Il trattamento di prima e seconda linea nel carcinoma gastrico

Fabio Gelsomino1, Andrea Spallanzani1, Ferdinando De Vita2, Maria Di Bartolomeo3,
Cecilia Gavazzi4, Lorenza RImassa5, Stefano Cascinu1

1Dipartimento di Oncologia ed Ematologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena, Università di Modena e Reggio Emilia; 2Dipartimento di Medicina Interna e Sperimentale “F. Magrassi”, Divisione di Oncologia Medica, Università della Campania “Luigi Vanvitelli”; 3Oncologia Medica Gastroenterologica, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori, Milano; 4Unità di Terapia Nutrizionale, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori, Milano; 5UO Oncologia Medica, Humanitas Cancer Center, Humanitas Research Hospital - IRCCS, Rozzano (Milano).

Pervenuto su invito il 14 dicembre 2016.

Riassunto. Nonostante la graduale riduzione dell’incidenza e della mortalità nel corso di diverse decadi, il carcinoma gastrico rimane la quarta causa di morte per cancro in Europa. Mentre storicamente l’adenocarcinoma gastrico veniva suddiviso secondo la classificazione di Lauren in sottotipo intestinale e diffuso, la conoscenza dei complessi meccanismi molecolari alla base della sua carcinogenesi ha portato all’elaborazione di nuove classificazioni molecolari che rappresentano il punto di partenza per lo sviluppo di un approccio personalizzato anche in questa patologia. Dal punto di vista clinico, mentre l’aggiunta del trastuzumab all’armamentario terapeutico ha aperto la strada all’introduzione della terapia a bersaglio molecolare nel trattamento di prima linea, solamente di recente la conferma del ruolo del trattamento di seconda linea e l’approvazione del ramucirumab come standard di trattamento nel medesimo setting hanno portato a un nuovo concetto di “continuum of care” nel carcinoma gastrico. Inoltre, è stato recentemente ribadito in diverse esperienze retrospettive e prospettiche il ruolo centrale del counseling e del supporto nutrizionale sia negli stadi precoci sia di quelli avanzati di malattia.

Parole chiave. Carcinoma gastrico, classificazione molecolare, ramucirumab, supporto nutrizionale.

Gastric carcinoma: an evolutionary scenario.

Summary. Despite the progressive decline of its incidence and mortality over the past decades, gastric cancer remains the forth most common cause of cancer-related death in Europe. While historically gastric adenocarcinoma has been classified according to the Lauren classification in intestinal and diffuse subtype, the knowledge of the complex molecular mechanisms underlying its carcinogenesis has led to new molecular classifications which can represent the starting point for the development of a personalized approach also in this disease. From a clinical point of view, while the addition of trastuzumab in the therapeutic armamentarium paved the way for the introduction of targeted therapy in the first-line treatment, only recently the confirmation of the role of second-line therapy along with the approval of ramucirumab as a standard of care in this setting led to a new concept of “continuum of care” in gastric cancer. Furthermore, also the pivotal role of nutritional counseling and support both in early- and advanced-stage disease has been recently confirmed in many retrospective and prospective series.

Key words. Gastric cancer, molecular classification, nutritional support, ramucirumab.

Il tumore dello stomaco: una nuova malattia?

Il carcinoma dello stomaco, nonostante abbia registrato un graduale e significativo calo di incidenza e mortalità nel corso di diversi decenni, rimane in Europa la quarta causa di morte per neoplasia1. Storicamente gli adenocarcinomi dello stomaco sono stati suddivisi, secondo la classificazione di Lauren, in adenocarcinoma di tipo intestinale e diffuso, caratterizzati non solo da differenze in termini epidemiologici e clinico-patologici, ma anche per ciò che riguarda i complessi meccanismi molecolari che sottendono alla cancerogenesi di entrambi i tipi di neoplasia2. La classificazione della World Health Organization (WHO) del 20103 distingue i carcinomi dello stomaco in relazione alle caratteristiche fenotipiche in:

adenocarcinoma tubulare;

adenocarcinoma papillare;

adenocarcinoma mucinoso;

carcinoma a cellule disperse (inclusa la variante a cellule signet ring);

adenocarcinoma misto;

varianti rare.

Queste classificazioni hanno tuttavia una limitata utilità clinica che ha fatto emergere la necessità di approfondire ulteriormente i meccanismi molecolari alla base della carcinogenesi nel carcinoma gastrico con l’obiettivo di individuare potenziali target molecolari bersaglio di terapie specifiche.

A questo scopo, i ricercatori del Cancer Genome Atlas (TCGA) hanno proposto una nuova classificazione, frutto dello studio delle pathway alterate su 295 campioni di carcinoma primitivo dello stomaco4. Questo lavoro ha quindi portato alla suddivisione dei carcinomi gastrici in 4 sottotipi (figura 1):

tipo 1, EBV positivi (Epstein-Barr virus-infected), che rappresentano il 9% dei tumori dello stomaco e si localizzano più frequentemente nel fondo-corpo gastrico e sono caratterizzati da un alto tasso di mutazione di PI3KCA e da una over-espressione di PD-L1/2;

tipo 2, MSI (microsatellite instability), che rappresentano il 22% della casistica e sono caratterizzati da un alto tasso di mutazioni che si accumulano in sequenze ripetute di DNA chiamate microsatelliti;

tipo 3, GS (genomically stable), che rappresentano il 20% della casistica e si sovrappongono in parte agli istotipi diffusi secondo la classificazione di Lauren;

tipo 4, CIN (chromosomal intability), che rappresentano circa la metà dei casi e sono caratterizzati da istologia intestinale, mutazioni di p53 e attivazione della pathway di RAS.




Più recentemente, l’Asian Cancer Research Group (ACRG) ha proposto un nuova classificazione basata sull’analisi di gene expression profiling su 300 casi di carcinoma gastrico5, distinguendo pertanto 4 sottogruppi molecolari (figura 2):

MSI;

MSS/EMT (epithelial-to-mesenchimal transition);

MSS/p53-;

MSS/p53+.




Queste sottoclassi molecolari hanno evidenziato una diversa sopravvivenza e probabilità di recidiva: mentre i tumori MSI mostrano una minore probabilità di recidiva e una migliore sopravvivenza, i tumori MSS/EMT hanno la più alta probabilità di recidiva e la peggiore prognosi; gli altri 2 sottogruppi hanno rischio di recidiva e sopravvivenza intermedia.

Tali classificazioni, pur necessitando di una validazione prospettica e su più ampie casistiche, potrebbero rappresentare la base per lo sviluppo futuro anche nel carcinoma gastrico di strategie terapeutiche biomarker-driven e per una personalizzazione dei trattamenti sulla base del profilo molecolare. Per esempio, i tumori EBV-positivi della classificazione del TCGA evidenziano un alto tasso di mutazioni del gene PI3KCA che codifica per la chinasi PI3K e potrebbero beneficiare pertanto di trattamenti con inibitori di questa proteina. Allo stesso modo i tumori EBV-positivi e MSI, essendo caratterizzati da un’attivazione del sistema immunitario e un’alta espressione di PD-L1/2, rappresentano candidati ideali al trattamento con immune-checkpoint inibitori quali gli anti-PD1 o anti-PD-L1. Inoltre, i tumori CIN sono caratterizzati da un’elevata espressione di recettori tirosin-chinasici, quali il VEGFR2, e pertanto potrebbero essere i candidati ideali al trattamento con farmaci anti-VEGFR2, quali il ramucirumab.

La terapia della fase metastatica, scelta del momento o percorso terapeutico?

La maggior parte dei pazienti con carcinoma gastrico avanzato si presenta con sintomi quali nausea, inappetenza, calo ponderale e dolori addominali che complicano molto spesso l’effettuazione delle terapie.

Diversi sono i fattori che influenzano l’outcome dei pazienti con carcinoma gastrico avanzato. Il performance status (PS) riveste certamente un ruolo chiave: in un’analisi retrospettiva su 657 pazienti con carcinoma gastrico avanzato che hanno ricevuto un trattamento chemioterapico di prima linea, i pazienti con PS sec. ECOG 2 evidenziavano una maggiore difficoltà ad alimentarsi e alcune caratteristiche cliniche quali la presenza di ascite massiva, la non eleggibilità per trattamenti orali o terapie di combinazione e conseguentemente una ridotta sopravvivenza rispetto ai pazienti con PS 0-1 (5,8 vs 13,9 mesi, p<,001)6.

Anche l’età stessa può rappresentare un determinante nella scelta del trattamento. Nello studio del gruppo AIO, 143 pazienti con carcinoma gastrico avanzato con almeno 65 anni di età sono stati randomizzati a ricevere 5-FU, leucovorin e oxaliplatino (schema FLO) o la stessa terapia in combinazione con docetaxel (schema FLOT). La tripletta si è dimostrata nettamente più tossica con un deterioramento della qualità di vita in una percentuale rilevante di pazienti7.

Anche lo stadio di malattia può avere un impatto nella scelta dei trattamenti e nello specifico in riferimento alla distinzione tra malattia localmente avanzata inoperabile e metastatica. Nello studio del gruppo AIO, infatti, la tripletta FLOT sembrerebbe produrre un vantaggio in PFS limitato al sottogruppo di pazienti con malattia localmente avanzata. In questo sottogruppo di pazienti, la scelta del trattamento dovrebbe orientarsi all’utilizzo di regimi di combinazione maggiormente attivi, con lo scopo di ottenere una risposta obiettiva che possa convertire alla resecabilità i pazienti con malattia inizialmente non resecabile. Nello studio condotto dal gruppo GISCAD, infatti, 82 pazienti con malattia localmente avanzata confermata alla laparotomia o allo staging pre-operatorio con TAC ed ecoendoscopia sono stati trattati con il regime PELF (cisplatino settimanale, 5-FU, epidoxorubicina, 6S-leucovorin, glutatione e filgrastim). Su 82 pazienti, 40 (49%) hanno ottenuto una risposta obiettiva e 37 di questi sono stati sottoposti a chirurgia con intento curativo, con una netta differenza di sopravvivenza rispetto ai pazienti non resecati8.

Sebbene i trattamenti chemioterapici si siano dimostrati superiori rispetto all’esclusiva terapia di supporto nel trattamento della malattia metastatica, la sopravvivenza mediana nei principali trial clinici di prima linea nel carcinoma gastrico non superava gli 11 mesi9. In questo senso l’individuazione dell’espressione di HER-2 come driver di malattia, e conseguentemente come potenziale target terapeutico, ha rappresentato una vera e propria rivoluzione nel trattamento del carcinoma gastrico avanzato. Infatti, lo studio TOGA ha evidenziato come l’aggiunta di trastuzumab, un anticorpo monoclonale anti-HER-2, a un regime di trattamento con cisplatino e fluoro pirimidine, determini un vantaggio in sopravvivenza globale di 2,7 mesi rispetto alla sola chemioterapia nei pazienti HER-2 positivi (13,8 vs 11,1 mesi, HR 0,65 95% CI 0,51-0,83, p=0,0046), con una riduzione del rischio di morte del 35%, oltrepassando per la prima volta in un trial clinico il “confine” dei 12 mesi di sopravvivenza mediana10.

Negli ultimi anni si è osservato un graduale e progressivo incremento della sopravvivenza nei pazienti con carcinoma gastrico metastatico, attribuibile certamente a un miglioramento delle terapie di supporto, ma anche a un sempre maggiore utilizzo delle terapie di seconda e terza linea11.

Il ruolo del trattamento chemioterapico di seconda linea è stato ribadito in una recente meta-analisi che ha analizzato i 3 principali trial clinici randomizzati in questo setting. Sono stati analizzati 410 pazienti con adenocarcinoma dell’esofago, della giunzione gastro-esofagea e dello stomaco e trattati con sola terapia di supporto o con chemioterapia di seconda linea (docetaxel o irinotecan) in associazione alla terapia di supporto. La chemioterapia di seconda linea con entrambi i farmaci ha dimostrato una significativa riduzione del rischio di morte (HR 0,63 95% CI 0,51-0,77, p<0,0001)12.

Molto importante è tuttavia la selezione dei pazienti che possono trarre beneficio da un trattamento di seconda linea. Tra i diversi fattori che vari autori hanno analizzato nel tentativo di individuare i pazienti che possano beneficiare maggiormente di un trattamento di seconda linea, vi sono certamente il tempo alla progressione della prima linea e soprattutto il PS, con i pazienti che hanno un PS ≥2 che hanno la prognosi peggiore13-15.

Parimenti all’individuazione di HER-2 nel trattamento di prima linea del carcinoma gastrico avanzato, anche la scoperta del VEGFR2 come potenziale target terapeutico ha rappresentato uno spartiacque rispetto al passato. Il ramucirumab, infatti, anticorpo monoclonale anti-VEGFR2, è stato il primo farmaco a bersaglio molecolare specifico a dimostrare un vantaggio di sopravvivenza nel setting del carcinoma gastrico pretrattato. Nello studio REGARD, 355 pazienti con adenocarcinoma dello stomaco o della giunzione gastro-esofagea in progressione dopo una prima linea a base di platino e fluoropirimidine sono stati randomizzati a ricevere ramucirumab in monoterapia o placebo. Ramucirumab ha dimostrato un vantaggio in sopravvivenza globale, endpoint primario dello studio, rispetto al braccio di controllo (5,2 vs 3,8 mesi, HR 0,776, 95% CI, 0,603-0,998, p=0,047), vantaggio che si è mantenuto in tutti i sottogruppi e con un profilo di tollerabilità assolutamente maneggevole16. Nello studio RAINBOW, invece, 665 pazienti con adenocarcinoma gastrico o della giunzione gastro-esofagea in progressione dopo una prima linea a base di platino e fluoropirimide (con o senza antraciclina) sono stati randomizzati a ricevere la combinazione di paclitaxel e ramucirumab o il solo paclitaxel (schedula settimanale), dimostrando un vantaggio del braccio di combinazione in termini di risposte obiettive (28% vs 16%), di PFS (4,4 vs 2,9 mesi, HR 0,63 95% CI 0,53-0,75, p<0,0001) e di sopravvivenza globale (9,6 vs 7,3 mesi, HR 0,80 95% CI 0,67-0,96, p=0,017) con un profilo di tossicità maneggevole e un prolungamento del tempo al deterioramento della qualità di vita e del PS17,18 (tabella 1).

I risultati in termini di efficacia e di safety ottenuti nell’ambito di trial clinici prospettici, per quanto randomizzati, multicentrici e con un’ampia numerosità campionaria, appaiono tanto più solidi quanto più il dato viene confermato nell’ambito di esperienze di real-life, ovvero su casistiche meno selezionate di quelle arruolate negli stessi studi clinici.

Al congresso AIOM 2016 sono stati presentati i risultati preliminari dello studio RAMOSS: studio osservazionale multicentrico che ha coinvolto 25 centri oncologici italiani analizzando i dati relativi all’utilizzo di ramucirumab in monoterapia o in associazione al trattamento chemioterapico con paclitaxel settimanale all’interno del programma di uso terapeutico attivo dall’ottobre 2014 al febbraio 201619.

Sono stati arruolati 167 pazienti con neoplasia gastrica metastatica in progressione dopo una prima linea di trattamento chemioterapico a base di platino (cisplatino o oxaliplatino) e fluoropirimidine (5-FU o capecitabina).

Le caratteristiche della popolazione in studio sono risultate sovrapponibili a quelle dei trial registrativi del farmaco, escludendo dunque possibili bias di selezione:

ECOG 0 o 1 al momento dell’inizio del trattamento con ramucirumab;

40% dei pazienti con un tempo alla progressione dall’inizio della prima linea di trattamento inferiore ai 6 mesi;

coinvolgimento di più sedi metastatiche nel 60% dei casi;

25% dei casi con istologia diffusa.

L’analisi della safety, endpoint principale dello studio, ha confermato le più importanti tossicità già evidenziate nello studio RAINBOW (fatigue, neuropatia e neutropenia) seppure l’incidenza globale di tossicità di grado 3/4 sia stata inferiore al 10%, determinando un’interruzione definitiva del trattamento per tossicità nel 3% dei casi (figura 3).

Per quanto concerne i dati di attività, il tasso di risposte obiettive è stato del 20%, con un controllo di malattia (risposte parziali + stabilità) che si è avvicinato al 60%. A un’analisi effettuata con un follow-up mediano di 11,4 mesi, la sopravvivenza libera da progressione e la sopravvivenza globale mediane sono state rispettivamente di 2,7 e 4,8 mesi per i pazienti trattati con il solo ramucirumab (10%) e di 4,5 e 8,3 mesi per i pazienti trattati con la terapia di combinazione (90%).

Questi dati, che confermano la sicurezza e l’efficacia del farmaco nella pratica clinica quotidiana, rispecchiano quelli dell’analisi relativa alla popolazione occidentale arruolata nello studio RAINBOW20 (tabella 2)21 e, in particolare, sottolineano la superiorità di questo regime di combinazione rispetto ai farmaci che rappresentano il trattamento standard di seconda linea della neoplasia gastrica metastatica.




Diviene chiaro a questo punto come il trattamento della malattia avanzata nel carcinoma gastrico possa considerarsi un vero e proprio percorso terapeutico piuttosto che una scelta del momento, che deriva da una complessa valutazione che tenga conto di fattori legati al paziente quali l’età, il PS e le comorbilità, di fattori legati alla malattia quali lo stadio (localmente avanzato vs metastatico), la presenza o meno di sintomi e il burden di malattia e di fattori legati alla terapia stessa, quali il tipo di farmaci utilizzati in prima linea con le relative tossicità (figura 4).

Sulla base di queste considerazioni è possibile definire un algoritmo terapeutico con l’obiettivo di ottimizzare la strategia di trattamento nei pazienti con carcinoma gastrico avanzato (figura 5).







Affamare il tumore e nutrire il paziente

L’aspetto nutrizionale nei pazienti affetti da carcinoma gastrico assume oggi un ruolo sempre più centrale, supportato da diverse evidenze di letteratura che dimostrano come un corretto counseling nutrizionale produca un beneficio in questi pazienti sia nella fase precoce di malattia sia in quella avanzata.

A tal proposito, sempre più sorprendenti sono i dati relativi alla malnutrizione e alla necessità di un adeguato supporto nutrizionale nei pazienti oncologici: nel caso delle neoplasie gastro-esofagee, da una recente indagine francese sembrerebbe che il 60% dei pazienti in corso di trattamento chemioterapico sia malnutrito e che solo il 50% di questi sia sostenuto con un counseling e un eventuale supporto nutrizionale adeguato22.

Numerosi report negli ultimi anni hanno evidenziato quanto la malnutrizione e l’aggravamento del quadro fino alla sarcopenia siano strettamente correlati alla prognosi dei pazienti con neoplasia, siano essi in corso di trattamento chemioterapico o in follow-up.

A supporto di questo concetto, in un’analisi svolta in Canada e in Europa su 8160 pazienti affetti da neoplasia attiva, il calo ponderale e la riduzione del BMI sono risultati entrambi fattori prognostici negativi in analisi multivariata corretta per PS, età, sesso, sede e stadio della neoplasia23. Questo dato è stato ulteriormente confermato in una vasta analisi di coorte su 8673 pazienti austriaci con neoplasia attiva in cui il rischio di morte è stato significativamente correlato con la malnutrizione (BMI <18,5 kg/mq) e con l’obesità (BMI >35 kg/mq)24.

La sarcopenia e la “frailty” nel setting pre-operatorio sono stati recentemente analizzati dal gruppo della John Hopkins University: visionando 42 precedenti esperienze relative a neoplasie gastro-esofagee, entrambi i fattori sono risultati strettamente correlati a un peggiore outcome chirurgico ribadendone la centralità soprattutto nella valutazione pre-operatoria del soggetto anziano25.

Di particolare interesse, sempre relativamente al setting pre-operatorio, è una recente analisi retrospettiva svolta in Cina su 1320 pazienti sottoposti a gastrectomia presso il Sun Yat-sen University Cancer Center dal 2001 al 2012. Lo score nutrizionale pre-operatorio (dato dai valori di albumina, BMI ed entità del calo ponderale negli ultimi 3 mesi) è risultato essere un fattore prognostico negativo negli stadi secondo e terzo anche in analisi multivariata corretta per TNM, età, sesso, chemioterapia adiuvante, anemia. Lo score si è dunque rivelato utile per riconoscere, già nel setting pre-operatorio, quali sono i pazienti che necessitano da subito di un intervento nutrizionale26.

Nel setting post-operatorio, la semplice valutazione del BMI a un anno dall’intervento chirurgico si è dimostrata essere fattore prognostico indipendente dall’età, dal genere del paziente e dalle caratteristiche delle neoplasia gastrica (stadio, istologia, margine di resezione): nei pazienti con BMI elevato (>25) vi è stata una riduzione di circa il 50% del rischio di morte globale rispetto ai pazienti con BMI compreso tra 18 a 2527.

Altro aspetto da tenere in considerazione è come lo stato nutrizionale del paziente impatti sulla compliance alla chemioterapia. La malnutrizione, la sarcopenia e il calo ponderale si sono rivelati fattori predittivi di tossicità e riduzione di dose della chemioterapia e hanno dunque determinato una scarsa compliance al trattamento rispettivamente nel setting metastatico, neoadiuvante e adiuvante in pazienti con neoplasia gastroesofagea28-30.

Di particolare interesse è un’esperienza cinese in cui 830 pazienti con neoplasia gastrica diagnosticata dal 2009 al 2011 sono stati valutati prospetticamente dimostrando come lo stato nutrizionale (valutato con il metodo “European nutritional risk screening” o NRS) sia un fattore prognostico indipendente in analisi multivariata. Nella seconda fase dello studio, i pazienti con neoplasia gastrica metastatica diagnosticata nei 2 anni successivi con NRS>3 hanno ricevuto un adeguato supporto nutrizionale con un vantaggio di circa 5 mesi in termini di sopravvivenza globale per i pazienti con un miglioramento del NRS rispetto a quelli con uno stato nutrizionale invariato (14,3 mesi vs 9,6 mesi p 0,001)31.

Una recente esperienza italiana ha, inoltre, confermato quanto un corretto supporto nutrizionale per via enterale prolungato sia alla base di una migliore compliance al trattamento chemioterapico post-operatorio in pazienti sottoposti a chirurgia per neoplasie di origine gastro-esofagea: in uno studio clinico randomizzato multicentrico coordinato dall’Istituto Nazionale Tumori, 79 pazienti alimentati con nutrizione enterale nella prima fase post-operatoria sono stati randomizzati a proseguire il supporto nutrizionale tramite digiunostomia a domicilio o a riprendere l’alimentazione per os associata a counseling da parte di un nutrizionista dedicato. Nel gruppo di controllo si è verificato un calo ponderale superiore a 3 kg nei primi 3 mesi, mentre i pazienti che hanno proseguito l’alimentazione enterale hanno mantenuto un peso costante ottenendo in questo modo una maggiore probabilità di completare il trattamento chemioterapico adiuvante (34% vs 48% dei pazienti)32.

È dunque di recente pubblicazione un editoriale prodotto, in collaborazione, dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) e dalla Società Italiana di Nutrizione Artificiale e Metabolismo (SINPE), le cui raccomandazioni chiave sono:

esecuzione di un corretto screening nutrizionale con strumenti validati a partire dalla diagnosi, e ripetuto sistematicamente nei pazienti affetti da neo­plasie che possono, per caratteristiche e tipologia di trattamento, influenzare lo stato nutrizionale;

tempestiva segnalazione dei pazienti malnutriti o a rischio di malnutrizione al servizio di nutrizione clinica, per una corretta impostazione e gestione della terapia nutrizionale;

supporto nutrizionale e modifiche dietetiche che mirino al mantenimento e al recupero dello stato nutrizionale favorendo l’incremento degli introiti proteici e calorici o preservandoli33.

Conflitti di interesse: F. Gelsomino ha partecipato come relatore a congressi sponsorizzati da Lilly; M. Di Bartolomeo è stata relatrice a congressi sponsorizzati da Lilly, Amgen e Italfarmaco; L. Rimassa ha partecipato ad advisory board/meeting/lecture per Eli Lilly, Bayer, Sirtex, Amgen, Merck Serono. I restanti autori dichiarano l’assenza di conflitti di interesse.

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