Le molte storie di Mariateresa

di Francesco Perrone

Un esperimento di medicina narrativa.

Le molte storie di Mariateresa

a cura di Ciro Gallo

Il Pensiero Scientifico Editore,
Roma, 2020, pp. 192




Scrivo questa recensione condizionato da due conflitti di interesse, non economici. L’editore, quando me l’ha chiesta, ne era sicuramente cosciente, poiché è persona attenta a questo tema.

Il primo conflitto di interessi lo spiega PubMed. Se cercate il mio nome e quello di Ciro Gallo, curatore del libro, scoprirete che abbiamo scritto insieme 124 articoli scientifici – alcuni molto importanti (perdonate la presunzione) – e che i primi due risalgono al 1990. Trenta anni di collaborazione e inevitabilmente di profonda amicizia e affetto. O forse il contrario, ma conta poco; il conflitto esiste a prescindere ed è condizionante.

Il secondo conflitto di interessi sta nel fatto che di mestiere faccio l’oncologo; ma questo, credetemi, è molto meno rilevante.

Il curatore (quello del libro, non quello del fallimento del Mocambo di Paolo Conte) è professore universitario; di Statistica Medica. Ed è sulla collaborazione tra uno statistico medico e un oncologo che si occupa di ricerca clinica che si basa la lunga comunanza. Ma negli ultimi anni, complice Salvatore Cardone caro amico regista teatrale, Ciro Gallo si è liberato dalla rigidità dei numeri e della probabilità (che pure maneggia con maestria) e si è lanciato in una missione forse impossibile ma sicuramente improbabile: insegnare agli studenti di medicina ad ascoltare i pazienti e le loro storie, spingere i futuri medici a “vedere” negli ammalati le persone e non a catalogarli (o non solo) come malattie. E quale miglior maniera per comprendere le storie degli altri se non raccontarle, dopo averle in qualche modo raccolte e ascoltate? Così, da qualche anno, i suoi studenti (alcuni dei quali ormai letteralmente lo venerano) lo seguono in un laboratorio teatrale, la “Strategia del Silenzio”, nel quale si esercitano in creatività ed esplorano modalità e spazi di relazione con l’altro e fanno esperimenti di medicina narrativa di vario tipo, con risultati talora sorprendenti. Non posso tacere che la storia di Bakunin raccontata da Gaia Attardi in “Piccole storie di malati”1 mi è rimasta stampata in maniera indelebile da qualche parte tra la coscienza, il cuore e la mente. In “Le molte storie di Mariateresa”, contrariamente ai primi anni del laboratorio quando ogni studente si cercava il suo ammalato da ascoltare prima e raccontare poi, l’ammalato è uno solo: Mariateresa. Mariateresa, esposta (con il suo consenso, ma sicuramente affabulata dal racconto che Ciro le faceva a cena sul laboratorio teatrale) a una piccola platea di studenti che avrebbero potuto ferirla, ma che a conti fatti è stata invece “utilmente ferita”. Mariateresa, che nel raccontare la sua vita con la malattia (un tumore della mammella) iniziata 20 anni prima espone ai ragazzi un catalogo stampato nella sua anima e sulla sua pelle di quello che un medico non dovrebbe mai fare e invece fa, e di quello che tutti i medici dovrebbero fare e quasi mai fanno; e di come gli ospedali (ricchi e poveri) sono organizzati male; e di come la burocrazia sia un male aggiunto al male, con un effetto moltiplicatore. Mariateresa (che io non conosco come paziente), che metterebbe in difficoltà chiunque, perché è sfidante per indole, con gli altri e con sé stessa. Mariateresa, che avrebbe voluto dai medici qualche certezza e molta chiarezza e che invece ha masticato amaro di fronte all’incertezza (probabilmente giustificata ma che ha bisogno di essere spiegata di più e meglio della certezza) e ancora di più di fronte alla banalizzazione mediante la quale a volte ci sottraiamo a pezzi di relazione difficili. Insomma, Mariateresa, un gigante. Una che, nella misura in cui le sofferenze glielo consentivano, ha usato la malattia come strumento incosciente per cambiarsi in meglio, aprendosi agli altri, dai suoi amici pazienti del day-hospital “povero” di chemioterapia (quello nel cuore del centro storico di Napoli) agli studenti del laboratorio teatrale di Ciro Gallo. Era prevedibile (come sempre, quando alle cose uno pensa dopo) che le reazioni degli studenti sarebbero state varie. Da chi è rimasto ammutolito e ha chiesto di essere esentato dal chiudere il cerchio scrivendo la propria “storia di Mariateresa”. A chi ne ha scritte due. A chi si è trasformato in Mariateresa e ha scritto come fosse lei, in prima persona. A chi ha scritto una poesia vera, con la metrica e le rime. Molti scrivono benissimo (auguro loro di non disimparare come accade alla maggior parte di noi). Qualcuno ha giurato che lei/lui farà tesoro di quanto ha sentito e sarà un medico diverso. Speriamo. Qualcuno ha capito che in vari passaggi sbagliati, al medico che sbagliava sarebbe bastato poco per fare bene: bastava pensarci.

Questo è il bello del percorso che Ciro Gallo ha avviato anni fa. Questo è il bello della sincerità con cui Mariateresa è stata al gioco. E se qualcosa di tutto questo rimarrà nella umanità di questi futuri medici, il bello deve ancora venire.

Bibliografia

1. Attardi G. Piccole storie di malati. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2016.