Un altro effetto di CoViD-19:
accendere le luci sulla situazione carceraria italiana

Antonella Camposeragna1

1UOC Documentazione Scientifica, Linee Guida e HTA, Dipartimento di Epidemiologia SSR Lazio, ASL Roma 1.

Pervenuto il 20 aprile 2020. Accettato il 27 aprile 2020.

Riassunto. In alcune carceri italiane nel mese di marzo 2020 si sono verificati alcuni episodi di violenza legati alle misure di contrasto alla CoViD-19. L’epidemia CoViD-19 mette in evidenza il maggiore rischio di infezioni tra detenuti e personale a causa della prossimità dei detenuti, del sovraffollamento carcerario e delle condizioni strutturali delle carceri italiane. In tutto il mondo, sono stati effettuati molti studi sull’elevato rischio di infezioni tra i detenuti, ed è stato dimostrato che, confrontata alla popolazione generale, quella carceraria ha una maggiore prevalenza di infezioni come l’HIV, il virus dell’epatite C (HCV) e la tubercolosi. Si tratta di un problema importante per la salute dei detenuti, ma lo è altrettanto per la popolazione generale poiché la maggior parte di questi tornerà successivamente a far parte della comunità di provenienza. In Italia non ci sono abbastanza dati disponibili per conoscere l’impatto sanitario di tale epidemia, pertanto le misure preventive sono estremamente urgenti.

Another effect of CoViD-19: turning on the lights on the Italian prison situation.

Summary. Some violence related to CoViD-19 counteracting measures occurred in some Italian prison last month. Epidemic CoViD-19 reflects the higher risk of infections among inmates and personnel, due to closed proximity, prison overcrowding and structural conditions of Italian prisons. In the world, the higher risk infections among prisoners has been investigated in many studies, showing that, compared with the general public, people in prisons have a higher prevalence of infection such as HIV, hepatitis C virus (HCV) and tuberculosis. This is recognized as a major issue for the health of people in prisons, as well as the general population, because the majority of people who have been incarcerated will subsequently return to their communities. In Italy there are no enough available data to know the sanitary impact of such epidemic, so that preventive measures are extremely urgent.

Gli eventi accaduti nelle carceri italiane durante l’emergenza CoViD-19 hanno posto sotto la luce dei riflettori mediatici la situazione sanitaria e il sovraffollamento delle nostre carceri, mettendo in evidenza il maggior rischio e le drammatiche conseguenze, sanitarie e sociali, di una diffusione del contagio in un contesto ristretto.

Nei 189 istituti penitenziari italiani, al 29 febbraio 2020 risultavano presenti 61.230 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 50.931, con una percentuale di sovraffollamento pari al 120%1. I detenuti definitivi sono 41.873 (68%), mentre il restante 32% è composto o da persone in attesa di giudizio (9920 - 16%), oppure con stato giuridico non definitivo.

L’esperienza della detenzione è di per sé un rischio per la salute: le condizioni degradate di strutture, celle e spazi comuni, il sovraffollamento e l’elevato turn over delle persone detenute in un contesto di coabitazione forzata sono elementi studiati in letteratura. È noto come nelle carceri sia maggiore il rischio di contrarre malattie infettive. In confronto alla popolazione generale libera, tra le persone detenute è maggiore la prevalenza di infezione da HIV (tra i detenuti è del 4,8% contro lo 0,2% della popolazione generale), HBV, HCV, sifilide e gonorrea2. In una revisione sistematica pubblicata nel 20103 viene riportato che l’incidenza della tubercolosi nella popolazione detenuta è 23 volte maggiore rispetto a quella della popolazione generale. Le strutture detentive, inoltre, aumentano il rischio di trasmissione di infezioni sia al loro interno sia nella comunità generale, attraverso il personale del carcere, i visitatori e i contatti stretti avuti con detenuti in condizione di semilibertà4.

Altri studi evidenziano come il carcere aumenti l’esposizione al rischio di contrarre infezioni, anche da parte dei detenuti che entrano sani: l’aumento del rischio riguarda non solo le infezioni quali HIV e HCV, ma anche il rischio di sviluppare dipendenza da sostanze psicotrope o di ammalarsi di disturbi mentali, in misura maggiore rispetto all’incidenza nella popolazione generale5,6.

Nella grande maggioranza dei casi le persone detenute prima o poi tornano a far parte della società dei liberi. Questo fa sì che le loro condizioni di salute siano a tutti gli effetti una questione di salute pubblica e che le malattie contratte o aggravate all’interno delle carceri abbiano un impatto anche sull’esterno. Tale assunto ha delle implicazioni pratiche. In primo luogo, esso è alla base di gran parte delle riforme di legge che nei paesi occidentali hanno determinato il trasferimento della competenza sulla sanità penitenziaria dalle amministrazioni penitenziarie alle autorità responsabili dei servizi sanitari pubblici. Come noto, questo nel nostro paese è avvenuto tramite il Decreto Legislativo ٢٢ giugno ١٩٩٩, n. ٢٣٠ e il successivo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del ١ aprile 2008. Con tali riforme, i governi hanno provveduto a trasferire la gestione della sanità penitenziaria agli organi che sono competenti in tema di programmazione e amministrazione del servizio sanitario in tutte le altre sfere della vita sociale, superando così l’anomalia dell’esclusione del contesto carcerario7.

Negli ultimi anni, tanto in Italia quanto nel resto della comunità europea, si è pertanto iniziato a riconoscere l’importanza di intervenire in modo efficace nel contesto carcerario anche a garanzia della salute pubblica. Due sono i principali fattori che dovrebbero guidare un maggiore impegno per garantire servizi sanitari di elevata qualità in carcere: il principio di equità e la protezione della comunità. Il carcere rappresenta ancora oggi un luogo dove si concentra e moltiplica la malattia, ma può anche diventare occasione di diagnosi e trattamento, di educazione ad abitudini di vita più sane, mediante interventi che si configurano utili a tutti gli effetti, tanto per la popolazione all’interno del carcere quanto per la comunità di cui queste persone torneranno a far parte.

Il passaggio della competenza sanitaria dal sistema penitenziario al SSN non ha comunque garantito che i servizi sanitari offerti negli istituti penitenziari fossero equiparabili a quelli offerti alla comunità: si riscontra a tutt’oggi un rapporto di 1 medico ogni 315 detenuti, ben al di sotto del rapporto 1 a 200 previsto dalla legge8. I dati epidemiologici sono inoltre scarsi e non sono presenti interventi sistematici di prevenzione e di continuità delle cure. Secondo i dati attualmente disponibili, che si riferiscono al 2014, i disturbi psichiatrici sono tra le patologie maggiormente diffuse tra le persone in carcere, con prevalenze che arrivano fino al 40%, mentre l’11,5% dei detenuti è colpito da malattie infettive e parassitarie, in primis da HCV (7,4%)9.

A ciò si aggiunga che non si hanno dati ufficiali da parte del ministero competente, ovvero quello della Salute, sulla situazione sanitaria dei detenuti, eccetto la numerosità dei detenuti in carico ai Servizi per le Dipendenze negli istituti penitenziari, pubblicati annualmente nella relazione annuale al parlamento sullo stato delle dipendenze in Italia.

Se l’attuale situazione epidemica del CoViD-19 ha ripercussioni nella libertà di tutti noi, non è possibile immaginare che chi si trova nella condizione di reclusione, quindi privato della libertà, non sia esente dagli effetti di tali restrizioni.

La paura del contagio, il timore di non poter riabbracciare i propri cari sono un accelerante di possibili comportamenti aggressivi. L’isolamento di chi già vive in una situazione di reclusione, senza alternative, non può certo essere accettato senza conseguenze. A ciò si aggiunga che la convivenza forzata, gli spazi ristretti e il sovraffollamento giocano un ruolo fondamentale nella partita della potenziale conflittualità, fondata, secondo la subcultura carceraria, sulle logiche di sopraffazione dei soggetti più deboli.

Con i decreti ministeriali dell’8 e del 9 marzo 2020, il Consiglio dei Ministri ha ordinato la sospensione dei colloqui con i familiari in tutto il paese e indicato a tutti gli istituti di pena di aumentare l’accesso alle telefonate per i reclusi, di permettere di videochiamare i propri familiari con tecnologie telematiche. Le telefonate e le videochiamate sono state perciò riconosciute importanti in un momento di grande urgenza come questo, in cui alla paura del contagio avrebbe potuto facilmente aggiungersi il timore del totale isolamento. Non tutti gli istituti si sono prontamente adeguati a questi cambiamenti. Nelle stesse ore sono esplose diverse proteste nelle carceri italiane che hanno conosciuto differenti livelli di tensione e di gravità.

Sono notizie di questi ultimi giorni i casi di contagio tra i detenuti, operatori sanitari e penitenziari, ma a oggi rimangono notizie riportate dai mass media e non sono noti i dati reali sulla diffusione quotidiana del contagio nelle carceri.

Da ciò che si conosce sui dati strutturali e organizzativi delle carceri italiane, come messo in evidenza dall’Associazione Antigone10, ci si pone il dubbio sulla sussistenza delle condizioni di sicurezza necessarie per fronteggiare l’emergenza epidemica attuale. Tuttavia, le persone nelle carceri «devono godere degli stessi standard di assistenza sanitaria disponibili nella comunità esterna, senza discriminazioni in base al loro status giuridico»11.

Al fine di poter governare questa emergenza dentro le carceri, emergenza che è anche fuori le carceri poiché il personale penitenziario entra ed esce dalla struttura, è in primo luogo opportuno conoscere i dati reali del contagio di detenuti e personale penitenziario per adottare in modo tempestivo i più opportuni interventi. A oggi non ci sono fonti ufficiali.

In secondo luogo, devono essere adottate urgenti misure organizzative e sanitarie interne, tra le quali, per esempio, diffondere corrette informazioni sul rischio, distribuire disinfettanti e guanti, rendere obbligatorio l’uso di mascherine quando non è possibile praticare le distanze di sicurezza, forme di isolamento e monitoraggio dei soggetti positivi.

Sicuramente sarebbe opportuno intervenire per ridurre o eliminare il sovraffollamento, studiando nuove modalità di collocazione per chi esce dal carcere, e, in assenza di idonea sistemazione domiciliare, praticare l’isolamento presso hotel appositamente destinati per la quarantena delle persone a rischio, come già nella Regione Lazio avviene per le persone libere, dimesse dagli ospedali.

Come abbiamo indicato dal titolo, l’emergenza da CoViD-19 ci ha ricordato che l’attuale situazione delle carceri italiane, e non solo, è comunque una fonte di esposizione e mette a rischio la salute non soltanto della popolazione detenuta, ma anche di quella in stato di libertà.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

1. Ministero di Giustizia, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - Ufficio del Capo del Dipartimento - Sezione Statistica https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14.page (ultimo accesso 5 aprile 2020).

2. Dolan K, Wirtz AL, Moazen B, et al. Global burden of HIV, viral hepatitis, and tuberculosis in prisoners and detainees. Lancet 2016; 388: 1089-102.

3. Baussano I, Williams BG, Nunn P, Beggiato M, Fedeli U, Scano F. Tuberculosis incidence in prisons: a systematic review. PLoS Med 2010; 7: e1000381.

4. Niveau G. Prevention of infectious disease transmission in correctional settings: a review. Public Health 2006; 120: 33-41.

5. Kamarulzaman A, Reid SE, Schwitters A, et al. Prevention of transmission of HIV, hepatitis B virus, hepatitis C virus, and tuberculosis in prisoners. Lancet 2016; 388: 1115-26.

6. Rich JD, Beckwith CG, Macmadu A, et al. Clinical care of incarcerated people with HIV, viral hepatitis, or tuberculosis. Lancet 2016; 388: 1103-14.

7. Coyle A. Prison Health and Public Health. The integration of Prison Health Services. London: International Centre for Prison Studies, 2004.

8. Redazione Ansa. Nelle carceri italiane 1 medico ogni 315 detenuti. Salute & Benessere, 16 marzo 2019. Disponibile su: https://bit.ly/2VBPV0q (ultimo accesso 5 aprile 2020).

9. Documenti dell’Agenzia Regionale di Sanità della Toscana. La salute dei detenuti in Italia: i risultati di uno studio multicentrico, Aprile 2015. Disponibile su: https://bit.ly/351xsxf (ultimo accesso 6 aprile 2020).

10. Associazione Antigone. XV Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione, 2019. Disponibile su: https://bit.ly/3bEZNvO (ultimo accesso il 9 aprile 2020).

11. WHO. Preparedness, prevention and control of COVID-19 in prisons and other places of detention (2020). Disponibile su: https://bit.ly/3bBfeFm (ultimo accesso 9 aprile 2020).