In questo numero

«Sta a noi medici, ricercatori, editori, decisori sanitari, giornalisti promuovere i risultati della ricerca medica utile e onesta, come anche diffondere correttamente i risultati di questa ricerca alle persone così da poter promuovere decisioni di salute che siano informate e al tempo stesso non allineate ad altri interessi che non siano quelli della salute stessa», scrivono Camilla Alderighi e Raffaele Rasoini nel loro editoriale. La tragedia della CoViD-19 ha determinato un aumento esponenziale degli articoli ricevuti dalle redazioni delle riviste scientifiche. Solo il JAMA ha ricevuto dal 1° gennaio al 1° giugno 2020 più di 11.000 proposte di pubblicazione, laddove la normalità sarebbe stata di circa 4000 articoli pervenuti. Il numero è quasi triplicato1. Lo stesso deve essere avvenuto per le altre riviste più importanti. Due terzi dei contributi proposti sono articoli di commento che già nella tipologia editoriale svelano opportunità e debolezze: Opinions. Non che non si senta il bisogno di creatività e di immaginazione visionaria, dopo sei mesi di contrasto alla pandemia. Ma l’esigenza più sentita è quella di risultati robusti di ricerca, di dati solidi che possano orientare le strategie cliniche e di prevenzione.

La ricerca inconcludente o, peggio, fraudolenta innesca un circolo vizioso difficile da sovvertire: «Se studi dal disegno discutibile si traducono in informazioni poco affidabili e queste vengono amplificate da alcuni medici, da alcuni media e persino da alcuni esponenti politici, il principio di equilibrio viene minato alla base: l’interesse delle persone viene polarizzato verso il trattamento più pubblicizzato e questo rende eticamente difficile portare avanti studi di confronto magari più solidi», avvertono Alderighi e Rasoini. Il rischio non riguarda solo le terapie farmacologiche, perché – spiega Eugenio Santoro a pag. 393 – la valutazione mancata o poco rigorosa dell’efficacia e dell’efficienza delle soluzioni di telemedicina può compromettere alla radice la loro utilità riducendo il livello della qualità dei servizi erogati e mettendo in gioco la relazione medico-paziente. In definitiva «l’obiettivo finale del virtualista non dovrebbe infatti essere l’utilizzo della tecnologia ma il miglioramento» dei processi di cura, scrive Giampaolo Collecchia nel suo Osservatorio a pag. 403.

Il problema ricorrente è dunque quello di perdere di vista l’obiettivo. Accade anche nella comunicazione del rischio ai cittadini, come abbiamo visto nei mesi scorsi, ed è puntualmente descritto nella prima delle inchieste di Recenti Progressi in Medicina presentata nell’inserto INK. Se la finalità della comunicazione non è favorire un dialogo tra le parti coinvolte in un’emergenza sanitaria ma proteggere gli interessi della politica o di una corporazione, i risultati saranno disastrosi e la credibilità del sistema subirà un colpo decisivo. Lo stesso pericolo lo stanno correndo le riviste scientifiche e, più in generale, i media che si occupano di medicina e di scienza. Qualsiasi crisi può risolversi in un’opportunità, ma può rivelarsi una catastrofe difficile da recuperare.

Bibliografia

1. Bauchner H, Fontanarosa PB, Golub RM. Editorial Evaluation and Peer Review During a Pandemic: How Journals Maintain Standards. JAMA 2020; pubblicato online il 26 giugno. doi:10.1001/jama.2020.11764.