Jerome P. Kassirer: una voce fuori dal coro

Unanticipated outcomes:
a medical memoir

Jerome P. Kassirer

Sherman Printing Company,
Canton (MA), 2017

Il testimone dei fatti raccontati in Unanticipated outcomes è un medico universitario trapiantato (transplanted academic) alla direzione di una tra le più conosciute riviste di medicina del mondo, settimanale che è – di fatto – il protagonista di queste pagine. Il narratore, Jerome P. Kassirer, è un clinico taciturno, «except for some emotional explosions over trivial issues», figlio di un agente assicurativo, formato alla Buffalo medical school e cresciuto professionalmente in un ambiente prestigioso della medicina statunitense, il Tufts medical center. Il protagonista è il New England Journal of Medicine, rivista caratterizzata da anni dal più alto impact factor tra quelle di medicina generale. Prima di diventare direttore del NEJM, Kassirer era un medico noto soprattutto per le proprie riflessioni sul clinical reasoning. Il NEJM, al contrario, solo raramente nella propria storia ha dovuto ragionare sulla strada da intraprendere dal momento che, come organo ufficiale della Massachusetts Medical Society (MMS), la sua strada è stata sempre chiaramente tracciata: conservarsi come “the currency of clinical world”.

È il 1991 quando Kassirer viene scelto per proseguire il lavoro di Arnold Relman come editor-in-chief della rivista. La decisione dell’editore è tutt’altro che scontata ma è in linea con lo stile delle direzioni precedenti: oltre a Relman, anche quella di Franz Ingelfinger. Come quest’ultimo, Kassirer presta particolare attenzione alla macchina editoriale: dalla fluidità del lavoro ai tempi di valutazione delle proposte, dai meccanismi della ­peer review all’invenzione di rubriche originali che possano integrare i più classici contenuti della rivista. Tra le molte altre features da lui introdotte, lo spazio riservato alle fotografie scattate dai lettori e inviate al settimanale. La capacità di trasformarsi da medico in un grande direttore di giornale è il frutto di un lungo praticantato nella redazione del NEJM. Giustamente, Richard Smith sosteneva nel suo libro The trouble with medical journals1 che uno dei problemi principali dell’editoria scientifica è nell’improvvida promozione di clinici più o meno rispettati in direttori di riviste, facendo finta di ignorare che essere alla guida di un periodico scientifico è da tempo un compito difficile e delicato. Anche per questo quella della MMS fu una buona scelta.

All’inizio della direzione di Kassirer, i tempi di valutazione, lavorazione editoriale e pubblicazione di un articolo variavano in media tra i 9 e i 12 mesi. La semplice idea di sondare in anticipo la disponibilità dei potenziali revisori a valutare il lavoro riuscì a ridurre radicalmente i tempi della peer review. In mancanza di e-mail, il fax faceva il proprio dovere. Ancora, il problema dei conflitti di interessi. Dichiararne la presenza, per Kassirer, non poteva essere sufficiente: «Disclosure of conflicts is supposed to clear the air, to be the great purifier, but is it? It doesn’t warn a reader that bias may be lurking, but it does not solve the problem. The lack of disclosure, so often challenged in journals and lay publications alike, is not the essential problem: the existence of the conflict is the problem». La nuova policy del NEJM prevedeva dunque una domanda preliminare ai possibili autori di editoriali e rassegne: ha conflitti da dichiarare? In caso di presenza di rapporti con industrie, quella firma era scartata e proseguiva la ricerca di un autore diverso: «Trust is hard to win and much easir to lose». In entrambi i casi – peer review e conflitti di interesse – si trattava di preservare la qualità della rivista – la tempestività della pubblicazione ne è un aspetto essenziale – e la sua integrità. Uno sforzo importante, anche se solo parzialmente riuscito per la resistenza di molti accademici a essere sinceri fino in fondo, come dimostrò successivamente un’inchiesta del Los Angeles Times2.

Non è un caso che la problematica esperienza di Kassirer alla direzione del NEJM sia avvenuta tra il 1991 e il 1999: stiamo parlando del decennio chiave della medicina di oggi, per il contemporaneo affermarsi dell’informatica – soprattutto della diffusione dell’accesso al web – e dell’intensificarsi della ricerca clinica. Maggiore accessibilità alle informazioni scientifiche, dunque, e più ampia possibilità di lavorare in rete, ma anche maggiore valore assegnato al sapere che scaturisce dalla ricerca e interesse crescente anche da parte dell’industria per i risultati degli studi che, da strumento di conoscenza condivisa, si trasformano sempre più spesso in strumenti al servizio del marketing farmaceutico, di dispositivi medici e alimentare. Con un corollario particolarmente rischioso: il legame sempre più stretto – davvero inevitabile? – tra medicina accademica e industria.




In quel decennio si andava affermando una visione nuova della ricerca e della clinica medica, che aveva le proprie radici nel lavoro di centri di eccellenza nella epidemiologia clinica, come Oxford, Harvard o la McMaster in Canada. Il lavoro dello EBM working group andava di pari passo con la costruzione della Cochrane collaboration. Quest’onda di cambiamento era guardata con sufficienza e, in molti casi, con sospetto dalla medicina accademica che aveva i grandi gruppi editoriali scientifici tra i propri principali alleati. A forza di acquisti e fusioni, i player restavano sempre meno numerosi e di conseguenza più ricchi e importanti. Ciò che determinava una carriera universitaria, ma soprattutto la fortuna di un prodotto farmaceutico, era l’articolo scientifico. Talvolta, ancora meno: una tabella, una figura, un grafico o un Forrest plot. Il “publone”, unità minima di misura del valore del medical publishing.

Questa importanza crescente dell’editoria scientifica faceva sì che rinunciare a pubblicare i risultati di uno studio – per questioni di priorità nel confronto tra i lavori ricevuti o anche per dei dubbi sulla qualità metodologica della ricerca stessa – poteva diventare un problema, talvolta un lusso, per gli editor delle riviste. La novità era che questa sensazione di occasione perduta la iniziavano a provare anche publisher che – almeno teoricamente – non avrebbero dovuto avere finalità di guadagno: è il caso dell’American Medical Association, di società scientifiche come l’American Heart Association o, per tornare al racconto di Kassirer, la MMS che era pur sempre un ente no profit rappresentativo dei medici di uno degli Stati federati degli USA. Quali motivi potevano – e possono – indurre un’organizzazione che non ha scopo di lucro a inseguire maggiori guadagni attraverso l’attività editoriale? Sulla difficoltà di rispondere a questa domanda indugiano le pagine di questo libro e su questo stesso interrogativo si è infine infranta la direzione di Kassirer. Beninteso: non mancherebbero le ragioni di una più intensa attività educazionale da parte di enti che hanno pur sempre nel proprio statuto l’obiettivo della formazione e dell’aggiornamento dei propri iscritti. Però, chiunque conosca i meccanismi del medical publishing sa quante insidie possano nascondersi nella scelta di una minore severità di giudizio nella peer review o in una politica non intransigente a regolare i conflitti di interesse. Chiunque oggi cammini nei corridoi di un’esposizione a latere di un congresso medico internazionale fa una discreta fatica nel distinguere la moltiplicazione dei prodotti editoriali decisa dall’American Medical Association (con i periodici del JAMA Network) o dal Lancet da operazioni commerciali basate sul merchandising del marchio principale. Forse, anche per la testarda opposizione di Kassirer, ciò non è avvenuto nel caso del NEJM e che l’acronimo della rivista sia stato integrato soltanto nella testata delle newsletter di pubblicazione secondaria dei Journal Watch della MMS appare tutto sommato il male minore.




Come dice Harlan Krumholz nella praise for in quarta di copertina, la testimonianza umana di Kassirer «trascende la medicina e ci lascia riflettere sulla natura della grinta, del coraggio, del rischio e del sacrificio». L’attenzione all’integrità della rivista è stata la stella polare del lavoro di Kassirer e il suo stile di medico lo ha sostenuto nel preservare tutto quello che nelle pagine della rivista avrebbero potuto migliorare la capacità del clinico di fare l’interesse del malato. Un’osservazione di James Brophy a commento di Unanticipated outcomes è particolarmente pertintente: «There is his chronicle of his development as an independent researcher seeking to go beyond his substantive specialty of nephrology into critical thinking and decision analysis. It is worth recalling the humble beginnings of quantitative decision making, and remembering that patient care has always been central to clinical decision making and we need to keep it paramount in this modern era of artificial intelligence, big data, and advanced neural networks»3.

Unanticipated outcomes è dunque un libro da leggere, perché aiuta a guardare con occhio meno ingenuo a quanto viene pubblicato in ambito scientifico e per trovare nuove ragioni per contrastare l’uso della ricerca clinica e della comunicazione scientifica per finalità commerciali. “An outside voice”, come lo stesso Kassirer si considera oggi come docente alla Stanford medical school. Voci fuori dal coro di cui sentiamo un bisogno crescente.

Luca De Fiore

Bibliografia

1. Smith R. The trouble with medical journals. Boca Raton, FL: CRC Press, 2006.

2. Monmaney T. Medical journal may have flouted own ethics 8 times. Los Angeles Times 1999; 21 ottobre.

3. Brophy J. Why Jerome Kassirer’s story is still so relevant. BMJ Blogs, 27 July 2017.