In questo numero

Che senso ha andare a scuola se il mondo in cui viviamo è destinato a essere distrutto dai cambiamenti climatici? La domanda dell’adolescente svedese Greta Thunberg ha fatto il giro del mondo sollecitando una mobilitazione internazionale. Che senso ha continuare a studiare se l’aspettativa di vita è ridotta a pochi mesi o, addirittura, settimane? Questo interrogativo, invece, deve pesare sulla coscienza e sul cuore dei ragazzi malati di cancro, dei loro familiari e dei professionisti – medici, infermieri, insegnanti – che continuano a prendersi cura di loro nel corso del ricovero ospedaliero e nel tempo di malattia. Si parla tanto delle nuove prospettive di trattamento in oncologia – e per la prima volta in Italia un gruppo di lavoro ne discute gli aspetti regolatori (vedi pag. 122) – ma si approfondiscono troppo poco le tante questioni aperte che riguardano la vita delle persone malate. Quelle, per esempio, che spingono molti pazienti a trovare sollievo o perlomeno conforto nell’alcol (vedi pag. 115). Non può sorprendere: su JAMA Oncology del 14 marzo 2019 è stato pubblicato uno studio che aveva come outcome il verificare se i pazienti oncologici ricoverati al Dana-Farber cancer institute avessero avuto almeno un colloquio serio e approfondito sulla malattia con un medico prima della loro morte. Ne è uscito un quadro scoraggiante: nel gruppo di controllo (quindi, nei malati “ordinari” non coinvolti nello studio) la percentuale di persone che aveva parlato col medico della prognosi o delle proprie preferenze rispetto alle cure era inferiore al 50% (Palladino J, et al. JAMA Oncology 2019).

Ha poco senso una terapia di precisione che non si accompagna a un’assistenza e, più in generale, a una politica sanitaria altrettanto “precisa”. Come leggiamo su un editoriale del Lancet oncology di marzo, «un equilibrio appropriato tra prevenzione, diagnosi precoce e trattamento deve essere raggiunto per ridurre al minimo la disparità di accesso all’assistenza. Dopo tutto, il peso del cancro non è solo una conseguenza di un numero crescente di diagnosi, ma anche del costo del trattamento. Questo onere sarà ridotto solo affrontando la prevenzione e valutando il problema dei margini industriali di profitto in parallelo e, se i guadagni delle aziende farmaceutiche continueranno a rimanere fuori dalla portata delle capacità di spesa dei governi, uno dei modi più efficaci sarà di ridurre del tutto la dipendenza da questi medicinali. I governi di tutto il mondo non riescono a gestire i costi dell’assistenza sanitaria: è ora di concentrarsi sulla prevenzione di precisione per recuperare una parvenza di controllo».

Prevenzione di precisione significa innanzitutto agire sulle cause di malattia: inquinamento, consumi alimentari, esercizio fisico. Poi, concentrare le attività di promozione degli screening sulle persone a maggior rischio, per minimizzare il pericolo di sovradiagnosi e sovratrattamento. Infine, ma non in ordine di importanza, affrontare con serietà la questione dei conflitti di interesse tra clinici, farmacisti ospedalieri, dirigenti sanitari, aziende farmaceutiche e biotech, agenzie di comunicazione, case editrici. Alcune associazioni professionali – è il caso del CIPOMO (vedi pag. 119) – hanno dimostrato di avere a cuore il problema: vanno sostenute e incoraggiate.

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a cura di Cristina Da Rold (freelance health & data journalist)