Vitamina D e coronavirus: un nuovo campo di impiego?

Emilio Maestri1, Giulio Formoso1, Roberto Da Cas2, Federica Mammarella3,
Maria Alessandra Guerrizio3, Francesco Trotta3

1Azienda USL - IRCCS di Reggio Emilia, Ambulatorio di Endocrinologia, Guastalla (Reggio Emilia); 2 Istituto Superiore di Sanità (ISS), Roma; 3Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), Roma.

Pervenuto il 1° aprile 2020. Accettato il 7 aprile 2020.

Riassunto. Visto il susseguirsi di comunicazioni nei circuiti scientifici e in quelli divulgativi, tendenti a dare per acquisito un ruolo per la vitamina D nel controllo della pandemia da coronavirus, gli autori hanno condotto un’analisi della letteratura attualmente disponibile al fine di riconoscere quanto sostenuto da opinioni personali e quanto da prove di efficacia. Al termine della ricognizione bibliografica risulta la attuale assenza di prove di efficacia a favore della vitamina D nel trattamento dell’infezione da coronavirus nelle sue varie espressioni. La diffusione di opinioni personali come fossero evidenze può rappresentare un fattore di disturbo per una adeguata assistenza e per una corretta attività di ricerca.

Parole chiave. Coronavirus, SARS-CoV-2, vitamina D.

Vitamin D and coronavirus: a new field of use?

Summary. Given the succession of communications in scientific and popular circuits, tending to take for granted a role for vitamin D in the control of the coronavirus pandemic, the authors conducted an analysis of the literature currently available in order to recognize what is supported by opinions personal and what evidence of effectiveness. At the end of the bibliographic survey there is the current absence of evidence of efficacy in favor of vitamin D in the treatment of coronavirus infection in its various expressions. The diffusion of personal opinions as if they were evidence can be a disturbing factor for adequate assistance and for correct research.

Key words. Coronavirus, SARS-CoV-2, vitamina D.

Introduzione

Nella disperata ricerca di una soluzione contro la malattia da nuovo coronavirus (SARS-CoV-2), alcuni ricercatori hanno ipotizzato un ruolo per la vitamina D (VitD).

La cosa non meraviglia perché, se siamo a conoscenza della elevata diffusione del recettore per la VitD in numerosi siti extrascheletrici, cellule immunocompetenti comprese, esistono anche dati a favore di un possibile effetto protettivo del colecalciferolo sullo sviluppo generico di infezioni respiratorie1.

L’argomento è inevitabilmente importante oltre che “interessante” e – come spesso è accaduto per la VitD – gli entusiasmi rischiano di fare perdere di vista la prudenza necessaria per non trasformare i desideri o i contributi preliminari in realtà. Il passaggio dagli studi in vitro e dai rilievi epidemiologici sulla VitD alle ricerche sperimentali è stato infatti deludente nella grande maggioranza degli impieghi extrascheletrici del colecalciferolo.

L’attesa di cure efficaci contro il SARS-CoV-2 è talmente elevata che la stampa si occupa assiduamente dell’argomento utilizzando linguaggi non sempre uniformati al lessico della medicina basata sulle evidenze (EBM). Un video in rete o un quotidiano anche serio che definisca un trattamento “molto interessante” rischiano di innescare richieste e speranze quantomeno premature, con l’effetto di distogliere l’attenzione di chi è attivamente impegnato in questa emergenza.

Lo scopo di questa revisione è di focalizzare l’attenzione sullo stato dell’arte attuale distinguendo il valore dei vari contributi scientifici nell’ottica di un possibile ruolo della VitD nella lotta alla malattia da SARS-CoV-2.

Alla ricerca delle “evidenze”
sulla stampa biomedica

La ricerca su PubMed con i termini “vitamin D” or “cholecalciferol” and “SARS”, “coronavirus” or “COVID” non ha prodotto risultati di interesse, per cui la ricerca è stata orientata a reperire studi per analogia oltreché risultati non ancora pubblicati in modo ufficiale e argomenti di interesse al di fuori della letteratura biomedica.

Non esistono a oggi studi pubblicati che abbiano valutato l’ipotesi di una possibile azione della VitD specificamente nei confronti del SARS-CoV-2.

Esistono dati riguardanti le relazioni tra carenza di VitD e livelli di mediatori infiammatori in diverse condizioni patologiche infettive e coinvolgenti il sistema immunitario2-4.

La VitD aumenta il potere protettivo degli epiteli respiratori, l’espressione della catelicidina e delle varie difensine, peptidi endogeni ad azione antibatterica con effetto protettivo nei confronti dei virus capsulati come il coronavirus5-8.

La VitD in studi in vitro e in studi clinici non collegati a infezioni virali9,10 ha mostrato inoltre un effetto di controllo sulla interleuchina-6 (IL-6), sostanza ritenuta responsabile del danno polmonare in corso di CoViD-19.

Il dosaggio della VitD esprime livelli carenziali nei pazienti affetti da patologie infettive di lunga durata, autoimmunitarie e in pazienti affetti da malattie acute richiedenti cure intensive11.

Il fatto che i livelli ematici di 25 OH VitD siano bassi nei ricoverati in condizioni critiche da varie cause è noto da tempo, ma dopo gli insuccessi degli studi clinici, l’orientamento attuale è di ritenere l’ipovitaminosi più come conseguenza delle cattive condizioni del paziente che non come causa della situazione compromessa. In questa direzione si situa anche uno studio recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine1 dove la somministrazione di VitD in unica dose di 540.000 UI in soggetti ricoverati in condizioni critiche non è stata in grado di migliorare la prognosi a 90 giorni nonostante la normalizzazione in terza giornata dei livelli di 25 OH VitD.

Non sono ancora disponibili dati relativi ai livelli di 25 OH VitD in popolazioni affette da SARS-CoV-2 nelle diverse espressioni cliniche di persone contagiate asintomatiche, con sintomi non critici o in condizioni critiche.

Sono attualmente disponibili RCT sugli effetti della VitD nella prevenzione delle malattie infiammatorie dell’albero respiratorio (genericamente intese).

La somministrazione di VitD ai fini della riduzione del rischio di influenza stagionale ha fornito risultati contrastanti, sia in popolazioni vaccinate sia in quelle non vaccinate13-15.

Una meta-analisi ha revisionato 25 studi (includenti oltre 11.000 pazienti) che avevano impiegato dosi variabili di VitD con l’obiettivo di valutarne gli effetti sulla riduzione del rischio di sviluppare infezioni delle vie respiratorie.

Lo studio era particolarmente interessante perché sono state selezionate le sperimentazioni in grado di fornire non tanto i dati complessivi bensì quelli relativi a ogni singolo paziente arruolato.
La normalizzazione dei livelli di VitD portava a una riduzione significativa del rischio di contrarre una infezione acuta delle vie respiratorie purché la VitD non venisse somministrata con la modalità a bolo16.

Questo rilievo si inserisce nell’ottica attuale della preferenza per dosi giornaliere o settimanali essendo i boli gravati da eventi avversi non trascurabili17,18.

Pur significativo per la popolazione trattata nel suo complesso, l’analisi dei dati per sottogruppi mostra come il beneficio reale sia ottenuto in persone con livelli di partenza molto bassi (<10 ng/mL) e risulti significativo solo nella fascia di età compresa tra 1,1 e 16 anni che non ha mostrato di correre rischi importanti nel corso della pandemia.

Due studi randomizzati controllati possono costituire un motivo per avviare una sperimentazione sull’impiego della VitD nei pazienti con CoViD-19 pur senza essere, essi da soli, “evidenze”.

In pazienti sottoposti a ventilazione meccanica per varie cause (non per polmonite interstiziale), la somministrazione enterale di 250.000 UI o 500.000 UI di VitD è risultata in grado di ridurre la durata del ricovero (esito secondario) rispetto ai pazienti trattati con placebo19; nessuna differenza in termini di mortalità o altri outcome. Si tratta tuttavia di uno studio pilota su solo 30 pazienti che non risulta sia stato replicato a oltre 3 anni di distanza.

Più interessanti sono i risultati dello studio di Miroliaee et al.20 che riscontra (in un numero ristretto di pazienti) un effetto di riduzione della mortalità ai limiti della significatività statistica in pazienti con polmonite dovuta ai respiratori. Si tratta di una condizione non sovrapponibile a quella dei pazienti affetti da polmonite da SARS-CoV-2 ma rappresenta un’area con diversi punti di contatto che merita considerazione per uno studio da progettare e realizzare con accuratezza, senza partire con la certezza che questa sia la strada da seguire.

In una revisione descrittiva (su una rivista non peer reviewed) viene ipotizzato dichiaratamente un ruolo per la VitD nella prevenzione e nel trattamento di CoViD-19; l’articolo contiene la citazione di numerosi studi e revisioni mettendo assieme una ricca serie di ipotesi affascinanti, non certo di “evidenze scientifiche” come invece sostengono gli autori21

Comunicazione “di confine”

A questi studi pubblicati nella letteratura biomedica indicizzata, si aggiungono dichiarazioni di opinioni di stimati clinici che possiamo trovare in forma di lettere o di interviste a quotidiani o riviste divulgative.

In forma di rapid response a un Editoriale del BMJ22, un illustre clinico italiano sostiene l’ipotesi che l’ipovitaminosi D possa essere la causa della elevata morbilità e mortalità da CoViD-19 nell’Italia del Nord. La dimostrazione di questo assunto richiederebbe ben altre prove oltre al riscontro di elevata prevalenza di ipovitaminosi nelle popolazioni anziane dell’area. La lettera si conclude con l’affermazione – condivisibile anche in base alla nota 96 – «si ritiene ragionevole, anche in periodi di limitazione della prescrivibilità, un messaggio a sostegno dell’importanza di mantenere il trattamento con vitamina D nei soggetti con ipovitaminosi riconosciuta e consigliando la supplementazione delle persone anziane con comorbilità costrette ad una vita ritirata in casa».

Il 26 marzo due quotidiani a tiratura nazionale, con segnalazione Adnkronos, hanno comunicato con titoli a tutta pagina che stimati ricercatori dell’Università di Torino, dopo avere riscontrato bassi livelli di VitD nei ricoverati per CoViD-19, stanno per partire con uno studio che valuti l’efficacia della VitD in queste condizioni23. Sono bastati questi due articoli per scatenare la più classica delle reazioni a catena anche in numerose testate con titoli che mostravano un chiaro fraintendimento del contenuto che i ricercatori volevano esprimere.

Addirittura queste erano (e sono tuttora) le conclusioni di UNITONews, la rivista online dell’Università di Torino24: «I Proff. Giancarlo Isaia ed Enzo Medico dell’Università di Torino sul possibile ruolo preventivo e terapeutico della Vitamina D nella gestione della pandemia da COVID-19. La presentazione clinica ed epidemiologica della pandemia da Coronavirus è certamente molto anomala e, alla ricerca di possibili concause o di specifici fattori di rischio, il Prof. Giancarlo Isaia, Docente di Geriatria e Presidente dell’Accademia di Medicina di Torino, e il Prof. Enzo Medico, Professore Ordinario di Istologia all’Università di Torino, anche a seguito delle recentissime raccomandazioni della British Dietetic Association, hanno approfondito il ruolo che potrebbe svolgere la carenza di Vitamina D, che in Italia interessa una vasta fetta della popolazione, soprattutto anziana. Sono così emersi alcuni dati che, sintetizzati in un documento, già sottoposto ai Soci dell’Accademia di Medicina di Torino, sono stati giudicati molto interessanti. In esso gli Autori suggeriscono ai medici, in associazione alle ben note misure di prevenzione di ordine generale, di assicurare adeguati livelli di Vitamina D nella popolazione, ma soprattutto nei soggetti già contagiati, nei loro congiunti, nel personale sanitario, negli anziani fragili, negli ospiti delle residenze assistenziali, nelle persone in regime di clausura e in tutti coloro che per vari motivi non si espongono adeguatamente alla luce solare. Inoltre, potrebbe anche essere considerata la somministrazione della forma attiva della Vitamina D, il Calcitriolo, per via endovenosa nei pazienti affetti da COVID-19 e con funzionalità respiratoria particolarmente compromessa. Queste indicazioni derivano da numerose evidenze scientifiche che hanno mostrato:

1.a) Un ruolo attivo della Vitamina D sulla modulazione del sistema immune

2.b) La frequente associazione dell’Ipovitaminosi D con numerose patologie croniche che possono ridurre l’aspettativa di vita nelle persone anziane, tanto più in caso di infezione da COVID-19.

3.c) Un effetto della Vitamina D nella riduzione del rischio di infezioni respiratorie di origine virale, incluse quelle da coronavirus.

4.d) La capacità della Vitamina D di contrastare il danno polmonare da iperinfiammazione.

Inoltre, i primi dati preliminari raccolti in questi giorni a Torino indicano che i Pazienti ricoverati per COVID-19 presentano una elevatissima prevalenza di Ipovitaminosi D. Il compenso di questa diffusa carenza vitaminica può essere raggiunto innanzitutto esponendosi alla luce solare per quanto possibile, anche su balconi e terrazzi, alimentandosi con cibi ricchi di Vitamina D e, sotto controllo medico, assumendo specifici preparati farmaceutici»23.

Per fortuna i colleghi torinesi hanno successivamente e correttamente precisato che il loro documento24 (non del tutto condivisibile) non era il risultato di uno studio, ma riguardava ipotesi e non prove di efficacia.

Questo non fa altro che sottolineare il ruolo importante e delicato dell’informazione divulgativa, spesso a rischio di innescare false speranze.

Conclusioni

Le conoscenze attuali su una possibile azione protettiva della VitD nei confronti della infezione da SARS-CoV-2 sono estremamente contenute e basate su estrapolazioni e analogie con malattie legate ad altri virus o ad altri modelli sperimentali.

Non esistono studi specifici pubblicati se non revisioni descrittive che non costituiscono “evidenze” in senso stretto.

La situazione gestionale della catastrofe coronavirus è straordinariamente complessa e la comunicazione diretta al pubblico con modi inadatti di ipotesi personali non supportate da prove adeguate (con la storia della VitD, sempre perdente nel passaggio dai riscontri osservazionali alle conferme sperimentali) rischia di creare false attese o addirittura condizionare decisioni strategiche di assistenza e prevenzione in un momento di particolare vulnerabilità del sistema sanitario.

Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

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