In questo numero

Due riflessioni sui problemi dell’aderenza alle terapie e la serie di brevi comunicazioni presentate alla Riunione annuale 2017 della Associazione Alessandro Liberati – Network Italiano Cochrane. Due piccoli “blocchi” di contenuto di questo numero della rivista legati da un ricordo.

A un certo punto della sua vita, David Sackett divenne “il massimo esperto del mondo” su un argomento apparentemente banale ma invece molto importante: allora si parlava di “compliance alla terapia”, in altre parole il grado col quale un paziente segue le prescrizioni del proprio medico. Ebbene: Sackett veniva chiamato ovunque a parlare di questo e invitato continuamente a scrivere contributi che sarebbero usciti sulle riviste internazionali più conosciute. Sempre e soltanto sull’aderenza, fino a quando dichiarò pubblicamente di non volersene più occupare. Passa qualche anno e, avendo concentrato le proprie ricerche e la sua attività su un’altra importante questione – la necessità di basare le decisioni mediche sui risultati di ricerche attendibili – si ritrovò di nuovo nella stessa condizione: “esperto” solo e soltanto della evidence-based medicine. A quel punto, con uno spiritoso ma serio articolo pubblicato dal BMJ, comunicò la propria intenzione di dimettersi dalla condizione di “esperto”1.

Era una provocazione, d’accordo, ma secondo Sackett la sua condizione aveva degli effetti collaterali non trascurabili: soprattutto, aveva capito che la sua profonda preparazione su un determinato argomento condizionava la sua stessa capacità di immaginare percorsi nuovi e potenzialmente più innovativi. Non solo: intervenendo a congressi, parlando in pubblico, scrivendo articoli scientifici, influenzava eccessivamente gli allievi e i ricercatori più giovani inibendo la loro capacità di immaginare nuovi percorsi di studio.

La storia di Sackett può suggerirci una riflessione che non perde di attualità: nel rapportarci con qualsiasi “esperto” non dovremmo dimenticare che il vantaggio della sua competenza potrebbe essere negativamente bilanciato dalla tentazione di muoversi nel solco della medicina accademica. Il ruolo dei professionisti sanitari molto esposti pubblicamente è particolarmente delicato perché il loro punto di vista può influenzare i comportamenti clinici molto più di tante linee-guida o di normative istituzionali2. Orientano l’attività di ricerca, indirizzano la scelta dei farmaci da preferire nelle unità operative degli ospedali, comunicano col pubblico e coi cittadini tramite interviste ai media e alla stampa laica3.

In una stagione in cui il maggior problema sembra essere quello delle fake news, converrebbe riflettere su quelli che realmente potrebbero essere i migliori strumenti per contrastarle. Forse, evitando di ricorrere sempre e comunque “al parere dell’esperto”. “Systems that classify ‘expert opinion’ as a category of evidence also create confusion. Judgment is necessary for interpretation of all evidence, whether that evidence is high or low quality. Expert reports of their clinical experience should be explicitly labelled as very low-quality evidence, along with case reports and other uncontrolled clinical observations”4.

Bibliografia

1. Sackett DL. The sins of expertness and a proposal for redemption. BMJ 2000; 320: 1283.

2. Carpenter CR, Sherbino J. How does an “opinion leader” influence my practice? CJEM 2010; 12: 431.

3. Doumit G, Gattellari M, Grimshaw JM, et al. Local opinion leaders: effects on professional practice and health care outcomes. Cochrane Database Syst Rev 2007:CD000125.10.1002/14651858.CD000125.pub3.

4. GRADE Working Group. Grading quality of evidence and strength of recommendations. BMJ 2004; 328: 1490.

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