ASCO 2018: novità cliniche e sfide organizzative

Insonnia nei sopravvissuti al cancro: agopuntura e terapia cognitivo-comportamentale a confronto

Più del 60% dei pazienti che sopravvivono al cancro soffre di insonnia, disturbo comune e debilitante, spesso sottodiagnosticato e sottotrattato. Dal Memorial Sloan Kettering cancer center (MSKCC) di New York arrivano i risultati di uno studio randomizzato controllato svolto su 160 pazienti sopravvissuti al cancro e affetti da insonnia che ha confrontato due interventi: la Cognitive behavioral therapy for insomnia (CBT-I) e l’agopuntura. Lo studio è stato presentato al meeting annuale dell’American society of clinical oncology. La CBT-I è una nuova forma di psicoterapia finalizzata a modificare emozioni, comportamenti e pensieri attinenti al sonno, ed è attualmente considerata il gold standard per il trattamento dell’insonnia, come affermato da Jun J. Mao, autore principale dello studio e direttore dell’Integrative medicine service al MSKCC1. Sulla base di survey precedenti, i ricercatori hanno potuto verificare la preferenza tra i pazienti sopravviventi al cancro per approcci di tipo non farmacologico che trattassero i sintomi dell’insonnia. In base a questi feedback e in base a studi precedenti che avevano dimostrato i potenziali benefici dell’agopuntura, è stato individuato questo come trattamento da confrontare alla CBT-I.

Obiettivo primario del trial era determinare quale dei due approcci fosse più efficace nel diminuire l’insonnia. I 160 pazienti arruolati (età media 61,5 anni) sono stati quindi randomizzati a ricevere per 8 settimane uno dei due interventi. All’inizio dello studio, a tutti i partecipanti era stata clinicamente diagnosticata e misurata l’insonnia con l’Insomnia severity index (ISI). La CBT-I si è dimostrata il trattamento più efficace in assoluto: dopo 8 settimane, il punteggio relativo alla gravità dell’insonnia era sceso di 10,9 punti (95% CI 9,8-12,0) per i pazienti assegnati al braccio CBT-I, mentre nei pazienti sottoposti ad agopuntura era sceso di 8,3 punti (95% CI 7,3-9,4). Tra i pazienti con insonnia leggera la risposta alla CBT-I era significativamente più alta rispetto all’agopuntura (85% vs 18%, p<0,0001). Per i pazienti con insonnia da moderata a grave i tassi di risposta erano pressoché simili. Tutti i partecipanti, rivalutati al follow-up 20 settimane dopo l’inizio dello studio, avevano mantenuto i miglioramenti.

Benedetta Ferrucci

Bibliografia

1. Mao JJ, Xie S, Duhamel K, et al. The effect of acupuncture versus cognitive behavior therapy on insomnia in cancer survivors: a randomized clinical trial. J Clin Oncol 2018; 36: (suppl; abstr 10001).




Tumori testa-collo,un sistema per il monitoraggio dei sintomi da remoto

In pazienti affetti da tumori della testa e del collo l’utilizzo di una tecnologia mobile per il monitoraggio dei sintomi da remoto si associa a una riduzione della loro gravità. È questa la conclusione a cui è giunto uno studio dell’MD Anderson cancer center di Houston, i cui risultati sono stati presentati al meeting annuale dell’ASCO, che ha messo a confronto l’efficacia di questo tipo di protocollo rispetto a un normale ciclo di visite settimanali1.

Sono stati presi in considerazione 357 pazienti sottoposti a un ciclo di radioterapia per il trattamento di un tumore della testa o del collo. Questi sono stati divisi, mediante procedura di randomizzazione, in due gruppi: il primo, composto da 169 soggetti, è stato monitorato attraverso un sistema denominato CYCORE (Cyberinfrastructure for comparative effectiveness research), il quale prevede l’utilizzo di sensori (polsini per la misurazione della pressione sanguigna e bilance) collegati attraverso un’applicazione per tablet al sistema informatico dell’MD Anderson; il secondo gruppo invece, composto da 188 pazienti, è stato monitorato mediante visite ambulatoriali a cadenza settimanale. Per quanto riguarda il gruppo CYCORE, i medici del centro erano in grado di monitorare quotidianamente da remoto l’andamento dei dati provenienti dai sensori e di intervenire tempestivamente in caso di necessità. A tutti i soggetti coinvolti è stato somministrato, prima e dopo il ciclo di radioterapia, il 28-item MD Anderson symptom inventory: un questionario che indaga l’intensità dei sintomi comunemente sofferti dai pazienti oncologici (es. dolore, fatica, nausea) e di quelli associati in modo specifico ai tumori della testa e del collo (es. difficoltà di deglutizione/masticazione, perdita del gusto, rush cutanei).

Dai dati raccolti al termine del ciclo di radioterapia è emersa una differenza significativa, in termini di severità dei sintomi, a favore del gruppo sottoposto al protocollo con tecnologia CYCORE, sia per i sintomi generali che per quelli tumore-specifici. Tale differenza non era invece presente nelle fasi iniziali del trial clinico. «Il nostro studio mostra che l’utilizzo di queste nuove tecnologie può essere integrato in modo semplice nell’assistenza dei pazienti oncologici e determinare un miglioramento del loro stato di salute», ha commentato Dudak K. Peterson, docente della University of Texas tra gli autori della ricerca. I ricercatori sono ora interessati a valutare l’efficacia del sistema CYCORE sul lungo termine e in contesti non universitari, in cui viene trattata la maggior parte dei pazienti.

Fabio Ambrosino

Bibliografia

1. Peterson SK, Garden AS, Shinn EH, et al. Using mobile and sensor technology to identify early dehydration risk in head and neck cancer patients undergoing radiation treatment: impact on symptoms. ASCO Annual Meeting 2018; Abstract 6063.




Tumore al polmone, meglio usare next generation sequencing per tutte le mutazioni

Usare il next generation sequencing (NGS) per testare tutte le mutazioni geniche correlate al tumore del polmone al momento della diagnosi è più conveniente e veloce rispetto a testare uno o un numero limitato di geni alla volta? Sembrerebbe di sì, in base ai risultati ottenuti da un modello economico che confronta diversi tipi di test genetici nel carcinoma polmonare metastatico non a piccole cellule (NSCLC), presentati a Chicago durante il meeting ASCO.

Il test genetico del tumore ha un ruolo centrale nel guidare il trattamento per il NSCLC. Attualmente però, pur essendo molti i test disponibili, non esiste uno standard accettato rispetto ai tempi e alle modalità di esecuzione. «Oggi molte decisioni terapeutiche sono guidate dalla presenza o dall’assenza di alcune mutazioni geniche nel tumore di un paziente, e mi aspetto che nel prossimo futuro vengano identificati molti più geni. Quindi diventa ancora più indispensabile trovare un test genetico economico che possa identificare rapidamente un gran numero di mutazioni che possono diventare target dei trattamenti», ha evidenziato Nathan Pennell1, autore dello studio principale e co-direttore del Cleveland clinic lung cancer program.

Nel modello economico presentato, i pazienti con NSCLC metastatico di nuova diagnosi hanno ricevuto il test PD-L1 e il test per i geni noti correlati al cancro del polmone utilizzando quattro diversi approcci:

upfront NGS (tutti gli otto geni correlati al NSCLC e KRAS testati contemporaneamente);

test sequenziali (è stato testato un gene alla volta);

test KRAS di esclusione, seguito da test sequenziali per i cambiamenti in altri geni se KRAS non mutato;

panel test (test combinato per ­EGFR, ALK, ROS1 e BRAF ), seguito dal test a singolo gene o NGS per le mutazioni in altri geni.

In base al numero e all’età delle persone con NSCLC metastatico ogni anno negli Stati Uniti, i ricercatori hanno stimato che, su 1 milione di assicurati, 2066 test sarebbero stati pagati da Centers for medicare and medicaid services e 156 invece dai piani sanitari privati. Il risparmio calcolato con l’NGS arrivava fino a 2,1 milioni di dollari per Medicare e a oltre 250.000 dollari per le assicurazioni private.

Alessio Malta

Bibliografia

1. Pennell NA, Mutebi A, Zhou Z, et al. Economic impact of next generation sequencing vs sequential single-gene testing modalities to detect genomic alterations in metastatic non-small cell lung cancer using a decision analytic model. ASCO Annual Meeting 2018; Abstract 9031.

Tumore al polmone: pochi fumatori forti si sottopongono a screening negli USA

Nonostante le raccomandazioni della US Preventive Services Task Force (USPSTF), la maggior parte dei fumatori forti non si sottopone a screening per il cancro del polmone. I risultati della ricerca presentata al meeting annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) mostrano come negli Stati Uniti ci sia bisogno di un’efficace campagna pubblica per incoraggiare lo screening per il cancro del polmone. L’esempio a cui guardare è quello delle campagne di sensibilizzazione degli anni ’90 che hanno portato le donne a fare la mammografia, salvando molte vite negli anni successivi.

«Abbiamo bisogno di qualcosa di simile per incoraggiare gli attuali ed ex fumatori pesanti a essere sottoposti a screening per il cancro del polmone», ha dichiarato Bruce E. Johnson, presidente ASCO. Con 154.040 decessi stimati per il 2018 negli Stati Uniti, il tumore al polmone si candida a essere la principale causa di morte per cancro. A fronte di questi numeri, le raccomandazioni dell’USPSTF sono chiare: è importante sottoporre a screening per carcinoma polmonare con TAC a basso dosaggio di radiazioni i fumatori o ex fumatori (30 o più pacchetti/anno) di età compresa tra i 55 e gli 80 anni. Nel 2012, l’ASCO e l’American college of chest physicians hanno emanato linee-guida comuni con queste stesse raccomandazioni.

Lo studio presentato a Chicago ha valutato i tassi di screening per il cancro del polmone per la prima volta da quando le raccomandazioni sono state emesse nel 20131. Dall’analisi di 1800 screening per carcinoma polmonare a livello nazionale, su dati dal Lung cancer screening registry dell’American college of radiology del 2016, è emerso che solo l’1,9% degli oltre 7 milioni di attuali fumatori ed ex fumatori forti è stato sottoposto a screening per cancro al polmone, nonostante le raccomandazioni allo screening della USPSTF e dell’ASCO.

I dati sono stati confrontati con le stime della National health interview survey del 2015 sui fumatori idonei allo screening sulla base delle raccomandazioni USPSTF. Il tasso di screening è stato calcolato dividendo il numero di TAC a basso dosaggio per il numero di fumatori eleggibili per lo screening secondo le raccomandazioni USPSTF. Nonostante nel Sud del paese siano presenti i siti di screening più accreditati (663) e il più alto numero di fumatori idonei per lo screening (3.072.095), il tasso di screening è solo dell’1,6%, il secondo più basso del paese. A ovest il tasso di screening più basso all’1,0% e il più basso numero di siti accreditati (232). Il tasso di screening più elevato nel Nord-Est (3,5%) e il midwest il secondo più alto tasso dell’1,9%. A livello nazionale, un totale di 1796 centri di screening accreditati avrebbe potuto esaminare 7.612.975 fumatori attuali ed ex fumatori, ma solo 141.260 persone hanno effettuato screening tramite TAC a basso dosaggio (con un tasso di screening nazionale dell’1,9%).

Per tornare al confronto con la mammografia: circa il 65% delle donne di età pari o superiore a 40 anni si è sottoposta a mammografia nel 2015. «Sfortunatamente i tassi di screening per il cancro del polmone sono molto più bassi rispetto ai tassi di screening per i tumori della mammella e del colon-retto», ha dichiarato Danh Pham, oncologo presso il James Graham Brown cancer center, dell’Università di Louis­ville nel Kentucky e primo autore dello studio. Non è chiaro se questo sia dovuto alle scarse indicazioni da parte dei medici o se dipenda dalla resistenza psicologica da parte del paziente legata alla paura della diagnosi. «Il cancro ai polmoni è l’unico tipo in cui potrebbe esserci uno stigma associato allo screening, poiché alcuni fumatori pensano che se il cancro venisse rilevato, confermerebbe delle cattive abitudini di vita».

Ma veniamo alla buona notizia: gli autori hanno già iniziato a esaminare i tassi di screening per il cancro del polmone del 2017 e, in via preliminare, si riscontra un leggero aumento complessivo in tutte le regioni. I buoni esempi a cui guardare non mancano, dalla mammografia per il tumore della mammella alla colonscopia per quello del colon, ma servono iniziative di sensibilizzazione che spingano le persone a rischio a sottoporsi a screening perché molti decessi per cancro del polmone possano essere prevenuti.

Norina Wendy Di Blasio

Bibliografia

1. Pham D, Bhandari S, Oechsli M, et al. Lung cancer screening rates: data from the lung cancer screening registry. ASCO Annual Meeting 2018; Abstract 6504.




Tumore testa-collo: c’è una discriminazione di genere?

Esiste una discriminazione di genere nel trattamento del tumore testa-collo? Le donne affette da questa patologia oncologica sono sottotrattate? È quanto rivelerebbe l’analisi dei database del circuito ospedaliero Kaiser Permanente nel Nord della California secondo uno studio presentato al meeting annuale ASCO1.

I ricercatori del centro Kaiser Permanente di Santa Clara coordinati da Jed A. Katzel hanno utilizzato un modello matematico denominato Generalized competing event per valutare gli outcome dei pazienti (223 donne e 661 uomini) con diagnosi di tumore testa-collo di stadio II-IVB trattati nei centri Kaiser Permanente Northern California (KPNC). L’analisi dei dati ha evidenziato significative differenze di genere negli outcome: le donne ricevono meno chemioterapia intensiva (35% vs 46%) e radioterapia (60% vs 70%) rispetto agli uomini. I tassi di mortalità per tumore vs mortalità per altre cause nelle donne sono risultati addirittura doppi che negli uomini.

«In realtà non stavamo affatto cercando differenze di genere negli ­outcome, per cui i risultati ci hanno davvero sorpreso», spiega Katzel. «Non è detto però che le pazienti donne siano davvero sottotrattate, ci sono altri fattori che potrebbero causare outcome così diversi da quelli degli uomini, è chiaro che abbiamo bisogno di approfondire la questione».

David Frati

Bibliografia

1. Park A, Albaster A, Shen H, Mell K, Katzel JA. Are women with head and neck cancer undertreated? ASCO Annual Meeting 2018; Abstract LBA6002.

Per una comunicazione migliore tra oncologi e pazienti anziani

Approfondire le preoccupazioni relative alla salute dei soggetti anziani affetti da un tumore in fase avanzata permette di migliorare significativamente la comunicazione medico-paziente. A dirlo sono i risultati di uno studio presentato all’ASCO, in cui sono stati analizzati gli effetti sulla qualità della comunicazione associati alla somministrazione di un protocollo di valutazione geriatrica1.

La ricerca ha preso in considerazione 542 pazienti con più di 70 anni di età e diagnosi di tumore solido o linfoma in fase avanzata, i quali sono stati sottoposti a un questionario standardizzato, che indagava le preoccupazioni di salute età-correlate, e ad altri test di valutazione cognitiva e psicologica. In metà dei casi, i risultati ottenuti sono stati mostrati agli oncologi prima della visita specialistica (gruppo “valutazione geriatrica”), mentre nei restanti casi questi vi hanno avuto accesso solo dopo la visita (gruppo “assistenza standard”).

I ricercatori hanno poi valutato la qualità della comunicazione medico-paziente, definita dal numero di aspetti e preoccupazioni età-correlati affrontati, attraverso le trascrizioni delle registrazioni audio delle visite cliniche. Inoltre, è stato analizzato anche il livello di soddisfazione dei pazienti relativo all’interazione con l’oncologo di riferimento. Dai risultati è emerso che i medici del gruppo “valutazione geriatrica” hanno avuto in media 3,5 discussioni in più su temi età-correlati, rispetto ai loro colleghi del gruppo “assistenza standard”. Allo stesso modo, nel primo gruppo si sono registrate in media 2 conversazioni di elevata qualità in più e 2 discussioni in più che hanno poi portato a interventi specifici, quali fisioterapia per i soggetti con una storia di cadute e test neuropsicologici per pazienti con evidente compromissione cognitiva. Inoltre, i soggetti inclusi nel gruppo “valutazione geriatrica” hanno riportato un livello di soddisfazione, relativo alla comunicazione medico-paziente, significativamente più elevato. «Come oncologi, dobbiamo smettere di focalizzarci esclusivamente sul cancro, specie nei pazienti anziani», ha commentato Supriya Gupta Mohile, docente dell’University of Rochester di New York e responsabile della ricerca. «Anche se la sopravvivenza è fondamentale, esistono altri aspetti non associati al tumore che sono ugualmente, se non più, importanti».

Fabio Ambrosino

Bibliografia

1. Mohile SG, Epstein RM, Hurria A, et al. Improving communication with older patients with cancer using geriatric assessment (GA): a university of Rochester NCI community oncology research program (NCORP) cluster randomized controlled trial (CRCT). ASCO Annual Meeting 2018; Abstract LBA10003.




Regioni simili, prezzi dei farmaci oncologici diversi

È possibile che in due regioni confinanti, con popolazioni demograficamente simili, i farmaci oncologici abbiano costi diversi? Sì, secondo i risultati di uno studio presentato all’ASCO­ che ha indagato le differenze di prezzo di un farmaco comunemente utilizzato nel trattamento del carcinoma colorettale in fase avanzata nelle aree – tra loro confinanti – della British Columbia (Canada) e del Wester Washington State (Stati Uniti)1. I risultati hanno messo in evidenza come nella regione americana il farmaco arrivi a costare il doppio rispetto a quanto avviene in quella canadese.

Lo studio ha preso in considerazione 1622 pazienti con carcinoma colorettale metastatico della regione della British Columbia e 575 di quella del Wester Washington State. Tra i due gruppi sono emerse differenze significative in termini sia di utilizzo dei trattamenti sia di prezzi, con tassi di sopravvivenza paragonabili. Mediamente, il costo mensile dei farmaci utilizzati è risultato più elevato nella regione americana (12.345$ vs 6195$). «Lo studio rappresenta un primo passo nell’impegno a comprendere i meccanismi che determinano outcome e costi dell’assistenza ai malati nelle due regioni», ha commentato Veena Shankaran, principal investigator della ricerca. Ulteriori studi sono ora necessari per stabilire eventuali differenze, in termini di qualità della vita e di gravità dei sintomi, tra le due popolazioni.

Fabio Ambrosino

Bibliografia

1. Yezefski T, Le D, Chen L, et al. Comparison of chemotherapy use, cost, and survival in patients with metastatic colorectal cancer in Western Washington and British Columbia. ASCO Annual Meeting 2018; Abstract LBA3579.

Circulating cell-free genome atlas: diagnosi precoce con esame ematico?

«I risultati iniziali provenienti dallo studio Circulating Cell-Free Genome Atlas (CCGA) mostrano che potrebbe essere possibile diagnosticare un carcinoma polmonare agli stadi iniziali con un semplice esame del sangue». La dichiarazione è di Geoffrey R. Oxnard, docente del Dana-Farber Cancer Institute e della Harvard Medical School di Boston, responsabile di una ricerca presentata oggi al meeting annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) in corso a Chicago1.

Il CCGA è uno studio che ha l’obiettivo di reclutare 15.000 pazienti (al momento ne sono stati reclutati circa 12.000), oncologici e non, in 141 strutture di Stati Uniti e Canada. La ricerca in questione, la prima di una serie di sottoanalisi programmate, ha analizzato – su 127 soggetti affetti da carcinoma polmonare (da stadio I a IV) – l’efficacia di 3 test genetici: un test di sequenziamento targettizzato finalizzato a individuare mutazioni non ereditarie (somatiche); un test di sequenziamento dell’intero genoma in grado di individuare variazioni nel numero di copie geniche (WGS); un test di sequenziamento dell’intero genoma del DNA libero circolante (bisulfite sequencing) finalizzato a individuare la presenza di pattern di metilazione anomali, indice di cambiamenti epigenetici (WGBS).

La capacità dei tre esami di individuare correttamente la presenza di un carcinoma polmonare in fase precoce (stadio da I a IIA) è risultata pari al 51% per il test di sequenziamento targettizzato, al 38% per il WGS e al 41% per il WGBS.

Per quanto concerne la capacità di individuare tumori in fase avanzata (stadio da IIIB a IV), invece, questa è risultata pari, rispettivamente, all’89%, all’87% e all’89%. Inoltre, tutti e tre i test sono risultati associati a un tasso molto basso di falsi positivi: dei 580 soggetti di controllo presi in considerazione, solo 5 (<1%) sono andati incontro a un esito positivo, due dei quali hanno poi ricevuto un’altra diagnosi oncologica (una di carcinoma ovarico di stadio III e l’altra di tumore endometriale di stadio II). «Questi primi risultati sono promettenti – ha concluso Oxnard. Ora sarà necessario ottimizzare questi test e validarli su gruppi di pazienti più ampi».

Fabio Ambrosino

Bibliografia

1. Oxnard GR, Maddala T, Hubbell E, et al. Genome-wide sequencing for early stage lung cancer detection from plasma cell-free DNA (cfDNA): The Circulating Cancer Genome Atlas (CCGA) study. ASCO Annual Meeting 2018; Abstract LBA8501.




Carcinoma renale con metastasi sincrone: la chirurgia potrebbe essere evitata

La nefrectomia citoriduttiva potrebbe presto non essere più lo standard di cura nei casi di carcinoma renale avanzato in cui è richiesta una terapia medica. È questa la conclusione di un trial clinico randomizzato di fase III1 presentato durante la sessione plenaria del meeting annuale 2018 dell’Am­erican Society of Clinical Oncology (ASCO), in corso a Chicago.

Lo studio ha coinvolto 450 pazienti affetti da carcinoma renale metastatico (mRCC) con metastasi sincrone, che sono stati seguiti in media per 50,9 mesi. I risultati mostrano che la sopravvivenza media per i pazienti che hanno ricevuto solo la terapia farmacologica mirata a base di sunitinib è stata di 18,4 mesi. Quella dei pazienti sottoposti a nefrectomia citoriduttiva seguita poi da somministrazione di sunitinib 4-6 settimane dopo l’intervento, l’attuale standard di cura, è stato invece di 13,9 mesi.

«Fino ad ora, la nefrectomia è stata considerata lo standard di cura per i pazienti con tumore del rene che hanno una malattia metastatica quando il tumore viene diagnosticato per la prima volta. Questi casi rappresentano circa il 20% di tutti i tumori del rene in tutto il mondo», ha spiegato Arnaud Mejean, urologo dell’Hôpital Européen Georges-Pompidou - Université Paris Descartes e primo autore dello studio.

Il tasso di risposta alla terapia in termini di riduzione del tumore è stato quasi lo stesso nei due gruppi di trattamento (27,4% nei pazienti non sottoposti a chirurgia e 29,1% negli altri). Il tempo medio fino al peggioramento del tumore era leggermente più lungo nei pazienti trattati con sunitinib rispetto a quelli che erano stati sottoposti anche a un intervento chirurgico (8,3 mesi contro 7,2 mesi). Un beneficio clinico è stato riscontrato nel 47,9% dei pazienti trattati con sunitinib, rispetto al 36,6% dei pazienti trattati con chirurgia e sunitinib.

«Grazie a questa ricerca, a molti pazienti con carcinoma renale avanzato potrebbe essere risparmiato un intervento chirurgico inutile, oltre a tutta la serie di effetti collaterali che lo possono accompagnare», ha commentato invece Sumanta K. Pal, esperto dell’ASCO.­

Oltre a mettere i pazienti a rischio di complicazioni, quali infezioni o embolie polmonari, la chirurgia ritarda l’inizio del trattamento farmacologico anche di diverse settimane. «Il nostro studio è il primo a mettere in discussione la necessità di un intervento chirurgico nell’era delle terapie mirate e dimostra chiaramente che la chirurgia per alcune persone con cancro del rene non dovrebbe più essere lo standard di cura», ha concluso Mejean che tuttavia, insieme ai suoi colleghi, sottolinea nello studio come la chirurgia sia ancora il gold standard per i pazienti che non hanno bisogno di una terapia sistemica, come quelli con una sola metastasi.

Caterina Visco

Bibliografia

1. Mejean A, Escudier B, Thezenas S, et al. CARMENA: cytoreductive nephrectomy followed by sunitinib versus sunitinib alone in metastatic renal cell carcinoma. Results of a phase III noninferiority trial. ASCO Annual Meeting 2018; Abstract LBA3.