Dalla letteratura

In collaborazione con l’Associazione Alessandro Liberati – Network Italiano Cochrane
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Le storie della medicina del 2016

Le scelte del Newyorker

Non sfuggono alla consuetudine dei bilanci di fine anno le grandi riviste, anche le più robuste culturalmente come il Newyorker che ha affidato a Jerome Groopman il compito non facile di indicare i fatti memorabili del 2016 per la medicina1. Primo “fatto”, la riabilitazione del cosiddetto “paziente 0” colpito dall’infezione da HIV identificato in Gaetan Dugas, un assistente di volo canadese che avrebbe introdotto il virus in Nord America. Omosessuale, Dugas divenne l’esemplare destinatario dello stigma dettato da un pregiudizio, al punto che la malattia fu denominata inizialmente GRID, Gay-Related Infectious Disease. Solo molto recentemente è stato pubblicato su Nature un lavoro che ha proposto i risultati delle analisi genetiche dei campioni biologici di Dugas, conservati dopo la sua morte avvenuta nel 19842, studio che ha contribuito a chiarire che l’origine dell’epidemia non era legata al ragazzo canadese: incredibilmente, l’equivoco era stato originato dall’essere stato il caso codificato come “Patient O” e cioè “Patient from Outside California”.




Secondo, i mirtilli rossi non guariscono le infezioni urinarie. Il sospetto che si trattasse di una bufala c’era da tempo ma c’è voluto uno studio di una équipe della Yale School of Medicine per chiarire definitivamente la questione3. Sconsolato, Groopman conclude che anche questa conferma di inefficacia non sarà sufficiente a far cessare il ricorso a un rimedio di nessuna utilità, soprattutto per l’effetto della disinformazione diffusa da star del cinema come Gwyneth Paltrow o da sportivi come Michael Phelps.

Terzo, il cancro della prostata mette medici e pazienti di fronte a scelte difficili. Lo studio ProtecT pubblicato sul New England Journal of Medicine (NEJM) ha messo a confronto tre diverse strategie di gestione della malattia (radioterapia, chirurgia radicale e osservazione vigile) mostrando risultati paragonabili in termini di sopravvivenza a 10 anni dalla diagnosi4. A differenza di altri clinici che si sono in questi mesi pronunciati al riguardo, Groopman conclude che, a suo avviso, un adulto con un’attesa di vita superiore ai 10 anni dovrebbe optare per l’intervento, al fine di prevenire la progressione metastatica del cancro.

Ancora il NEJM è la fonte della quarta memorabile novità del 20165: l’intervento di fusione spinale non ha esiti migliori di altre procedure chirurgiche nelle malattie degenerative della colonna. È una buona notizia perché è una procedura molto costosa e, forse proprio per questo, la frequenza con cui viene eseguita è aumentata in modo esponenziale negli ultimi anni.




L’ultima segnalazione di Groopman riguarda la relazione tra restrizione nell’accesso alle armi da fuoco e il verificarsi di omicidi o, addirittura, di stragi. Negli Stati Uniti, le morti per omicidio (33.000) equivalgono a quelle per l’influenza, sono più numerose di quelle per cancro del sistema urinario (32.000) e solo di poco inferiori a quelle per incidente stradale (35.000)6. A partire da un’esperienza australiana di successo, l’editorialista del Newyorker e clinico della Harvard Medical School sostiene che rinviare l’approvazione di una normativa che limiti la possibilità di acquisto da parte dei cittadini non è più giustificabile7. Oltre all’auspicato provvedimento regolatorio, il problema delle morti per armi da fuoco andrebbe affrontato con determinazione iniziando da maggiori stanziamenti per la ricerca. Se i finanziamenti federali fossero proporzionali all’impatto dei problemi di sanità pubblica, gli studi sui danni da armi da fuoco dovrebbero beneficiare di circa 1 miliardo e 400 milioni di dollari, contro uno stanziamento attuale pari all’1,6% di questa cifra. Una lettera giunta al JAMA fa anche notare come questo finanziamento inadeguato sia evidente anche ricercando in Medline i riferimenti bibliografici sull’argomento: per la gravità del problema ci si aspetterebbe un archivio vicino ai 40 mila record bibliografici, laddove quelli disponibili non arrivano a 2.0008.

L’anno della sanità visto dal New York Times

Come abbiamo visto, almeno tre delle cinque segnalazioni di Groopman riguardano quelle che Vinay Prasad e Adam Cifu hanno definito «medical reversal»9, vale a dire dei ripensamenti o più o meno radicali inversioni rispetto allo standard assistenziale precedente. Inoltre, tutte le “novità” provengono da un articolo pubblicato su una rivista. Per due volte il NEJM e in altrettanti casi il JAMA. Ma davvero nessun “fatto nuovo” è possibile trarlo dall’osservazione dei problemi e delle speranze vissute dal pianeta nei passati dodici mesi? Il New York Times ha preferito seguire questa strada e i suoi reporter hanno proposto alcune storie che hanno caratterizzato il 2016. La prima riguarda il virus Zika che con l’aprirsi dello scorso anno ha iniziato a interessare altre nazioni oltre il Brasile: è del 15 gennaio 2016 il documento dei Centers for Disease Control and Prevention degli Stati Uniti che segnalavano il pericolo per le donne in gravidanza di viaggiare in Paesi in cui il virus era diffuso. L’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarava Zika un’emergenza di sanità pubblica il 1° febbraio 2016 e tale restava fino allo scorso novembre.

La seconda “storia” è legata al dramma dell’obesità e agli sforzi di chi cerca di risolvere i propri problemi di sovrappeso ma, nonostante la migliore determinazione e gli iniziali miglioramenti, ricade inesorabilmente nella condizione di partenza. Ne parla Gina Kolata, una delle firme di maggiore esperienza del giornale. Ancora, il problema del controllo delle nascite che, con il passaggio dalla presidenza Obama a quella di Donald Trump, rischia di esporre le donne al rischio di una drammatica crescita del numero di gravidanze indesiderate, qualora l’Affordable care act fosse cancellato o modificato e le assicurazioni non coprissero più le spese per gli anticoncezionali. Al tema dei trapianti sono dedicate due “storie” scelte da Denise Grady: quella della donna 26enne alla quale è stato trapiantato un utero dai chirurghi della Cleveland Clinic (la procedura però non è andata a buon fine per problemi di rigetto) e quella, a lieto fine per ora, dell’uomo di 64 anni sottoposto a trapianto di pene presso il Massachusetts General Hospital.

Un liquido che potrebbe combattere le carie dentali, il dramma dell’abuso e della dipendenza da oppioidi, la vita dei 500 mila cittadini statunitensi che vivono in abitazioni prive di impianti idraulici, gli studi sulle cause delle psicosi e i conseguenti necessari finanziamenti per l’assistenza, le prospettive offerte dalla immunoterapia al trattamento delle malattie oncologiche: ecco le altre “storie” scelte dal quotidiano newyorkese.

Lo sguardo del Guardian

Terapie imperfette, attive solo su alcune neoplasie e per una durata limitata, gravate da pesanti effetti indesiderati, conclude Matt Richtel sul New York Times. Ne parla anche l’oncologo Siddhartha Mukherjee sul Guardian, in uno spazio dedicato alle “grandi idee” che hanno caratterizzato l’anno10. «Immunotherapy or cancer – scrive – has had some sentinel successes, notably against melanoma, lung cancer, lymphomas and some leukemias. But this year also brought sobering news about unexpected side-effects of these drugs: patients suffered inexplicable fevers or life-threatening colitis. Broader questions about efficacy and cost remain. Are these drugs going to be useful to treat only a small fraction of tumours? How much will they cost – and can that be contained?». Il clinico della Columbia University accenna anche a un problema emergente: in una prima fase, i tumori trattati con immunoterapie spesso tendono ad aumentare di dimensione prima che si manifesti una risposta alla cura e per questa ragione potrebbe essere necessario trovare nuovi criteri di valutazione dell’efficacia dei nuovi farmaci.




L’ultima segnalazione sul quotidiano londinese arriva dal grande neurologo Henry Marsh, affascinato dai progressi che potranno essere raggiunti grazie all’applicazione della genetica alla medicina. Quello dell’autore del bel libro Primo non nuocere11 sembra soprattutto un augurio, dal momento che non perde occasione di sottolineare come il ragionamento del medico sia guidato da sentimenti molto più che da astrazioni. È un invito all’ottimismo e a guardare avanti con fiducia: «We have to think positively and act positively rather than be carried away with despair».

Bibliografia

1. Groopman H. The most notable medical findings of 2016. The Newyorker 2016; 29 dicembre. http://www.newyorker.com/tech/elements/the-most-notable-medical-findings-of-2016

2. Worobey M,  Watts TD, McKay RA, et al. 1970’s and ‘Patient 0’ HIV-1 genomes illuminate early HIV/AIDS history in North America. Nature 2016; 539: 98-101.

3. Juthani-Mehta M, Van Ness PH, Bianco L, et al. Effect of cranberry capsules on bacteriuria plus pyuria among older women in nursing homes. A randomized clinical trial. JAMA ٢٠١٦; 316: 1879-87.

4. Hamdy FC, Donovan JL, Lane JA, et al. 10-year outcomes after monitoring, surgery, or radiotherapy for localized prostate cancer. N Engl J Med 2016; 375: 1415-24.

5. Försth P, Ólafsson G, Carlsson T, et al. A randomized, controlled trial of fusion surgery for lumbar spinal stenosis. N Engl J Med 2016; 374: 1413-23.

6. Healy M. Research on gun violence is severely underfunded compared with other causes of death. Los Angeles Times 2017; 4 gennaio. http://www.latimes.com/science/sciencenow/la-sci-sn-gun-violence-research-20170103-story.html

7. Chapman S, Alpers P, Jones M. Association between gun law reforms and intentional firearm deaths in Australia, 1979-2013. JAMA ٢٠١٦; 316: 291-9.

8. Stark DE, Shah NH. Funding and publication of research on gun violence and other leading causes of death. JAMA ٢٠١٧; 317: 84-5.

9. Cifu AS, Prasad VK. Ending medical reversal: improving outcomes, saving lives. Baltimore: Johns Hopkins University Press, 2015.

10. 2017’s big ideas. The Guardian 2017; 2 gennaio. https://www.theguardian.com/news/2017/jan/02/2017-big-ideas-part-two-northern-labour-party-fighting-cancer

11. Marsh H. Primo non nuocere. Firenze: Ponte alle Grazie, 2016.

2016: nero o d’oro per i medicinali?

L’umore dei vertici “di casa madre” delle industrie farmaceutiche non è buono: nel 2016, la Food and Drug Administration ha approvato solo 22 nuovi prodotti, il numero più basso dal 2010 e molto inferiore ai 45 dello scorso anno. A confronto, la European Medicines Agency ha dato il via libera a 81 novità (erano 93 nel 2015) contando però anche gli equivalenti. Va detto che, a fine 2015, la FDA anticipò l’approvazione di alcuni farmaci così come altri – per i quali si prevedeva il semaforo verde nel corso di quest’anno – saranno probabilmente ammessi nelle prossime settimane: dall’ocrevus per la sclerosi multipla al sarilumab per l’artrite reumatoide.

Al di là delle procedure regolatorie, il problema all’origine del malcontento dei dirigenti delle multinazionali farmaceutiche sembra essere la contrazione dei margini di redditività dei nuovi prodotti, scesi secondo l’agenzia Deloitte a circa il 3,7% dell’investimento contro il 10,1% del 2010. Sembra impossibile, considerata l’escalation dei prezzi e l’iperbolico costo raggiunto non solo da farmaci specialistici. Basti pensare a uno dei prodotti di più recente approvazione, eteplirsen, indicato per la distrofia muscolare di Duchenne (DMD). Molto discusso, per l’efficacia dubbia o nel migliore dei casi modesta1, è stato infine approvato dalla FDA per tipo più comune di DMD (١٣٪ del totale dei malati) e a condizione che l’industria svolga una sperimentazione clinica che finalmente dimostri che il medicinale migliori la funzione muscolare, esito ancora non documentato dagli studi presentati. Eteplirsen sarà messo in commercio negli Stati Uniti a un costo di diverse centinaia di migliaia di dollari l’anno per paziente.




Quanto avvenuto negli Stati Uniti a proposito di DMD, è un indizio di come la Politica non si sia risparmiata per favorire le industrie, ma la conferma definitiva di una stretta alleanza è giunta lo scorso dicembre con il 21st Century Cures Act firmato dal presidente Obama, atto giudicato «a huge deregulatory giveaway to the pharmaceutical and medical device industry»2. Si confermano i finanziamenti alla Precision medicine initiative e al Cancer moonshot voluto dal vicepresidente Biden, sottraendo però 3,5 miliardi di dollari all’impegno di sanità pubblica per le vaccinazioni e la prevenzione del tabagismo. La nuova legge sembra premiare i National Institutes of Health con un maggiore finanziamento annuo, ma – osservano Kesselheim e Avorn sul JAMA – i fondi promessi sono comunque da approvare anno per anno e, da molte stagioni, i NIH soffrono di una progressiva contrazione di credito. Il tutto in un contesto che accorda all’industria la possibilità di presentare domanda di approvazione di nuovi prodotti accompagnandola solo con dati riconducibili alla cosiddetta “­real world evidence”3. Sdoganando con questo termine gli studi osservazionali notoriamente a rischio di condizionamenti e distorsioni tali da renderli poco affidabili. Ha scritto Julia Belluz su Vox: «Unlike clinical trials, these types of data aren’t very rigorous – they’re just observations about things that are already happening, not experiments with placebo controls. Drugmakers could conceivably find any correlation they want in the data and present them as proof their products work»4.

Percorsi più facili, in futuro, anche per i dispositivi medici. Ma la grande novità riguarda la possibilità di ricorrere alle esperienze di pazienti per informare le decisioni regolatorie. La questione è diventata d’attualità proprio successivamente al caso del farmaco per la DMD prima citato, la cui approvazione da parte della FDA è avvenuta in un contesto di forte e aggressiva pressione esercitata dalle associazione dei malati.

Scrivono Kesselheim e Avorn: «Ironically, it was the establishment decades ago of FDA standards for demonstration of efficacy and safety that transformed the US pharmaceutical industry from purveyors of uncertain remedies into one of the most successful industries in the world». In definitiva, solidità e credito dell’industria farmaceutica si sono formati proprio grazie a controlli e valutazioni istituzionali più rigorose. «Lower standards – proseguono i due autori – will most benefit companies adept at “gaming the system” to achieve success in shorter, less costly studies using poorly validated biomarkers, at the expense of more scientifically and clinically minded manufacturers that attempt to demonstrate patient outcome benefits in longer, larger, more expensive trials». Oltre a mettere i cittadini a rischio per l’assunzione di farmaci non sufficientemente sperimentati, a risentire di una legislazione più permissiva saranno proprio le industrie più serie, che dovranno sostenere la concorrenza di aziende spregiudicate.




Uno degli istituti di bioetica più famosi del mondo, l’Hastings Center, ha posto alcuni interrogativi precisi sulle ricadute della legislazione, destinata a essere conservata anche con la presidenza Trump, essendo stata approvata a larga maggioranza bipartisan: «Underlying this view is a value judgement of the possible harms of approving drugs that are ineffective or unsafe, versus the harm of not approving a safe and valuable drug when it first becomes available. Does delaying the approval of treatments evoke a sense of medical paternalism, or ethically responsible care? Who should weigh these risks – the government, industry, or the public? Is it ethical for the government or industry to make such judgements, if it is the public who must bear their consequences?»5.

Siamo sul punto di dover governare una deriva “anti-regolatoria” che affidi alle istituzioni il solo compito di sorvegliare soprattutto a posteriori la sicurezza dei medicinali e non la loro efficacia. È probabile sia un espediente volto a favorire dinamismo e ripresa industriale ma forse è un azzardo. I benefici per l’industria di questa politica già si vedono in Italia, come leggiamo in un articolo di Roberto Turno sul Sole 24 Ore Sanità: «Il pre-consuntivo 2016 di Farmindustria confeziona intanto una somma di “segni più”. A cominciare dalla produzione che sfonda ormai i 30 miliardi con una crescita a ottobre (su ottobre 2015) del 5,3% e una media del +2,3% in dieci mesi, il migliore della media in tutti i settori: ma con ordini ancora in crescita nell’ultimo bimestre dell’anno per il solido incremento delle vendite all’estero»6

Sarebbe più onesto dichiarare apertamente che queste misure sono una scommessa per la ripresa dell’economia. Piuttosto che – come osservano Kesselheim e Avorn – sostenere che sia­no pensate per risolvere problemi che in realtà non esistono, come la presunta eccessiva lentezza nell’approvazione dei nuovi prodotti.

Bibliografia

1. Silverman E. FDA review casts doubts on fisrt drug for combating Duchenne. Stats 2015; 20 novembre.

2. Hiltzick M. The 21st century act. Los Angeles times 2017; 4 gennaio. http://www.latimes.com/business/hiltzik/la-fi-hiltzik-21st-century-20161205-story.html

3. Kesselheim AS, Avorn J. New “21st Century Cures” legislation speed and ease vs Science. JAMA 2017 Jan 5. doi: 10.1001/jama.2016.20640. [Epub ahead of print]

4. Belluz J. The biggest healthcare reform since Obamacare, explained in 600 words. Vox 2015; 13 dicembre http://www.vox.com/2016/12/2/13809984/what-is-21st-cures-act

5. Zacharias R. The 21st Century Cure Act sparks values debate. The Hastings Center blog 2016; 22 dicembre.

6. Turno R. La farmaceutica continua a crescere. Il Sole 24 Ore Sanità 2017; 5 gennaio.