La qualità di vita conta più della quantità della vita

Riassunto. Alla conferenza di apertura del congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), il famoso chirurgo statunitense Atul Gawande ha affrontato la questione del ruolo del medico concentrandosi sulla cura dei pazienti con malattie terminali. Il prolungamento della vita non dovrebbe rappresentare l’obiettivo del processo decisionale del medico, che deve invece prestare attenzione a preservare il più possibile la qualità della vita del paziente. Il rapporto tra medico e paziente deve essere basato su alcune domande fondamentali che il clinico deve rivolgere al paziente per conoscere i suoi obiettivi. La conferenza è stata uno dei momenti chiave del congresso ASCO, in cui si è prestata molta attenzione alle questioni relative alla sostenibilità delle cure e alle esperienze dei pazienti. È sorprendente, tuttavia, che una conferenza così centrata sul paziente non sia stata divulgata e commentata come meritava sui social media dai patient advocates.

Quality of life counts more than the quantity of life.

Summary. In the opening lecture of the congress of the American Society of Clinical Oncology (ASCO), the famous US surgeon Atul Gawande addressed the issue of the role of the doctor, focusing on the care of patients with terminal illnesses. Prolonging life should not represent the goal of the doctor’s decision-making, who must instead pay attention to preserving the patient’s quality of life as much as possible. The relationship between doctor and patient must be based on some fundamental questions that the clinician must address to the patient in order to know his goals. The lecture was one of the key moments of the ASCO congress, very attentive to issues concerning the sustainability of care and the experiences of patients. It is surprising, however, that such a patient-centered conference was not disseminated and commented on by patient advocates on social media as it deserved.

Venti minuti di conferenza davanti ai 45 mila medici oncologi presenti a Chicago per il congresso annuale della American society of clinical oncology: Atul Gawande – chirurgo statunitense di origine indiana – ha scelto di riflettere sul rapporto del medico col malato come chiave per proporre una medicina e una sanità diverse. È un tema che lui stesso ha affrontato anche di recente, in rapporto alla sempre maggiore invadenza della componente amministrativa e burocratica dell’assistenza1. Già nel titolo della lecture era ripreso un concetto caro allo stesso autore che lo aveva in certo senso anticipato qualche anno fa in un’intervista ad un quotidiano della sua nazione di origine2.

«Sembra che il nostro obiettivo (come medici) sia semplice: migliorare la salute e l’autonomia dei malati», ha detto in apertura il chirurgo statunitense, «e quando non ci riusciamo ci sentiamo smarriti: come possiamo ottimizzare la salute dei malati sia in termini di qualità, sia di quantità della vita? Le richieste dei cittadini stanno diventando molto più grandi. Vogliono sapere come possiamo aiutarli a migliorare la quantità e la qualità della vita. Vogliono sapere che possono permettersi le cure e che non finiranno in bancarotta per strada. Parlando con dei medici palliativisti, mi hanno detto che il loro compito era fare di tutto per migliorare la qualità della vita di un paziente. E lo stavano facendo con successo ponendo domande semplici. “Cosa vorresti ottenere per migliorare la qualità della tua vita? Quali sono le tue priorità? Cosa conta di più? Cosa accetterai e non accetterai nel corso del trattamento?”. I medici fanno domande come queste solo una volta su quattro».

«Abbiamo imparato che quando non facciamo domande», ha proseguito Gawande, «la cura non è allineata alle priorità delle persone. Il risultato può essere la sofferenza. Una migliore comprensione di ciò che il paziente vuole dalle terapie ha aiutato a capire quali siano le domande che i medici possono normalmente rivolgere ai pazienti:

“Cosa sai della tua malattia?”

“Quante informazioni vorresti su ciò che potresti attenderti?”

“Quali sono i tuoi obiettivi se la tua situazione di salute peggiora?”

“Quali sono le tue più grandi paure e preoccupazioni?”

“Qual è la qualità minima della vita che troveresti accettabile?”

Ho chiesto a un malato che avevo in cura e lui mi ha risposto: “Beh, se potessi mangiare un gelato al cioccolato e guardare il football in televisione, per me sarebbe abbastanza. Permettetemi di farlo finché ci riesco. Sarebbe la miglior vita possibile”.

L’obiettivo della medicina di oggi è sacrificare il tempo delle persone con la speranza di guadagnare più tempo in futuro. Il mio obiettivo è invece quello di usare le stesse competenze per far sì che i pazienti abbiano oggi il loro giorno migliore a prescindere dall’outcome di domani. Vale la pena sperare? Vale la pena combattere? Per cosa stiamo combattendo? Immagina con i pazienti quale possa essere per loro una vita degna di essere vissuta e usa le tue capacità mediche per attivarla.




Quando ci prendiamo cura di pazienti con malattie terminali, il momento cruciale arriva spesso quando i pazienti hanno il compito di scegliere se continuare il trattamento o scegliere cure palliative o di assistenza domiciliare. Spesso, i pazienti possono vederla come una scelta tra “continuare a combattere” o “arrendersi”. Quello che mi colpisce di quel momento è che… ecco, queste sono proprio le circostanze contro le quali noi tutti ci troviamo a combattere, come medici, come familiari del paziente e anche come società scientifiche e ordini professionali», ha detto Gawande. «Cosa facciamo in questo momento? Cosa intendiamo quando pensiamo ad un’assistenza ideale? Qual è in realtà il nostro obiettivo?». «Ho toccato con mano più e più volte la mancanza di chiarezza», ha aggiunto. «Ho imparato molte cose studiando Medicina e durante la specializzazione, ma il morire non era una di quelle. Sapevo come risolvere molte situazioni, ma per tutto quello che non avrei potuto aggiustare cosa avrebbe significato essere bravo?».

La conferenza di apertura è stata uno dei momenti chiave del congresso ASCO, che ha dedicato diverse sessioni alle problematiche riguardanti la sostenibilità delle cure e i vissuti dei pazienti. Sorprende, però, che un congresso così patient-centred non sia stato disseminato e commentato dai patient advocates sui social media come avrebbe meritato (figura 1). I determinanti di una minore o maggiore eco possono essere diversi: edizioni precedenti dello stesso congresso hanno sollecitato una partecipazione intensa da parte di malati e cittadini forse a partire dalla risonanza che hanno avuto le presentazioni di sperimentazioni di farmaci particolarmente promettenti o gli interventi di leader politici. Basti pensare, per esempio, all’intervento del vice-presidente statunitense Joe Biden al congresso ASCO del 2016 nel corso del quale annunciò la famosa iniziativa del Cancer moonshot.




In generale, però, è opportuna una riflessione sulle modalità con cui i media generalisti danno notizia di questi importanti appuntamenti della medicina internazionale. La prestigiosa relazione di Gawande non ha raccolto molta attenzione sulla stampa e sui media italiani, che si sono quasi uniformemente attenuti alla regola che prevede che sia data quasi esclusivamente notizia dei risultati di studi finanziati da industrie su nuove terapie, in molti casi enfatizzandone i benefici e trascurando di segnalare le sponsorizzazioni3. Considerando che i quotidiani sono la principale fonte di informazione e “aggiornamento” anche per il medico, si ha l’impressione che importanti occasioni vengano perdute.

Bibliografia

1. Gawande A. Why doctors hate their computers. New Yorker 2018; 5 novembre. Disponibile su: https://bit.ly/2JCw1uz (ultimo accesso 10 giugno 2019).

2. A doctor should be like a counsellor, not a retailer. The Times of India 2014; 27 ottobre. Disponibile su: https://bit.ly/2KNiKSs (ultimo accesso 10 giugno 2019).

3. Woloshin S, Schwartz LM. Press releases: translating research into news. JAMA 2002; 287: 2856-8.