Cinema e medicina

a cura di Luciano De Fiore

Quando il cinema tratta delle neoplasie oncoematologiche

Sarà che uno dei più celebri cancer movie - Love Story (1970) - tratta dell’amore tra un giovane e la fidanzata malata di leucemia, il fatto è che già da molti anni il cinema ha preso a confrontarsi con storie in cui hanno un peso le malattie del sangue.

La fortuna delle malattie oncoematologiche al cinema si deve forse al loro potenziale evocativo e simbolico, che consente di narrare la malattia senza mostrarne, il più delle volte, gli aspetti più crudi. Anche se alcune pellicole danno conto, senza infingimenti, del dolore, degli effetti indesiderati delle terapie, dell’angoscia e dello spaesamento di fronte all’incertezza di un domani messo a repentaglio dal male.

Delle 34 pellicole qui considerate (tabella 1), 17 (la metà) hanno per protagonista una donna e 16 un uomo, mentre in Erin Brockovich ammalano sia uomini che donne. I registi americani sono i più rappresentati, ma è presente anche il cinema italiano con 6 film (Bianca come il latte, rossa come il sangue, Noi non siamo come James Bond, Le ultime 56 ore, Guardami, Caro diario e Blu cobalto) e perfino la cinematografia orientale, con film cinesi, giapponesi e uno coreano. Un paio di titoli italiani si segnalano in particolare per il loro contenuto di denuncia: sia il film di Fragasso, sia quello di Gianfranco Fiore Donati s’incentrano sui danni causati ai militari, ormai congedati, dall’uranio impoverito col quale sono entrati in contatto durante le missioni di peace keeping.
Tuttavia, sebbene il più delle volte nella trama ha un peso essenziale il decorso della malattia, in alcune altre (Le ultime 56 ore, The Rainmaker e lo stesso Erin Brockovich) assumono maggior rilevanza gli aspetti epidemiologici e le cause ambientali del cancro. In un caso (Calendar Girls, 2003), il regista Nigel Cole ha ripreso la storia vera di un gruppo di amiche inglesi di mezza età che produsse un fortunatissimo calendario sexy con loro fotografie di nudo per raccogliere fondi a sostegno della ricerca contro i linfomi e la leucemia [la neoplasia ematologica più rappresentata (24 film), seguita dai linfomi (10)].

In genere, l’età media dei protagonisti malati è bassa. Il che, in qualche modo, corrisponde anche al dato epidemiologico reale, sia pur con qualche forzatura.

Le leucemie consentono di portare sullo schermo anche storie di pazienti in età pediatrica, come nel caso di Matching Jack, My Sister’s Keeper e – curiosamente – un episodio del 1990 di Why, Charlie Brown, Why?, il primo cartoon – almeno a nostra memoria – che racconti la storia di una bambina malata di leucemia, Janice, compagna di classe di Charlie Brown e Linus. L’intero episodio è dedicato alle sue vicende: visitata dagli amichetti in ospedale mentre fa la chemioterapia, ritratta priva di capelli, seguita in una recidiva e infine accolta di nuovo in classe, dopo più di un anno, in apparenza guarita.




Alcuni film non riescono a non essere pellicole strappalacrime, a cominciare dal capostipite Love Story. In particolare, la mozione degli affetti è pesante quando ad ammalare è una donna giovane o giovanissima (come nei recenti film di Campiotti e Gomez-Rejon).

Purtroppo, al cinema anche il tumore del sangue non lascia scampo, anche perché spesso l’esito drammatico è funzionale al plot. Dato che, fortunatamente, nella realtà non è più così, aspettiamo con fiducia nuove pellicole che diano anche conto dei passi in avanti delle terapie. Nel frattempo, torneremo a compiacerci della celebre sequenza di Caro diario, nella quale Nanni Moretti – mentre è sottoposto a una TAC – confida allo spettatore che lui, dal linfoma di Hodgkin, è guarito.