scarsa consapevolezza dei modelli scientifici di causalità da parte dei principali attori. Il cancro non è un’intossicazione acuta, non si può cioè dire (come qualcuno ha fatto) che “anche bere 10 litri d’acqua può essere mortale”. Il cancro origina per l’attivazione di diversi stadi, è cioè una malattia “multifattoriale e multistadio”. In una parte della popolazione vi sono individui che per cause diverse (varianti geniche ereditate, mutazioni indotte da altri cancerogeni, ecc.) sono particolarmente predisposti a sviluppare un tumore. Per così dire, in una piccola parte della popolazione manca un ultimo passo (stadio o “hit”) - anche a basse dosi di esposizione a un cancerogeno - per completare il processo della cancerogenesi; in altri individui più numerosi mancano due passi, ecc. I fortunati non hanno nessuno stadio ancora attivato, ma sono probabilmente una minoranza.

In questo senso, è certamente vero che la dose fa il rischio, ma il paragone con i tossici acuti non regge, perché i tossici acuti sono “one hit” (basta uno stadio solo) e vale per essi il concetto di “soglia”, mentre per le malattie croniche multifattoriali è soprattutto la combinazione con altre esposizioni che porta all’aumento del rischio.

Ma torniamo ai conflitti di interessi. Perché si configurano nel caso della carne rossa molteplici conflitti di interesse? Al di là di quelli ovvi (le Monografie IARC non ammettono all’interno dei gruppi di lavoro persone che siano finanziate dall’industria in questione, in questo caso quella della carne), si sono manifestati almeno due tipi di conflitti di interessi. Posto che il fine primario è la difesa della salute, un fine secondario dello Stato può essere quello di proteggere e promuovere i prodotti alimentari tipici, come i salumi, oppure categorie professionali come gli allevatori. Dunque un primo conflitto può originare entro le diverse funzioni dello Stato, la difesa della salute dei consumatori e la difesa delle imprese italiane e degli allevatori. Ritengo improbabile che lo Stato cessi di promuovere (in manifestazioni analoghe all’Expo) i salumi italiani, e questo nei fatti è in conflitto con la sua finalità primaria di promozione della salute. Un altro conflitto più sottile (ma non meno drammatico) è il difficile bilanciamento tra gli interessi sanitari di diverse categorie, alla luce delle conoscenze incomplete di cui si dispone. La carne lavorata (e forse quella rossa non lavorata) aumenta i rischi di cancro, e non c’è una soglia evidente. Ma la carne è anche un ottimo alimento, fonte di ferro facilmente assorbibile (più di quello proveniente da fonti vegetali), di proteine, di vitamina B12, ecc. I bambini traggono particolare giovamento, almeno secondo i nutrizionisti e i pediatri, dal consumo di carne, anche se la carne non è interamente insostituibile. Le linee-guida devono riflettere queste diverse finalità in parte contraddittorie.

Infine, c’è il problema dell’inquinamento atmosferico da metano, responsabile di un quinto dei gas serra e dovuto agli allevamenti di bovini. Già solo per questo motivo bisognerebbe ridurre i consumi di carne e sostituirli con i legumi. Al di là delle capacità soggettive di mediazione, queste sono contraddizioni oggettive, dal momento che diversi settori dello Stato possono avere finalità diverse e confliggenti: la prevenzione dei tumori e del cambiamento climatico mirerà a ridurre il più possibile i consumi di carne rossa (senza indurre necessariamente a diventare vegani), la prevenzione delle carenze da ferro e proteiche nei bambini ad aumentarli, senza che vi sia un ovvio punto di equilibrio (ovviamente ciascuna di queste finalità ha i suoi paladini: oncologi, pediatri, ambientalisti, tutti perlopiù in ottima fede).

Conclusioni

Ritengo che discutere dei conflitti di interessi e regolamentarli sia oggi cruciale, in considerazione del fatto che il ruolo dell’industria in diversi settori della società è ormai dato per acquisito. Una crescita del ruolo dell’industria privata anche nel settore della ricerca medica non deve e non può accompagnarsi però a un ridimensionamento dello Stato, secondo un’equazione assolutamente ingiustificata. Al contrario: proprio l’ampliarsi delle funzioni dell’industria privata con finalità di profitto richiede che il ruolo di garanzia dello Stato venga potenziato. Inoltre, i conflitti di interessi sono molto più numerosi e molteplici di quanto non si pensasse anche solo qualche anno fa: si considerino le finalità conflittuali che possono avere diversi settori dello Stato, o diverse corporazioni che lo Stato sostiene o promuove.

Bibliografia

1. Vineis P, Saracci R. Conflicts of interest matter and awareness is needed. J Epidemiol Community Health 2015; 69: 1018-20.

2. http://www.amazon.com/A-Dictionary-Epidemiology-Miquel-Porta/dp/0199976732/ref=sr_1_2?ie=UTF8&qid=1399571731&sr=8-2&keywords=a+dictionary+of+epidemiology

3. Chang E, Boffetta P, Adami HO, Cole P, Mandel JS. A critical review of the epidemiology of Agent Orange/TCDD and prostate cancer. Europ J Epidemiol 2014; 29: 667-723.

4. Boyle P, Koechlin A, Autier P. Sweetened carbonated beverage consumption and cancer risk: meta-analysis and review. Eur J Cancer Prev 2014; 23: 481-90.

5. Amy Lavin Williams A, Watson RE, DeSesso JM. Developmental and reproductive outcomes in humans and animals after glyphosate exposure: a critical analysis. J Toxicol Environ Health B Crit Rev 2012; 15: 39-96.

6. Delaney B, Appenzeller LM, Roper JM, Mukerji P, Hoban D, Sykes GP. Thirteen week rodent feeding study with processed fractions from herbicide tolerant (DP-Ø73496-4) canola. Food Chem Toxicol 2014; 66: 173-84.