Le responsabilità dei governi prima e dopo la pandemia

Stefano Cagliano1

1Già Medico di Pronto soccorso e Medicina d’urgenza, ASL Viterbo.

Pervenuto su invito il 12 settembre 2020.

Riassunto. La pandemia era probabilmente inevitabile ma l’incapacità di reagire prontamente all’azione del coronavirus è una responsabilità di molti governi. Sin dall’inizio del dramma, sono emerse in modo chiaro le responsabilità di diversi uomini di Stato che hanno sottovalutato, minimizzato e talvolta deriso il rischio pandemico. È necessario un cambiamento radicale nell’approccio politico alla pandemia, nel quale torni a essere centrale il ruolo di organismi internazionali come l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Summary. The pandemic was probably inevitable but the inability to react promptly to the action of the coronavirus is a responsibility of many governments. From the beginning of the drama, the responsibilities of several statesmen who underestimated, minimized and sometimes mocked the pandemic risk emerged clearly. A radical change is needed in the political approach to the pandemic, in which the role of international bodies such as the World Health Organization returns to be central.

A inizio ottobre 2020, Mike Ryan, direttore esecutivo del Programma per le emergenze sanitarie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), affermava che «secondo le nostre migliori stime, circa il 10% della popolazione mondiale potrebbe aver contratto il virus (ovvero circa 780 milioni di positivi a fronte dei poco meno di 36 milioni registrati fino a oggi). Ma ciò significa che la maggior parte della popolazione mondiale sarebbe ancora a rischio. Stiamo entrando in un periodo difficile». Più o meno negli stessi giorni, però, tornato alla Casa Bianca dopo essere stato ricoverato in quanto positivo, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump cercava di tranquillizzare la nazione sostenendo che la CoViD-19 è meno grave di un’influenza. Per la verità, secondo la Johns Hopkins, fino al 5 ottobre di quest’anno, gli Stati Uniti avevano perso 210.176 persone per CoViD-191 mentre secondo i Centers for disease control and prevention di ­Atlanta per la pandemia d’influenza del 2009 i decessi erano stati 12.4692. E non è tutto. Per darci un’idea più chiara di quale sia stato il tributo statunitense, nel suo libro da poco pubblicato in originale e tradotto anche in Italia, Richard Horton ricorda che «negli Stati Uniti a causa della CoViD-19 sono morte più persone in soli tre mesi che durante l’intera guerra del Vietnam (dove sono stati uccisi sul campo 58.318 soldati statunitensi tra il 1955 e il 1975; le morti causate dalla CoViD-19 hanno superato questa cifra il 28 aprile 2020)»3.

Questi dunque i nemici con cui combattere ieri e oggi: il virus e l’ignoranza, l’Rna e l’analfabetismo, l’evoluzione genetica e lo sviluppo e l’evoluzione culturali. Non è la prima volta, certo, ma non avevamo mai visto nulla di simile, di queste dimensioni, diffusione e difficoltà di reazione da parte di tutti i Paesi del mondo.

In tempi di CoViD-19, lo scenario è stato quello delle corsie ospedaliere riempite di malati sofferenti e medici incerti sul da farsi, più dispensatori di cure che artefici di terapie, con l’animo pieno di rabbia, impotenza e frustrazione. «E sono rimasto colpito – sottolinea Norton nella prefazione – dal divario tra le prove raccolte tra gli scienziati e le politiche attuale dai governi […] [dai] terribili errori di valutazione [che] hanno portato alla (evitabile) morte di decine di migliaia di cittadini. Era necessaria quindi una resa dei conti. Questo libro – è la loro storia»3. Richard Horton dirige The Lancet, una delle riviste scientifiche più prestigiose, ma è come se svolgesse un’attività multidimensionale, tanto attento al progresso scientifico quanto all’attività industriale senza perdere la dimensione dell’etica, capace di editoriali tanto informati quanto pungenti. È come se la lettura delle cose per lui si muova sempre dal DNA delle persone al futuro. «Se questa pandemia ha messo in crisi la vita stessa, che conclusioni c’è da trarre dagli effetti che la CoViD-19 ha avuto sulla società umana?».

Norton riassume il tempo dell’inizio di questa vicenda, per poi chiedersi «perché non eravamo pronti?» e perché «la gestione della CoViD-19 ha rappresentato per molti Paesi il più grande fallimento di questa generazione?». L’importanza di avere linee di difesa da una malattia del genere è pari a quella di avere politiche di governo perché «la risposta dei Governi alla CoViD-19 può essere considerata il più grande fallimento politico delle democrazie occidentali dopo la Seconda guerra mondiale». La difficoltà di misurarsi con il rischio, come aveva suggerito di fare dieci anni fa Ulrick Beck4, è essenziale perché occorre «conciliare la necessità di un maggior controllo per diminuire i rischi di future epidemie con la richiesta di tutelare la libertà così tanto data per scontata». Giustamente Horton osserva che «forse abbiamo bisogno di un diverso approccio mentale». Occorre fare i conti non solo con i virus ma anche con le nostre mentalità: «Il pessimismo non deve uccidere le nostre speranze di un futuro migliore. La speranza rappresenta il desiderio di un particolare risultato della nostra vita. Possiamo proteggere e, anzi, intensificare le nostre speranze attraverso una prospettiva che non annulli del tutto la cosa che ci può capitare». Resta quanto scritto da Lars Svendsen: «La paura può essere considerata la base della civilizzazione umana»5.

Anche nello scenario attuale, le osservazioni di Horton conservano il loro valore proprio perché CoViD-19 dev’essere descritta «come un portale, una porta tra un mondo e l’altro. Come potrebbe essere diversamente?». Dovranno cambiare le società, le amministrazioni, le persone, la medicina, la scienza. In futuro, forse, si parlerà di una CoViD-19 sempre meno biologica e sempre più culturale. «Non c’è una lezione finale da imparare da questa epidemia di CoViD-19. […] Non è la fine. Ha definito invece l’inizio di una nuova epoca. L’era post-CoViD-19 inaugurerà una nuova fase di relazioni sociopolitiche […]. Si può essere orgogliosi della propria cultura e della propria identità nazionale. Ma la CoViD-19 ha messo in luce anche l’importanza che dovremmo attribuire alla nostra identità umana globale».

Siamo però governati da una politica nell’insieme carente, da una presidenza degli Stati Uniti sempre meno difendibile anche dai più accaniti sostenitori, da un’OMS scossa da una credibilità e da finanziamenti sempre più incerti. Nonostante tutto, «la situazione italiana ha rappresentato un esempio di particolare importanza per riuscire a capire come la scienza possa contribuire a una risposta più efficace, sia a livello nazionale sia a livello internazionale»3 e anche l’OMS si è pronunciata pubblicamente sostenendo l’appropriatezza delle scelte italiane.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

1. Cruscotto Covid-19 del Center for Systems Science and Engineering della Johns Hopkins University. Disponibile su: https://bit.ly/34Rb7Tc [ultimo accesso 12 ottobre 2020].

2. 2009 H1N1 Pandemic (H1N1pdm09 virus).  CDC Centers for Disease Control and Prevention, National Center for Immunization and Respiratory Diseases (NCIRD). Disponibile su: https://bit.ly/30UB3fS [ultimo accesso 12 ottobre 2020].

3. Horton R. Covid-19: la catastrofe. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2020.

4. Beck U. La società del rischio. Roma: Carocci Editore, 2000.

5. Svendsen L. A philosophy of fear. London: Reaktion Books, 2008.