Recensione

di Stefano Cagliano




Ethical life support. Strumenti etici per decidere in medicina

Anche se il fatto è noto, la consapevolezza di come vanno le cose sembra sfuggire dovunque c’è una malattia. Negli ospedali, all’interno dei reparti, nei dipartimenti d’emergenza, nelle abitazioni. Ovunque ci siano dei malati, insomma.

Ognuno di loro ha un problema, ma non è detto che per tutti ci sia una soluzione curativa certa. Occorrerebbe anche tener conto, come ricordava Gianfranto Domenighetti, che a questa incertezza va aggiunta quella della pratica medica. Va considerato, infatti, che diversi studi hanno dimostrato che «i medici sono in grado di capire l’analisi e l’interpretazione dei risultati di solo il 21% degli articoli scientifici. L’alfabetizzazione statistica della maggior parte dei medici è così scarsa che non si può pretendere che essi traggano le giuste conclusioni dalle analisi degli studi pubblicati sulle riviste mediche»1.

Per curare un malato non ci si può limitare a (o illudere di) curare la sua malattia. Non è detto che per ognuno di loro, tenuto conto del suo vissuto e delle sue condizioni, valga la pena tentare. Ma non è detto neanche che sia un bene tentare una terapia nuova o un’altra mai sperimentata in casi come quello considerato. Durante la visita spesso i medici hanno l’occhio sul malato, ma il cervello sulle provvigioni assicurate dall’industria farmaceutica. O altre volte, i medici, sedotti da sonde tecnologiche d’ogni genere che entrano nel corpo per guardare dov’è la causa di tutto, non fanno altro che essere confusi da quanto accade.

A problemi di queste dimensioni, gli autori del volume Ethical life support cercano di rispondere, anche con domande come questa: «Tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche moralmente lecito e perciò dev’essere sempre praticato?». E più avanti, accanto al termine di etica: «È giusto rischiare che il paziente muoia nel tentativo di offrirgli una qualità di vita migliore? Oppure è preferibile salvargli la vita a ogni costo?».

Se aveva ragioni da vendere il romanziere Jules Romains nel 1929 nel far pronunciare al suo dottor Knock le parole «un sano è un malato che non sa ancora di esserlo», possiamo ancora affermare, un secolo dopo, che la medicina non ha una risposta per ogni malato. Per un malato grave, ha reso solo la morte procrastinabile, e a caro prezzo. Se un articolo del BMJ iniziava con le parole «si possono fare molti soldi dicendo alle persone sane che sono malate», per quelle con malattie serie c’è solo la triade: illusione, inganno, informazione, quando va bene.

La malattia di una persona ha una doppia dimensione, anche se di fronte a questo duplice binario in Italia usiamo sempre la parola “malattia”. In modo puntuale, la lingua inglese distingue gli aspetti biologici della stessa malattia, che definisce disease, dal suo vissuto in termini soggettivi che chiama illness. Come è stato sottolineato dal filosofo bioetico statunitense Hugo Tristram Engelhardt, quando un medico dice a una persona «“lei è malato” o “lei ha bisogno di cure”, cambia la realtà sociale intorno a quella persona»2.

Il sottotitolo del volume di questa recensione è Strumenti etici per decidere in medicina: un ossimoro per un “piccolo grande libro”. Non un manualetto d’istruzioni con categorie concettuali e logiche nel percorso tra Ippocrate e Kant.

Come informa subito la quarta di copertina, «nella pratica clinica è frequente imbattersi in situazioni che presentano una valenza etica e non sempre si è preparati ad affrontarle […]. Questo libro si propone di fornire gli strumenti adeguati per far fronte a tali situazioni con un elevato livello di consapevolezza».

«Lo sviluppo scientifico – scrivono gli autori nella Premessa – ci ha proiettato in un universo morale nel quale è indispensabile sapersi orientare». E questo perché «qualsiasi atto medico, diagnostico o terapeutico, dev’essere oltreché clinicamente appropriato anche eticamente proporzionato».

Un pregio del testo è di essere stato pensato come una guida per affrontare situazioni diverse e di vario genere. Non solo il consenso o il rifiuto delle cure, ma anche, per esempio, le scelte di fine vita, la gestione delle divergenze valoriali e dei conflitti.

Con una provocazione intelligente i temi sono raccolti in quattro aree tematiche rappresentate dall’acronimo ABCD che nulla a che fare con quello dell’American Heart Association (Airway, Breathing, Circulation, Disability):

Riconosci le situazioni a valenza etica - Acknowledge

Definisci i ruoli e i limiti di azioni - Be aware

Comunica nella relazione di cura - Communicate

Affronta le difficoltà - Deal

All’interno di queste aree, in progressione, dall’inizio alla fine, il libro è articolato in capitoli. In ciascuno, dopo una disamina iniziale del problema, seguono un paragrafo di Esempio, di Approfondisci e altri paragrafi brevi di Esercitati e Strumenti, prima di concludere con quello finale Ricordati.

La struttura dei capitoli è sempre questa: diretta, intelligente, essenziale. Ma gli argomenti variano e c’è tanto materiale su cui riflettere, su cui dobbiamo aprire lo sguardo e il cervello. Sono temi che tutti noi conosciamo, ma che vengono affrontati in maniera nuova: Fatti e valori, Valori ed etica, Etica e salute, Salute e diritto, Diritto e deontologia, Deontologia e Comunicazione, Comunicazione e relazione, Relazione e cura, Cura e limite, Limite e incertezza, Incertezza ed errore.

A pag 64 si legge: «C’è una serie di errori fondamentali fatti comunemente.

Il primo è ignorare le persone che aspettano. L’attesa in ospedale viene considerata la normalità. Il tempo degli utenti è privo di valori.

Il secondo è pensare che un certo compito, soprattutto quello d’informare, tocchi sempre a qualcun altro: l’infermiera pensa sia dovere del medico e il medico pensa sia dovere di chi l’ha preceduto mentre questi pensa che lo faranno i successori. Nessuno si prende la briga di dedicare del tempo alla comunicazione nella stessa misura in cui si dedica all’esame obiettivo, all’anamnesi o all’esecuzione di procedure». Eppure nel nuovo Codice di Deontologia Medica si legge: «il tempo della comunicazione tra medico e paziente è tempo di cura».

E ancora: «Il medico spesso considera “la vita a ogni costo” come più importante di qualsiasi altro principio. Senza interrogarsi se anche il paziente abbia la stessa visione di fronte alla malattia. Ad esempio la probabilità di sopravvivere con una disabilità grave, in un caso del genere, è molto più alta di quella di guarire. Solo il paziente può assumersi la responsabilità di correre un determinato “rischio”».

A pag 103 il capitolo inizia con le parole «L’errore fa parte del nostro lavoro così come è parte del lavoro di qualsiasi altro professionista operante in campi diversi dalla medicina. Eppure per gli operatori sanitari rimane un vero e proprio tabù».

Desidero sottolineare che di 6 autori, 4 sono medici di area critica: composizione più unica che rara.

Prima di concludere. Ogni capitolo inizia con una citazione, alcune davvero pregevoli; per esempio, all’inizio del capitolo 13 viene citato Platone: «Ogni problema ha soluzioni: la mia soluzione, la tua soluzione e la soluzione giusta». Geniale: come lo sono queste pagine.

Bibliografia

1. Domenighetti G. Empowerment clinico del paziente e gestione collettiva della domanda di cure: realtà o illusione? Ric&Pra 2017; 33: 112-21.

2. Engelhardt HT. Manuale di bioetica. Milano: Il Saggiatore, 1991.