In questo numero



Abbiamo ascoltato conferenze, letto libri, sfogliato riviste: a cosa è servito? L’avvertimento di Bill Gates nella conferenza del 2015 o il lavoro di David Quammem nel libro Spillover: perché siamo sempre e comunque impreparati?

“A world at risk”, è il titolo del Global monitoring preparedness report dell’Organizzazione mondiale della sanità (WHO): sul sito della WHO è disponibile in sei lingue ma non in italiano. Chissà se qualcuno, in Italia, l’ha letto. Al punto 4 del rapporto è scritto così: «Una pandemia a rapida diffusione dovuta a un patogeno respiratorio letale (vuoi emerso naturalmente, accidentalmente o rilasciato deliberatamente) pone particolari requisiti riguardanti la preparazione. Istituzioni e donatori devono garantire investimenti adeguati per lo sviluppo di vaccini e terapie innovative, capacità di produzione manifatturiera, antivirali ad ampio spettro e interventi non farmaceutici appropriati»1. Non abbiamo pensato a niente di tutto questo. Ci sono delle scusanti: essere preparati costa un sacco di soldi e molta fatica perché ci si deve preoccupare per molte diverse eventualità che potrebbero non verificarsi mai: «Uno dei paradossi della preparedness è che devi costantemente essere preparato a qualcosa che potrebbe non accadere mai e potresti prepararti a qualcosa di diverso da quello che accadrà», ricorda George Lakoff, sociologo e autore di un libro interessante, per lo più centrato sull’inefficiente risposta ad Ebola2.

In un commento a un articolo pubblicato su Epidemiologia & prevenzione3, Rodolfo Saracci chiede agli epidemiologi italiani: non potevate pensarci prima? Fare qualcosa? C’è un prima immediato e uno meno immediato ammette Saracci: nel tempo breve avremmo dovuto attenderci una capacità di risposta meno lenta di quella che è avvenuta. Il “prima” non immediato è quello che avrebbe dovuto consentire di mettere in atto dei sistemi di sorveglianza capaci di rispondere alle emergenze in modo efficace e uniforme sul territorio nazionale. Non è un problema solo italiano, come abbiamo visto: «Il servizio sanitario nazionale è stato interamente impreparato a questa pandemia», ha scritto Richard Horton sul Lancet. «È impossibile capire perché»4.

È mancato tutto: maschere, kit per i test, medici rianimatori, infermieri specializzati, reparti di terapia intensiva, aree di pronto soccorso distinte per persone che potrebbero essere contagiate e a rischio di contagiare. Manca tutto, tranne la presunzione di essere senza responsabilità. Horton si fa portavoce di chi chiede le dimissioni di tutto il board del servizio sanitario inglese. Forse, in Italia qualcosa di meglio è stato fatto ma è sotto gli occhi di tutti l’inadeguatezza di un servizio sanitario frammentato, di una medicina che sembra fatta solo da medici opinionisti maschi e con la cravatta, di una sanità che non difende chi sta in prima linea, che lascia solo chi deve decidere accanto al malato, che non protegge gli anziani nelle case di riposo.

Altro che dimissioni: quando finalmente riprenderemo a uscire, troveremo le stesse persone là fuori, nei posti che hanno occupato fino a oggi e che continueranno a occupare.

Bibliografia

1. WHO. A world at risk. https://apps.who.int/gpmb/

2. Lakoff G. Unprepared: global health in the time of emergency. San Francisco: University of California Press, 2017.

3. Forastiere F, Micheli A, Salmaso S, Vineis P. Epidemiologia e COVID-19 in Italia. Consentire e coordinare l’accesso ai dati per un’ampia collaborazione nelle valutazioni cliniche ed epidemiologiche. Epidemiol Prev 2000; 24 (2). Disponibile su: https://bit.ly/2ULOfAO (ultimo accesso 7 aprile 2020).

4. Horton R. Offline: Covid-19 and the NHS: a National scandal. Lancet 2020; 395: 1022. CoViD-19: ce la siamo cercata?