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Il filo conduttore di alcuni contributi presentati in questo fascicolo è il rispetto della persona. Lo ritroviamo negli Appunti di viaggio di Rino Scuccato che tornano sulla rivista affrontando la questione delle migrazioni e proponendone una lettura basata sulle prove: «Se riusciamo a essere più basati sull’evidenza, troveremo al contrario una serie di fili che ci porteranno, piuttosto che a miracoli – come pretende la demagogia corrente – a miglioramenti parziali e inversioni di tendenza. È certo che nulla di macroscopico sarà possibile in tempi brevi, se non misure sì spettacolari, ma spietate, che feriscono principi etici e di umanità». Una lettura che potrà non piacere ma sappiamo che la funzione – residua, forse, ma ancora necessaria – di una rivista è quella di offrirsi come spazio di confronto e di dibattito.

Sul significato dei termini “rispetto” e “umanità” si interroga anche Giampaolo Collecchia nel suo nuovo Osservatorio dedicato ai robot che dovrebbero (potrebbero?) supportare i professionisti sanitari nella cura: «È dunque tempo che i professionisti della salute partecipino alle riflessioni etiche relative alle condizioni di utilizzo dei robot assistenziali, alle domande di responsabilità che abbiamo gli uni verso gli altri, ai principi fondanti in quanto esseri umani. Dobbiamo chiederci se sia giusto accettare di assegnare agli anziani compagni artificiali, utilizzati come rimedi nei confronti dell’isolamento dell’età avanzata e talvolta anche dei nostri sensi di colpa. Dobbiamo riflettere se veramente le persone avanti con gli anni, che la società ormai tende a considerare non persone o comunque soggetti i cui diritti/bisogni non sono (riescono ad essere) riconosciuti come tali, non necessitano/meritano di essere assistite da persone vere. Se la compagnia/assistenza dei propri simili finirà per essere concessa solo ai benestanti e a chi non ha problemi fisici e mentali».

I diritti del malato e delle persone “avanti con gli anni” sono al centro anche delle riflessioni di Giuseppe Gristina e del gruppo di lavoro sull’Aiuto medico al morire: la figura e il ruolo del medico sono fondamentali anche se esiste la tentazione di chiamarsi fuori, di essere sollevati dal vedersi coinvolti in passaggi essenziali della vita, come lo è il morire. Ma «la risposta non può essere individuale – scrive Gristina –, deve trovare le sue motivazioni in una rinnovata cultura del diritto e della medicina in grado di vincere l’emarginazione e la solitudine che la malattia genera». È anche fondamentale trovare una sintesi tra posizioni in parte diverse: indica questa via d’uscita un post di Katherine Sleeman e Sir Iain Chalmers uscito il 25 settembre sui BMJ Blogs. Ecco i punti sui quali i due autori dicono di concordare: 1) l’uso delle prove verso il ricorso all’aneddoto e alla razionalità sull’iperbole, per guidare le leggi e il processo decisionale; 2) la premessa di base che le leggi dovrebbero proteggere sia la scelta personale sia la sicurezza; 3) la necessità di ridurre le disuguaglianze nelle cure, compreso l’accesso alle cure palliative per le persone con malattie limitanti la vita; 4) l’importanza della dignità durante e alla fine della vita; 5) l’importanza di alleviare la sofferenza, e non solo tra quelli che dovrebbero morire entro pochi mesi; e 6) i limiti delle cure palliative per alleviare le sofferenze.

Sfide che «ci invitano a riflettere su come vogliamo essere, che tipo di persone vogliamo diventare, dal momento che ci stiamo lanciando in rapporti sempre più intimi con le macchine e sempre meno nei confronti dei diritti e del rispetto delle persone vere», scrive Collecchia chiedendosi infine: «Dovremmo accettare la possibilità di emozioni sintetiche, rappresentazioni delle nostre, provenienti da oggetti da noi realizzati, accettare/arrendersi quindi a una inquietante etica “sintetica”?».

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