Recensione

di Stefano Cagliano




Troppa medicina,
di Marco Bobbio

In un capitolo di questo libro, Marco Bobbio coglie l’occasione di avanzare una critica sostanziale alla evidence based medicine. È un duello che affronteremo in altra sede. Più volte, poi, in queste pagine cita il ruolo di Slow Medicine, un movimento di cui è partecipe attivo. Ma anche di questo movimento potrei occuparmi in altro momento, quando recensirò il volume Le parole della medicina che cambia1.

In questa sede, l’attenzione e la cura sono tutte e solo per Troppa medicina, ultimo piano del condominio Marco Bobbio, del quale ho già avuto modo di apprezzare nel tempo i diversi livelli.

Il volume è ben organizzato sul piano dello sviluppo logico e informativo per il lettore. E per questo è utile seguirne l’indice per apprezzarlo.

Nell’Introduzione si viene a contatto con alcune esperienze esemplificate del problema principe trattato nel libro – ovvero, un uso eccessivo della medicina può nuocere alla salute – e così pure con la denuncia che l’autore sembra fare sul fatto che non è la prima volta che si parla di questi temi. Tra i pionieri, Bobbio ricorda Daniel Callahan, fondatore dell’Hastings Center e pioniere della “bioetica”, e Richard Smith. Mentre Callahan denunciava che la medicina odierna era caratterizzata da una potente istanza perfezionistica, Smith, sulle colonne del BMJ, «sollevava il problema delle aspettative irrealistiche radicate nell’immaginario delle persone costantemente alimentate da medici che enfatizzano i risultati delle terapie, da giornali che considerano “notizia solo ciò che promette guarigione, da quei politici che assicurano servizi sempre più efficienti e liste d’attesa sempre più brevi mentre tagliano i fondi per il sistema pubblico”»2,3.

Nel I capitolo, “La ricerca della certezza”, Bobbio esemplifica in modo convincente, i diversi modi con i quali medici e pazienti, entrambi vittime dello stesso morbo, per la salute, sono alla ricerca della certezza. Anche se gli strumenti cambiano (analisi, test, esami d’ogni genere) resta sempre un disagio di fondo. «Di fronte all’incertezza del futuro, medici e pazienti condividono, seppure con sentimenti discordanti, un forte disagio»2 (p. 23). E a questo sono serviti poco nel tempo la medicina di precisione o la ricerca di alterazioni genetiche. Una curiosa sorpresa del DNA – osserva Bobbio – è stata che «un’alterazione genetica non determina non modo assiomatico la futura comparsa di una malattia»2 (p. 24).

Il capitolo II, “Aspettative irrealistiche”, è l’occasione per presentare al lettore il progetto del movimento Choosing Wisely, nato dalla collaborazione dell’American Board of Internal Medicine (ABIM) con un’associazione di consumatori (Consumers Reports). Il gruppo ha avuto un successo incredibile nel mondo. Bobbio riporta che da allora 90 società scientifiche (SS) hanno aderito all’iniziativa individuando in ogni Paese le 5 pratiche a maggiore rischio di appropriatezza. Aggiungo ora che l’American Academy of Pediatrics ha pubblicato un elenco di 5 tipi di esami che i medici dovrebbero evitare di prescrivere6.

Il capitolo III, “Curarsi o non curarsi”, presenta un problema diventato sempre più importante con l’incremento degli anziani, ovvero con l’aumento delle persone vittime o di gravi aterosclerosi con demenze multi-infartuali o di malattia di Alzheimer. Alla fine, di fronte a malati, che sono solo in attesa di un treno che sarà davvero rapido, Marco Bobbio sostiene che «il medico da depositario della verità, deve trasformarsi in una sorta di mediatore emotivo»2 (p. 51).

Questo capitolo, però, non presenta quadri solo di semplice attesa, ma anche un atto importante come la rinuncia, «un atto attivo e conveniente»2 (p. 52). Noi non siamo in grado di prevedere sempre il futuro, osserva l’autore, l’esito di un esame o di una terapia che in cuor nostro crediamo risolutivi, mentre le cose non vanno sempre come pensiamo. «Dobbiamo aggiungere sulla bilancia – osserva Bobbio – anche i valori e i desideri dei pazienti»2 (p. 52). Dobbiamo fare i conti, aggiungo io, con uno stato d’animo, con un insieme di paure e pensieri che in certe situazioni solo il paziente è in grado di fare. Non ci sono linee-guida (LG) su come relazionarsi in questi casi.

Il capitolo IV, “Screening utili e inutili”, curiosamente scritto da un cardiologo, è tra i più riusciti, a mio parere. Per la qualità del linguaggio, perché presenta del cancro informazioni che i medici in genere non conoscono, a partire dal tumore di mammella e di prostata.

Questo capitolo, il successivo e l’introduzione sono le parti più felici di un libro, tutto da leggere con cura. Se non altro, per imparare qualcosa.

Come appena detto, anche il capitolo V, “Informazioni condizionate”, è un capitolo molto utile sul piano logico, sia per il malato sia per il medico. Affronta temi non conosciuti dal primo e disconosciuti dal secondo.

L’informazione malata è un problema endemico del mondo attuale.

Bobbio presenta il quadro sindromico nelle sue articolazioni. Il conflitto d’interessi, la stesura di protocolli (fittizi), i congressi, la pubblicazione (promossa) e la diffusione (finanziata) di articoli di pubblicazioni scientifiche scritte, non dagli autori, con l’unico merito di un solido appoggio presso una cattedra universitaria, ma da ghost writer, ovvero da autori oscuri.

E poi, last but not least, le SS e le LG, ovvero l’apoteosi del male in campo scientifico a mio giudizio (tranne rare eccezioni). «Da una ventina d’anni – racconta Bobbio – le SS e le Agenzie Governative affidano a esperti il compito […] di fornire raccomandazioni sulle strategie per […] una diagnosi o per curare una malattia. Questi – continua Bobbio – documenti, chiamati LL (guidelines) rappresentano il riferimento ufficiale e vengono utilizzati dai medici per scegliere i trattamenti e da parecchi periti del tribunale per giudicare la legittima di una decisione contestata»1 (p. 89) (il corsivo è mio).

Il problema però è che sono state sollevate molte perplessità sull’oggettività della maggior parte delle LG. E si potrebbero fornire numerosi esempi a proposito di quanto sinteticamente sostiene Bobbio ovvero che «di solito, i clinici chiamati a redigerle hanno forti legami di tipo economico con le industrie che producono farmaci e dispositivi e quindi, per compiacere i propri finanziatori, tendono a favorire le prescrizioni, basandosi sui dati scientifici, ma fornendo anche suggerimenti e opinioni personali»1 (p. 89).

Invece nel capitolo VI, “Difendersi dagli esami e dalle denunce”, il tema è apparentemente invertito. Sembra che ci sia il malato da difendere e che a difenderlo sia proprio il medico. Bobbio presenta i molti casi in cui un medico si propone unico artefice delle sorti di un malato ignaro. Ignaro dei rischi e pericoli che corre. Propongo un esempio che conosco. «Che fare in Pronto soccorso con due genitori preoccupati per la possibile (ripetiamo possibile) diagnosi di appendicite del figlio? Una risposta facile, immediata per tutti e tre (genitori e medico di PS) potrebbe essere “una TC addome con mdc che aumenta la probabilità diagnostica”. Si potrebbe far notare però, a quegli stessi genitori, che per il possibile danno da radiazioni si dovrebbe evitare una TC di routine per i casi probabili di appendicite nei giovani. Ci sono innumerevoli casi del genere nella pratica medica»5.

Anche il capitolo VII, “Sprechi”, ha un contenuto simile perché parla di esami inutili e degli sprechi come pure delle politiche volte a delinearne una riduzione, anche «tagliando gli investimenti che non producono salute e talvolta la danneggiano»1 (p. 114). Negli Usa, per esempio, Donald Berwick, ex amministratore delegato di Medicaid e Medicare, ha individuato sei categorie di sprechi e ha stimato che va via in sprechi tra il 21 e il 47% della spesa sanitaria nazionale, una percentuale fissa al 30% secondo l’Institute of Medicine.

In ciò che viene detto nel capitolo VIII, “Conclusioni”, si raccolgono davvero le conclusioni logiche di questa utile riflessione sulla medicina contemporanea. «“Fare di più non significa meglio” è contro intuitivo,… ma fare di più può essere un azzardo»1 (p. 124). Fortunatamente Marco formula una dopo l’altra asserzioni tanto semplici, quanto puntuali.

Nel paragrafo sul rapporto di fiducia Bobbio osserva che «il medico di solito dedica molte energie a proporre la cura oggettivamente migliore, mentre sarebbe auspicabile che impostasse il colloquio ponendo al centro i problemi e le esigenze del paziente, cercando di capire di cosa ha bisogno per stare meglio e cosa si aspetta dal medico e dalla terapia. E la reciproca fiducia che determina la soddisfazione di una scelta pienamente condivisa»1 (p. 129).

Sì, perché come osserva più oltre, «troppa medicina fa male»1 (p. 131).

Bibliografia

1. Slow Medicine. Le parole della medicina che cambia. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2017.

2. Bobbio M. Troppa medicina. Torino: Einaudi, 2017.

3. Smith R. The NHS: possibilities for the endgame. Think more about reducing expectactions. BMJ 1999; 318: 209.

4. Choosing Wisely. American Academy of Pediatrics – Section on Endocrinology. Five Things Physicians and Patients Should Question. October 2, 2017. https://goo.gl/Y8vpws

5. Cagliano S, Addobbati A. In pronto soccorso. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2017, p. 4.