VLCD E VLCKD nel trattamento di obesi
affetti da diabete non insulinodipendente o prediabete
:
evidenze e riflessioni cliniche

Giuseppe Fatati1

1Presidente Italian Obesity Network.

Pervenuto il 18 marzo 2020. Accettato il 17 giugno 2020.

Riassunto. Il drammatico aumento della prevalenza di obesità e diabete è diventato un grave problema di salute per tutti i sistemi sanitari. Prediabete è il termine usato per le persone i cui livelli di glucosio non soddisfano i criteri per il diabete ma sono troppo elevati per essere considerati normali. Il prediabete è associato a obesità, in particolare obesità viscerale, ed è uno stato di alto rischio per il diabete. La perdita di peso può ritardare la progressione dal prediabete al diabete di tipo 2 ed è utile nel trattamento del diabete di tipo 2. Nella strategia di perdita di peso sono disponibili diversi approcci dietetici, suddivisi tra dieta a basso contenuto calorico e diete a bassissimo contenuto calorico (very low-calorie diets - VLCD). Le diete VLCD includono la dieta a bassissimo contenuto di carboidrati (very-low-carbohydrate diet - VLCKD) che può portare a uno stato di chetosi. Il diabete di tipo 2 (T2D) è stato a lungo identificato come una malattia cronica incurabile. Esistono prove del fatto che la reversibilità del diabete tipo 2 è realizzabile utilizzando diete a basso contenuto calorico e restrizione di carboidrati. In questo report viene fornito un update sulle evidenze scientifiche e l’opinione del Presidente dell’Italian Obesity Network.

Parole chiave. Diabete tipo 2, diete a bassissimo contenuto calorico, diete a bassissimo contenuto calorico chetogeniche, obesità, prediabete, VLCD, VLCKD.

VLCD and VLCKD in the treatment of obese people with non-insulin-dependent diabetes or prediabetes: clinical evidence and reflections.

Summary. The dramatic rise in the prevalence of obesity and diabetes has become a major global public health issue. “Prediabetes” is the term used for individuals whose glucose levels do not meet the criteria for diabetes but are too high to be considered normal. Prediabetes is associated with obesity, especially visceral obesity, is a high risk state for diabetes. Obesity management can delay the progression from prediabetes to type 2 diabetes and is beneficial in the treatment of type 2 diabetes. In the strategy of weight loss there are several dietary approaches available, divided between low calories diet and very low-calorie diets (VLCDs). VLCDs include the very-low-carbohydrate diet (VLCKD) can lead to a state of ketosis. Type 2 diabetes (T2D) has long been identified as an incurable chronic disease; on the contrary, there is evidence that the reversibility of type 2 diabetes is achievable using very low calorie diets or carbohydrate restriction diets. This report provides an update on the scientific evidence relating to highly low-calorie diets and the opinion of the President of the Italian Obesity Network.

Key words. Obesity, prediabetes, type 2 diabetes, very low-calorie diets, very low-calorie ketogenic diet, VLCD, VLCKD.

Introduzione

Il diabete mellito rappresenta una delle sfide più difficili per tutti i sistemi sanitari; il numero di persone che ne sono affette nel mondo sembrerebbe cresciuto dai 171 milioni nel 2000 ai 415 milioni nel 2015 e potrebbe raggiungere i 642 milioni nel 2040. Il diabete mellito di tipo 2 o non insulinodipendente (DMT2) è la forma più comune e rappresenta oltre il 90% dei casi; è la malattia metabolica più diffusa al mondo e la sua prevalenza è in continua crescita soprattutto nei paesi in via di sviluppo. La maggior parte delle persone con diabete non insulinodipendente è sovrappeso o obesa e il rischio di DMT2 aumenta in parallelo alla durata e al grado di sovrappeso/obesità. Lo stato di diabete conclamato è preceduto da una fase asintomatica, caratterizzata da alterazioni dell’omeostasi glicidica con spiccata variabilità fenotipica. Le condizioni note come iperglicemia a digiuno (Impaired Fasting Glucose - IFG), ridotta tolleranza al glucosio (Impaired Glucose Tolerance - IGT) e la combinazione contemporanea di entrambe, raccolte sotto l’etichetta comune di Alterazioni della Regolazione Glicemica (ARG) o disglicemia, devono essere considerate non solo fattori di rischio per il DMT2, ma anche di complicanze micro e macrovascolari. L’American Diabetes Association (ADA) è favorevole all’utilizzo del termine prediabete che comprende tutti i casi in cui i livelli di glucosio e di HBA1c non soddisfano i criteri diagnostici per il diabete ma sono troppo alti per essere considerati normali. I pazienti con prediabete sono definiti dalla presenza di IFG e/o IGT e/o HBA1c di 5,7-6,4%. Il prediabete è frequentemente associato a obesità, in particolare viscerale; fino al 70% dei soggetti con prediabete può sviluppare un DMT2 nel corso della vita, il 25% addirittura entro 3-5 anni. Esistono prove convincenti che la corretta gestione dell’obesità può prevenire la progressione da prediabete a diabete tipo 2. La crescita continua della prevalenza dell’obesità e del DMT2 pone il sistema sanitario di fronte alla necessità assoluta di intensificare gli sforzi rivolti alla promozione di stili di vita salutari e contemporaneamente implementare la diagnosi precoce e il trattamento efficace esplorando anche nuove strade. Le recenti segnalazioni sull’efficacia delle diete fortemente ipocaloriche e a basso quantitativo di carboidrati e la possibilità di remissione del prediabete e del diabete tipo 2 dopo una importante perdita di peso rendono opportuna una rivalutazione critica dell’argomento1-6 (tabella 1)7.

Definizione delle diete VLCD e VLCKD

Le diete a bassissimo contenuto calorico (very low-calorie diets - VLCD), o diete con bassissima energia (very low energy diet - VLED), vengono generalmente raccomandate per il calo ponderale di soggetti obesi o di soggetti in sovrappeso. Le VLCD vengono abitualmente considerate, erroneamente, sinonimo di diete chetogeniche mentre è il contenuto in carboidrati a farle rientrare nel gruppo delle diete chetogeniche. Infatti la K della sigla VLCKD (very low calorie ketogenic diet - dieta chetogenica a bassissimo contenuto calorico) indica questa peculiare proprietà. Una dieta ristretta in carboidrati (CHO) può essere definita sulla base della percentuale di energia fornita proprio dai CHO in essa contenuti o della quantità assoluta di CHO. Una dieta è definita a moderato contenuto di CHO se gli stessi (>130g/die) forniscono dal 26 al 44% dell’energia totale (ET); a basso contenuto di CHO (low-CHO diet) per valori dal 10 al 25% dell’ET giornaliera (50-130 g/die ) e a contenuto molto basso di CHO (very-low CHO diet) quando i CHO della dieta sono <10% dell’ET e il contenuto assoluto è <50g/die. La restrizione estrema di CHO induce chetosi indipendentemente dalle calorie introdotte. La dieta può essere definita VLCKD se le calorie sono inferiori a 800/die, LCKD (low calorie ketogenic diet) se le calorie sono >800/die ma inferiori alla spesa energetica giornaliera (TEE), ICKD (isocaloric ketogenic diet) quando le calorie giornaliere equivalgono la TEE7.




Le diete VLCD e VLCKD si somministrano normalmente per via orale, e la modalità più diffusa è quella di avvalersi di prodotti commerciali in forma liquida, solida o in polvere, composti da nutrienti ad alto valore biologico. A seguito di una richiesta della Commissione europea, al gruppo di esperti scientifici sui prodotti dietetici, l’alimentazione e le allergie (NDA) dell’EFSA è stato chiesto di esprimere un parere scientifico sulla composizione essenziale dei sostituti dietetici totali per il controllo del peso. Il gruppo di esperti8 ha proposto un contenuto proteico minimo basato su un’assunzione di riferimento della popolazione per proteine adattate per sovrappeso o obesi (75 g/die), un contenuto minimo di carboidrati basato sulle richieste obbligatorie di glucosio nel cervello (30 g/die) e contenuti minimi di acido linoleico (11 g/die), acido α-linolenico (1,4 g/giorno) e micronutrienti basati su valori di riferimento stabiliti dallo stesso gruppo di esperti o da altri organismi scientifici accreditati. Ha, inoltre, proposto un contenuto energetico minimo di 2510 kJ/giorno (600 kcal/die). Secondo le linee guida internazionali, le diete VLCKD possono essere utilizzate continuativamente per 12 settimane e comunque sempre sotto controllo medico9,10.




Presupposti fisiopatologici della chetogenesi

Il metabolismo dei corpi chetonici ricopre un ruolo centrale nell’omeostasi fisiologica. L’uomo nel corso della sua evoluzione ha sviluppato competenze metaboliche fortemente influenzate da quelle che sono state le condizioni di vita e di alimentazione11-13. Nel Paleolitico e nel Mesolitico il genere umano ha avuto la necessità di gestire la giornata in funzione della ricerca di cibo; è stato costretto a subire l’alternanza di periodi di scarsa disponibilità e altri di maggior disponibilità passando da un quasi digiuno all’introduzione di elevate quantità di proteine di origine animale. Durante i periodi di deprivazione di nutrienti, il metabolismo dei corpi chetonici è stato sfruttato per alimentare il cervello. I corpi chetonici si intrecciano a percorsi metabolici fondamentali quali la β-ossidazione (FAO), il ciclo dell’acido tricarbossilico (TCA), la gluconeogenesi, la lipogenesi de novo (DNL) e la biosintesi degli steroli. Il “gene risparmiatore” che aveva influenzato positivamente la selezione della specie è diventato co-protagonista della pandemia di obesità, diabete di tipo 2 e malattie cronico-degenerative correlate alla dieta e allo stile di vita10. L’incrementata tendenza alla comparsa di resistenza insulinica potrebbe dipendere dalla mancata alternanza tra digiuno e sazietà. Le diete chetogeniche fortemente ipocaloriche sembrerebbero favorire il recupero di capacità metaboliche sviluppatesi nel periodo precedente la comparsa dell’agricoltura. Indipendentemente dalla dieta, l’utilizzo di corpi chetonici a scopo energetico è presente in condizioni fisiologiche quali la chetosi mattutina e la chetosi dopo sforzi o dopo un pasto ricco in proteine. In condizioni di normale apporto di carboidrati l’ossidazione mitocondriale dell’acetil-CoA dipende dai livelli di ossalacetato, prodotto soprattutto dalla carbossilazione di acido piruvico, molecola terminale della glicolisi. Acetil-CoA e ossaloacetato condensano per formare citrato, consumato nei mitocondri nella via ossidativa dell’acido citrico (ciclo di Krebs) oppure utilizzato per la biosintesi di acidi grassi e colesterolo. Quando si riduce drasticamente l’apporto di glucidi, la conseguente modificazione del rapporto tra la concentrazione di insulina e quella di glucagone promuove la mobilizzazione dei lipidi dai depositi tissutali e l’ossidazione a scopo energetico; essendo rallentata la conversione del glucosio in piruvato, l’acetil-Co-A viene prevalentemente shiftato verso la produzione di corpi chetonici. In pratica quando si riduce drasticamente l’assunzione di carboidrati si accentua il catabolismo dei grassi e si determina uno sbilanciamento tra produzione di piruvato, ossalacetato e acetil-CoA. L’eccesso di acetil-CoA viene trasformato nelle cellule epatiche nei tre corpi chetonici: acetoacetato, idrossibutirato (BHB) e acetone. Miocardio, muscolo scheletrico e cervello captano i primi due. Perdurando la condizione di chetosi, i chetoni vengono utilizzati a livello cardiaco e dal sistema nervoso centrale, dove forniscono energia e contribuiscono alla comparsa del senso di sazietà; la loro eliminazione avviene a livello polmonare (alito acetonemico) e renale (tamponati dai cationi Na, K, Ca e Mg). A livello pancreatico possono contribuire al miglioramento metabolico in pazienti con insulino-resistenza14. Apporti di carboidrati superiori a 50 g/die, anche se in presenza di regimi ipocalorici, non inducono chetogenesi15. Oltre all’importanza dal punto di vista energetico, i corpi chetonici esercitano ruoli “non canonici” nella trasmissione del segnale in grado di influenzare positivamente l’omeostasi cellulare. Per esempio, il β-OHB (beta-idrossibutirrato) inibisce gli HDAC (istoni deacetilasi) di classe I, che aumentano l’acetilazione dell’istone e inducono l’espressione di geni che riducono lo stress ossidativo10. Inoltre vengono utilizzati come preziosa fonte di energia dal cuore delle persone con diabete e sembrerebbero ridurre l’espressione delle citochine infiammatorie16,17. Vi è la necessità di ulteriori approfondimenti per verificare se alle evidenze sperimentali possa corrispondere un reale vantaggio clinico.

La dieta chetogenica: il passato e il presente

Nel 1797 fu pubblicato a Londra il volume “An account of two cases of diabetes mellitus” scritto da John Rollo18, medico scozzese della Marina britannica. Rollo ebbe il merito di sottolineare la natura metabolica della malattia e la necessità che fosse trattata in maniera rigorosa con la dieta; il libro divenne immediatamente un best seller. Il primo dei due pazienti fu il capitano Meredith, obeso e diabetico non insulinodipendente, cui prescrisse una dieta soprattutto a base di alimenti di origine animale, regolarmente distribuiti lungo la giornata. A colazione: un litro e mezzo di latte mescolato con mezzo litro di acqua di calce, pane e burro. A pranzo: budini di sangue e grasso, uso moderato di carni frollate e del grasso di maiale, difficile da digerire. A cena: permessi gli stessi alimenti leciti a pranzo. Senza saperlo il medico militare inaugurava la storia delle diete chetogeniche. Le prime osservazioni ben documentate sul ruolo di un digiuno ciclico protratto per alcune settimane basato sulla restrizione calorica (prevalentemente glucidica) e sull’induzione dell’utilizzo dei corpi chetonici come prevalente fonte energetica13 si sono avute negli anni ’20 del XX secolo, nel corso di prescrizioni finalizzate a migliorare il controllo dell’epilessia farmacoresistente. I primi 4 lavori pubblicati sul ruolo del digiuno chetogenico, oltre agli auspicati effetti neurologici evidenziarono un contemporaneo e significativo dimagramento19. Nel 1921 il dott. Wilder della Mayo Clinic propose di standardizzare le modalità di induzione della chetogenesi con un regime ricco in grassi e povero in carboidrati20. L’interesse su questo tema è rifiorito alla fine degli anni ’60; nel 1980 Cairella e Jacobelli pubblicarono un volume dal titolo “Obesità” in cui un capitolo, curato da Howard e Mclean Baird21, era dedicato alle diete sintetiche a bassissimo tenore calorico. Partendo dal presupposto della scarsa efficacia delle diete convenzionali i due autori proponevano una dieta a bassissimo contenuto calorico in grado di fornire tutti gli elementi necessari per assicurarne l’innocuità. La composizione ideale consigliata era di 15-25 g di proteine ad alto valore biologico, per esempio l’ovalbumina, e 45 g di carboidrati. Comunque, la dieta fortemente restrittiva di maggior successo è stata quella proposta da Atkins che prevede una quota dei CHO inferiore a 30 g/die tale da indurre chetosi e un consumo ad libitum di carne, burro e altri prodotti ricchi in grassi22. Ottimi risultati su un campione molto numeroso (668) di soggetti obesi e sovrappeso trattati con una VLCD sono stati ottenuti dal gruppo di George Blackburn23 sempre a metà degli anni ’80. Nonostante le evidenze citate, le diete fortemente ipocaloriche non sono entrate nei comuni algoritmi terapeutici e studi più o meno recenti riportano conclusioni non soddisfacenti sulla reale efficacia; in particolare sottolineano come nel medio-lungo termine la dieta ristretta in CHO, in assenza di modifiche dello stile di vita, non riduce il peso corporeo più efficacemente della dieta ipocalorica ristretta in grassi24,25. I risultati di alcune meta-analisi segnalano che nei pazienti diabetici obesi le diete low-CHO rispetto a quelle low-fat inducono significative differenze sul peso dopo 3-6 mesi ma queste scompaiono a 1 e 2 anni e, se presenti, sono clinicamente irrilevanti25,26. In conclusione, sembrerebbero dimostrare che nei soggetti obesi con e senza DMT2 le diete ipocaloriche low e very-low-CHO, rispetto alle diete low-fat/high-CHO inducono una maggiore perdita di peso nel breve termine (≤6 mesi) mentre nel medio-lungo termine (>6 mesi) il calo ponderale risulta equivalente. Il successo dell’intervento nutrizionale dipenderebbe dalla compliance individuale27. È doveroso precisare che alcuni risultati contrastanti, a una lettura superficiale, sono legati all’uso non corretto degli acronimi28; talvolta è stata usata l’abbreviazione VLCKD sia per indicare diete con contenuto molto ridotto di carboidrati ma non di calorie, sia diete con contenuto molto basso di calorie e di carboidrati. Solo di recente le diete fortemente ipocaloriche (VLCD) e quelle fortemente ipocaloriche chetogeniche (VLCKD) sono state accreditate in protocolli strutturati29-34 che prevedono una stratificazione dei pazienti che tenga conto dell’evoluzione endocrino-metabolica dell’obesità, del prediabete e del diabete tipo 2. Nel 2016 Steven ha pubblicato un interessante lavoro35 relativo alla durability degli effetti positivi delle VLCD sull’assetto glicometabolico. Trenta individui affetti da diabete tipo 2 da meno di 4 anni o da più di 8 anni sono stati sottoposti a un regime fortemente ipocalorico per 8 settimane dopo aver sospeso la terapia ipoglicemizzanti. La VLCD consisteva in una dieta formula liquida (43% carboidrati, 34% proteine e 19,5% di grassi per un totale di 624 kcal/die – Optifast, Nestlé Nutrition, Croydon, UK – assunta in 3 volte). Veniva consigliato di bere almeno 2 litri di liquidi non calorici e consumare fino a 240 grammi di verdura non condita. Dopo le 8 settimane era previsto un ritorno graduale (2 settimane) a una dieta isocalorica definita sulla base della spesa energetica a riposo calcolata con calorimetria indiretta. Nei 6 mesi successivi i partecipanti allo studio hanno seguito un programma di mantenimento individualizzato basato sul miglioramento dei comportamenti alimentari e attività fisica. Complessivamente al termine dello studio il peso è sceso da 98,0 + 2,6 kg al baseline a 83,8 + 2,4 kg durante la VLCD (p = .001) ed è rimasto a 84,7 + 2,5 kg dopo 6 mesi. Dopo il ritorno a un regime isocalorico il 40% dei partecipanti presentavano una glicemia a digiuno inferiore a 7 mmol/L (125 mg/dL) senza assunzione di alcun trattamento ipoglicemizzante e venivano definiti “responder”. È importante sottolineare che la perdita di peso è stata simile tra i responder e i non responder e il peso è rimasto stabile a 6 mesi. I responder avevano una più breve durata della malattia, erano più giovani, avevano una glicemia a digiuno inferiore e una HbA1c più bassa. Il valore della glicemia a digiuno era correlato positivamente con la durata del diabete. Sebbene non ci fosse alcuna differenza in termini di body mass index, la massa grassa era più alta nei non responder e l’insulinemia iniziale più bassa. I livelli insulinemici si sono ridotti in entrambi i gruppi dopo la VLCD e sono rimasti stabili a sei mesi. All’inizio la prima fase della risposta insulinica era marcatamente ridotta nei non responder e ha presentato solo un lieve miglioramento al termine dello studio; al contrario è decisamente migliorata nei responder. La HbA1c è diminuita da ٧,1 + 0,3 a 5,8 + 0,2% nei responder (p<0,001) e da 8,4 + 0,3 a 8,0 + 0,5% nei non responder, rimanendo costante a 6 mesi. Gli stessi autori definiscono questo studio un tentativo di valutazione della risposta fisiopatologica a una dieta specifica piuttosto che uno studio clinico comparativo di un tipo di trattamento35. Nelle conclusioni affermano che un robusto e sostenibile programma di perdita di peso consente una remissione della malattia diabetica almeno per sei mesi nel 40% degli individui che rispondono alle VLCD, e soprattutto risulta efficace nelle persone con breve durata della patologia diabetica e conservata risposta insulinemica. Risultati analoghi sono stati ottenuti con una dieta formula di circa 800 calorie, praticata per 3-5 mesi in soggetti con diabete diagnosticato da non più di 6 anni, seguita da reintroduzione graduale del cibo (2-8 settimane) e supporto strutturato per il mantenimento a lungo termine della perdita di peso. Lo studio open-label randomizzato a cluster (DiRECT) è stato condotto in 49 centri di assistenza di base in Scozia e nella regione di Tyneside36. La remissione del diabete a 12 mesi era strettamente correlata con la perdita di peso con percentuali del 34% per un dimagrimento tra 5 e 10 kg, del 57% tra 10 e 15 kg e dell’86% nei soggetti con dimagrimento superiore ai 15 kg. A due anni37 oltre un terzo dei soggetti nel gruppo dei trattati con dieta formula rimanevano in remissione e soprattutto tra quelli con un dimagrimento superiore a 15 kg la percentuale saliva al 70%. Diversi autori hanno indagato il rapporto tra proteine e controllo glicometabolico. Stentz et al.38 hanno verificato gli effetti sulla remissione del prediabete di una dieta ad alta concentrazione proteica (high protein - HP) nei confronti di una ad alta concentrazione di carboidrati (high carbohydrate - HC) e gli effetti sui parametri metabolici, sulla massa magra e grassa in prediabetici obesi dopo 6 mesi di trattamento. I risultati, seppur necessitino di conferma su campioni più vasti, sono molto buoni: dopo 6 mesi di una dieta HP il 100% dei trattati ha ottenuto una remissione del prediabete contro il 33% di quelli a dieta HC. La dieta HP migliorerebbe in modo significativo la sensibilità insulinica (p=0,001), ridurrebbe i rischi cardiovascolari (p=0,04), le citochine infiammatorie (p=0,001), lo stress ossidativo (p=0,001) e infine favorirebbe l’accrescersi della percentuale di massa magra (p=0,001). Questa osservazione conferma che, in condizioni di stress metabolico, la β-cellula perde alcune caratteristiche specifiche, tra cui la secrezione di insulina glucosio-mediata, e che la de-differenziazione β-cellulare prodotta da un eccesso di nutrienti assunti per un lungo periodo può essere reversibile.







Nella figura 1 è descritto come durante un apporto calorico eccessivo a lungo termine, specialmente in presenza di insulino-resistenza muscolare, gli aumentati livelli plasmatici di insulina facilitano la lipogenesi. Ciò promuove l’accumulo dei grassi nel fegato e l’insulino-resistenza epatica con una conseguente tendenza a un aumento della glicemia plasmatica. Progressivamente, la secrezione di insulina aumenta per controllare la glicemia e può causare un circolo vizioso auto-rinforzante. L’eccesso dei lipidi epatici porta a un’aumentata velocità di rilascio di VLDL-trigliceridi dal fegato. Insieme ad altri tessuti, il pancreas è esposto a crescenti tassi di acidi grassi. Ciò può determinare uno stress endoreticolare in individui suscettibili ed eventualmente una de-differenziazione delle β-cellule, con relativa inibizione della secrezione insulinica ai pasti. È verosimile che, in relazione a un livello soglia personale, le β-cellule non siano più in grado di compensare e i livelli di glicemia possano quindi aumentare con relativa rapidità. La perdita di peso permette il ripristino della prima fase della secrezione di insulina associato con il ritorno alla normalità del contenuto intrapancreatico di trigliceridi (figura 2).

Tuttavia, nel diabete di tipo 2 di durata superiore a 10 anni, i cambiamenti cellulari raggiungono un punto di non ritorno. Lo studio di Steven et al.35 conferma che il diabete di tipo 2 di recente insorgenza può essere considerato come caratterizzato da una alterazione della risposta β-cellulare ancora reversibile39-43 e la prima fase di secrezione insulinica può essere recuperata. Se consideriamo gli eventi fisiopatologici legati a un bilancio calorico eccessivamente positivo che giustificano la ridotta risposta insulinica e l’iperglicemia post-prandiale, è facile ipotizzare che una dieta fortemente ipocalorica sia in grado di invertirne il decorso a condizione che la β-cellula non abbia completamente perso le proprie caratteristiche42. I meccanismi di fallimento della rapida perdita di peso sono principalmente addebitati alla perdita di massa magra; in realtà non siamo certi che ciò avvenga in corso di VLCKD. Nel 2019 è stato pubblicato uno studio a braccio singolo44 finalizzato a valutare gli effetti di una VLCKD sulla composizione corporea e sul dispendio energetico a riposo nella reversibilità a breve termine del DMT2. Per 8 settimane è stata somministrata, a 25 soggetti affetti da DMT2, una VLCKD personalizzata con apporto proteico basato sulla massa magra e integrazione di proteine amminoacidiche sintetiche. La distribuzione giornaliera media di macronutrienti era la seguente: 5-10% di carboidrati (<25 g/giorno), derivati principalmente da verdure; 60-70% di proteine, principalmente dal supplemento proteico e minimamente dalle verdure; 25-30% di lipidi, esclusivamente da olio extra vergine di oliva. Ogni soggetto è stato valutato con antropometria, assorbimetria a raggi X a doppia energia (DXA), analisi bioimpedentiometrica (BIA), calorimetria indiretta e analisi biochimica. I principali risultati sono stati il risparmio di massa magra, la riduzione della massa grassa dell’addome, il ripristino della flessibilità metabolica, il mantenimento del dispendio energetico a riposo e la regressione del diabete. I limiti di questa osservazione sono la numerosità del campione e, soprattutto, l’assenza di un braccio di controllo; per tali motivi i risultati attuali seppur fortemente incoraggianti devono essere considerati con cautela. In diversi studi viene sottolineato che, per ottenere risultati positivi, elemento di importanza prioritaria è la durata del trattamento e l’inserimento in protocolli dietetico-riabilitativi personalizzati a lungo termine che prevedano un graduale passaggio a “low caloric diet” con un altrettanto graduale reintegro di carboidrati fino ad arrivare a un’alimentazione equilibrata di mantenimento. È consigliabile seguire le indicazioni generali che prevedono un’accurata fase di transizione e di mantenimento. Dopo le settimane previste di VLCKD (600-800 kcal/die, CHO 20-60 g/die) inizia la fase di transizione, definita anche di rieducazione alimentare e che non dovrà essere inferiore alla precedente, durante la quale vengono gradualmente reintrodotti i carboidrati, iniziando da alimenti (frutta e latticini) con il più basso indice glicemico (IG), seguiti da alimenti con moderato IG come i legumi, per terminare con pane, pasta e cereali considerati ad alto IG. In questo periodo la quantità di carboidrati non dovrà superare i 90 g/die e l’apporto calorico giornaliero le 1500 kcal. È un periodo particolarmente delicato che condiziona il mantenimento della perdita di peso. Nel periodo successivo (mantenimento), il regime alimentare dovrà essere equilibrato, i carboidrati non superare i 130 gr/die e l’apporto calorico mantenersi tra le 1500 e le 2000 kcal/die. L’obiettivo principale deve essere quello di conservare la perdita di peso e promuovere uno stile di vita sano quanto più vicino possibile ai fondamenti della dieta mediterranea17,45.

Differenze tra chetosi da dieta chetogenica e chetoacidosi diabetica.
Indicazioni e controindicazioni
all’utilizzo delle VLCKD

La chetoacidosi diabetica è caratterizzata dalla triade chetosi, iperglicemia, acidosi e la sua patogenesi deriva dalla mancanza assoluta di insulina come nel diabete tipo 1. Può comparire, più raramente, anche nel DMT2 scompensato in seguito alla incapacità dei tessuti estraepatici di utilizzare il glucosio con conseguente implementazione della proteolisi e della neoglucogenesi epatica. Alla iperglicemia, glicosuria e poliuria osmotica si associa l’iperattivazione della lipolisi con incremento degli acidi grassi non esterificati e dei corpi chetonici. L’acidosi è conseguente alla diminuzione della riserva alcalina, alla ipovolemia e alla sofferenza renale46. Nei soggetti trattati con VLCKD la stabilità della glicemia è garantita dalla neo­glucogenesi epatica che induce la secrezione basale d’insulina essenziale per mantenere stabile la chetonemia. La secrezione insulinica conservata impedisce l’instaurarsi di una chetoacidosi patologica.




Nella tabella 3 sono riportate le differenze nei livelli ematici di glucosio, insulina, corpi chetonici e pH tra una dieta normale, una dieta chetogenica e la chetoacidosi diabetica. La VLCKD induce una condizione metabolica definita “chetosi fisiologica”, che si differenzia dalla cheto-acidosi presente nel caso di scompenso metabolico, per il mantenimento del pH in ambito fisiologico e per la produzione di livelli più contenuti di chetonemia47.

Durante tale dieta è fortemente ridotta la sensazione soggettiva di appetito verosimilmente in relazione alla soppressione della secrezione di grelina, principale ormone oressigeno gastrointestinale48. Infine in corso di VLCKD non vengono segnalate variazioni clinicamente rilevanti relative alla funzionalità epatica e renale quando vengono rispettati protocolli ben definiti, e tale dieta può essere considerata sicura, se somministrata da sanitari esperti e inserita in programmi integrati49. Le indicazioni sono riportate nella tabella 4 mentre le controindicazioni nella tabella 5 e sono dettate da una valutazione prudente dei dati in nostro possesso e/o dalla mancanza, in alcuni casi, di dati certi in alcuni che garantiscano la sicurezza del trattamento (tabelle 4 e 5).

Nel paziente obeso e diabetico l’improvvisa e drastica contrazione dei carboidrati introdotti riduce la glucotossicità e i fenomeni di resistenza insulinica. Contemporaneamente migliora la funzionalità della β-cellula pancreatica e conseguentemente il controllo glicometabolico46,50,51. Nonostante non vi siano dati esaustivi in letteratura si ritiene che se si prescrive una dieta VLCD o VLCKD nei paziente diabetici in trattamento con ipoglicemizzanti orali, onde evitare il rischio di ipoglicemia, sia necessario:

informare adeguatamente il paziente sui rischi di ipoglicemia;

sospendere i segretagoghi (per l’elevato rischio di ipoglicemia) e l’acarbosio (che è inutile, dal momento in cui non si assumono carboidrati);

sospendere i glitazonici (edema e aumento di peso);

sospendere i farmaci incretinici (inibiscono il glucagone e stimolano l’insulina);

sospendere la metformina.




Le diete VLCKD sono controindicate nei pazienti con diabete tipo 1 nei diabetici tipo 2 con importante scompenso glicometabolico e nei pazienti in terapia con SGLT2 inibitori.

Se il paziente diabetico di tipo 2 è in trattamento insulinico si deve:

dimezzare da subito l’insulina rapida, sino a graduale sospensione;

ridurre l’insulina basale in base ai valori di glicemia a digiuno;

dimezzare l’insulina basale per valori compresi tra 80 e 120;

ridurre l’insulina basale del 30% per valori compresi tra 120 e 150;

adeguare settimanalmente la dose insulinica.

Gli effetti collaterali più comunemente osservati sono la cefalea, che tende a comparire entro le 72 ore, il tipico alito acetonemico, la stipsi, che può alternarsi a diarrea, e i disordini elettrolitici, accompagnati da crampi muscolari. La perdita renale di cationi (NA, K, Ca, Se e MG) è indotta dal legame con i corpi chetonici (anioni) necessario perché questi ultimi vengano eliminati con le urine13,46. L’integrazione con sali minerali va prescritta e considerata essenziale alla stregua dell’idratazione. Nella tabella 6 sono riportati i possibili effetti indesiderati in corso di VLCKD.




VLCD, VLCKD e documenti delle società scientifiche

1. Nel 2014 la Fondazione ADI ha pubblicato un position paper13 sulla dieta chetogenica in cui si sottolineava come in un mondo sempre più affetto da sovrappeso e obesità, in cui il diabete tipo 2 è in preoccupante aumento, la dieta chetogenica si pone come un’interessante alternativa ad altri percorsi terapeutici. Veniva precisato che:

non si può al momento prevederne un utilizzo routinario come prima scelta in tutte le forme di sovrappeso e obesità, ma è da considerare soprattutto laddove sia richiesto un calo ponderale rapido, che aiuti al contenimento del rischio globale di salute e alla motivazione del paziente.

2. Gli Standard AMD SID 20183 riportano che:

le persone affette da alterazioni glicemiche o diabete devono ricevere, preferibilmente da un medico o da un dietista esperti in terapia medica nutrizionale (medical nutrition therapy - MNT) del diabete e quindi inseriti nel team diabetologico, una MNT individualizzata al fine di raggiungere gli obiettivi terapeutici (IIIA).

per determinare un calo ponderale, sia una dieta a basso contenuto di grassi e calorie, sia una dieta a basso contenuto di carboidrati, sia una dieta mediterranea, naturalmente ricca in fibre vegetali, possono essere efficaci a breve termine (fino a 2 anni) (IA).

3. Le “Evidence-based nutrition guidelines for the prevention and management of diabetes – UK” nel capitolo 4 “Weight management and remission of type 2 diabetes”9 per le persone con diabete tipo 2 sovrappeso o obese raccomandano:

per la remissione del diabete di tipo 2, mirare a una perdita di peso di circa 15 kg il prima possibile dopo la diagnosi;

per migliorare il controllo glicemico e il rischio di CVD mirare almeno al 5% di perdita di peso ottenuta riducendo il consumo di calorie e aumentando il dispendio energetico;

adottare un approccio individualizzato che può includere strategie dietetiche, di attività fisica, chirurgiche e mediche, le stesse raccomandate per le persone senza diabete.

4. Il Position Statements 2020 dell’American Diabetes Association52,53 raccomanda:

di indirizzare i pazienti con prediabete a un programma di intervento sullo stile di vita comportamentale intensivo modellato sul programma di prevenzione del diabete (Diabetes Prevention Program - DPP)54 per ottenere e mantenere una perdita del 7% del peso corporeo iniziale e aumentare l’attività fisica di intensità moderata (come camminare svelto) ad almeno 150 min/settimana (A);

in base alle preferenze del paziente, gli interventi di prevenzione del diabete assistiti dalla tecnologia (smartphone, applicazioni web e telemedicina) possono essere efficaci nella prevenzione del diabete di tipo 2 e devono essere considerati (B);

la terapia comportamentale strutturata per la perdita di peso, compreso un piano alimentare ipocalorico e l’attività fisica, è di fondamentale importanza per coloro che sono ad alto rischio di sviluppare diabete di tipo 2 che sono in sovrappeso o obesi. Sono necessarie ulteriori ricerche per stabilire se un piano alimentare a basso contenuto di carboidrati sia utile per le persone con prediabete;

la dieta, l’attività fisica e la terapia comportamentale progettate per raggiungere e mantenere una perdita di peso >5% devono essere prescritte ai pazienti con diabete di tipo 2 che sono in sovrappeso o obesi e pronti a perdere peso (A);

per ottenere una perdita di peso >5%, possono essere prescritti interventi a breve termine (3 mesi) che utilizzano diete a bassissimo contenuto calorico (≤800 kcal/die) e sostituti totali dei pasti per pazienti accuratamente selezionati da professionisti addestrati in contesti di assistenza medica con stretto monitoraggio medico. Per mantenere la perdita di peso, tali programmi devono includere una consulenza completa a lungo termine sul mantenimento del peso (B).

5. A maggio del 2019 la Società Italiana di Endocrinologia ha pubblicato una consensus sulle VLCKD e malattie metaboliche55 con le seguenti raccomandazioni riportate nel paragrafo “VLCKD, insulinoresistenza e diabete tipo 2”:

la dieta VLCKD dovrebbe essere presa in considerazione per ottenere una rapida efficacia sul controllo glicemico, in particolare nei pazienti obesi con breve durata della malattia;

la dieta VLCKD dovrebbe essere presa in considerazione per ridurre l’uso di ipoglicemizzanti e la terapia insulinica.

6. Nel 2019 è stata pubblicata su Diabetes Care una consensus “A Consensus Report”56 che rappresenta l’opinione di un gruppo considerevole di esperti relativa alla nutrition therapy di soggetti affetti da diabete o prediabete. La consensus sottolinea che:

diversi modelli alimentari (combinazioni di cibi o gruppi di alimenti diversi) sono accettabili per la gestione del diabete;

la riduzione dell’intake di carboidrati per le persone con diabete ha dimostrato la maggior evidenza per migliorare la glicemia e può essere applicata in vari modelli alimentari che soddisfano le esigenze e le preferenze individuali;

per adulti selezionati con diabete di tipo 2 che non raggiungono gli obiettivi glicemici prefissati o in cui la riduzione dei farmaci ipoglicemizzanti è una priorità, ridurre l’apporto complessivo di carboidrati con piani alimentari a basso (LC) o molto basso contenuto di carboidrati (VLC) è un approccio praticabile;

in questa consensus, un modello alimentare a basso contenuto di carboidrati (LC) è caratterizzato da una riduzione dei carboidrati al 26-45% delle calorie totali mentre quello a molto basso contenuto di carboidrati (VLC) limita ulteriormente gli alimenti contenenti carboidrati e i pasti in genere derivano più della metà delle calorie dai grassi. I carboidrati sono ridotti a <26% delle calorie totali e spesso non superano i 20-50 g di carboidrati senza fibre al giorno per indurre una chetosi nutrizionale;

evidenze sostanziali indicano che gli individui con prediabete dovrebbero essere indirizzati a un programma di intervento sullo stile di vita comportamentale intensivo modellato sul DPP e/o MNT individualizzata tipicamente somministrato da un dietista formato con l’obiettivo di migliorare le abitudini alimentari, aumentando l’attività fisica di intensità moderata ad almeno 150 min a settimana e, se necessario, raggiungere e mantenere una perdita del 7-10% del peso corporeo iniziale. Programmi di intervento più intensivi sono i più efficaci nel ridurre l’incidenza del diabete e nel migliorare i fattori di rischio per malattie cardiovascolari (CVD).

Conclusioni

La terapia medica nutrizionale (TMN) rappresenta un momento essenziale nella prevenzione e cura del diabete mellito, una delle malattia croniche più diffuse e sicuramente quella che trae i maggiori benefici da una corretta alimentazione. Numerosi studi, primo fra tutti lo studio americano Diabetes Control and Complications Trial (DCCT)57, hanno dimostrato che, accanto alla terapia farmacologica ed educazionale, un adeguato regime alimentare assume la valenza di vera e propria terapia, rappresentando uno strumento essenziale per ottenere e mantenere un compenso metabolico ottimale, per ridurre il rischio cardiovascolare, per prevenire e trattare al meglio le complicanze micro- e macro-vascolari del paziente diabetico. Il diabete mellito tipo 2 è causato da un deficit parziale di secrezione insulinica, che in genere progredisce nel tempo ma non porta mai a una carenza assoluta di ormone, e che si instaura spesso su una condizione, più o meno severa, di insulino-resistenza su base multifattoriale. Il concetto di reversibilità delle modificazioni fisiopatologiche responsabili del DM2 in seguito a un regime fortemente ipocalorico è recente40. Raggiungere e mantenere una perdita di peso del 7% e svolgere un’attività fisica regolare (20-30 minuti al giorno o 150 minuti alla settimana) rappresentano i mezzi più appropriati per ridurre il rischio di insorgenza di DMT2 nei soggetti con prediabete e l’adozione di una dieta mediterranea riduce l’incidenza del diabete e i rischi cardiovascolari. La cosiddetta “dieta del diabetico”, impostata nel decennio scorso su parametri rigidi per quanto riguarda l’apporto di carboidrati, oggi deve essere calibrata e individualizzata in base ad alcune esigenze come gli obiettivi glicemici, il grado di compenso glicometabolico, i valori dei lipidi, la funzione renale, la terapia farmacologica ipoglicemizzante e non da ultimo il contesto sociale nel quale si trova il paziente diabetico. Per quanto riguarda le diete fortemente ipocaloriche (VLCD e VLCKD) le evidenze della letteratura indicano la possibilità di utilizzo nelle persone con obesità e in quelle con prediabete e/o diabete non insulinodipendente con breve durata di malattia. La precocità degli interventi terapeutici è un aspetto essenziale in tutte le malattie croniche; nel DM2, in particolare, un intervento aggressivo e tempestivo ha dimostrato che è possibile il recupero della funzione β-cellulare. È stata dimostrata la potenziale reversibilità del DM2 non solo con la chirurgia bariatrica ma anche con diete fortemente ipocaloriche e/o a basso contenuto di carboidrati 58 e gli operatori sanitari devono essere istruiti su questa nuova possibilità terapeutica in modo che possano impegnarsi attivamente nella consulenza ai pazienti che potrebbero trarre beneficio da questo approccio. Nel momento della scelta di una strategia nutrizionale aggressiva è assolutamente necessario avere presente alcuni concetti base che vengono di seguito enunciati e raccomandati:

la remissione del DM2 e del prediabete è un evento possibile con un intervento non farmacologico; il trattamento intensivo del peso, insieme all’attività fisica e a una dieta salutare, è l’obiettivo terapeutico per il DM2;

la definizione di regime dietetico personalizzato va allargato alle VLCD e VLCKD laddove venga intravista una indicazione precisa, quale per esempio la necessità di un calo ponderale rapido;

per raggiungere un dimagrimento superiore al 5%, in pazienti accuratamente selezionati e sottoposti a stretto monitoraggio da parte di sanitari esperti, è giustificato un intervento intensivo di breve durata (12 settimane) che utilizzi diete VLCD, VLCKD e/o sostituti del pasto;

la dieta VLCKD dovrebbe essere presa in considerazione per ottenere una rapida efficacia sul controllo glicemico nei pazienti obesi con prediabete o all’esordio del DM2 o con breve durata della malattia diabetica (al massimo entro 8-10 anni dalla diagnosi). La precocità dell’intervento condiziona le percentuali di successo;

la dieta VLCKD è assolutamente controindicata nei soggetti con diabete tipo 1;

in caso di VLCKD i pazienti vanno tipizzati in modo corretto e seguiti con un programma ben definito, evitando una possibile autogestione indipendente che potrebbe esporli a carenze o inadeguati apporti nutrizionali;

le VLCD e le VLCKD vanno eseguite sempre sotto controllo medico seguendo protocolli strutturati e standardizzati che prevedano l’inserimento in percorsi dietetico-riabilitativi a lungo termine;

gli studi sul rapporto costo/beneficio fino a oggi sono limitati e non dirimenti59;

i risultati a due anni dello studio DiRECT37 confermano che il diabete tipo 2 è potenzialmente reversibile con una perdita di peso importante (>15 kg) in un buon numero di soggetti trattati con diete fortemente ipocaloriche e breve durata della malattia diabetica;

è innegabile la necessità di una più precisa tipizzazione del diabete e di una classificazione non stereotipata, tipo 1 e tipo 2, ma basata su un modello β-cell-centric su base fisiopatologica60 prima di intraprendere un intervento dietoterapico aggressivo nelle persone con alterazioni glicometaboliche.

Take home messages.

La remissione del diabete tipo 2 e del prediabete nel paziente obeso o sovrappeso è un evento possibile.

Per ottenere una perdita di peso >5%, possono essere prescritti interventi a breve termine (3 mesi) che utilizzano diete a bassissimo contenuto calorico (VLCD ≤800 kcal/die) o VLCKD e sostituti del pasto per pazienti attentamente selezionati.

Per mantenere la perdita di peso, i programmi VLCD e VLCKD devono includere un programma di controllo medico a lungo termine sul mantenimento del peso.

La dieta VLCKD deve essere presa in considerazione per ottenere una rapida efficacia sul controllo glicemico nei pazienti obesi con prediabete o con breve durata della malattia diabetica.

Le VLCD e le VLCKD vanno eseguite sempre sotto controllo medico.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

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