Conversazioni online per comprendere la malattia
e favorire il rapporto medico-paziente

Cristina Cenci1, Giuseppe Fatati2

1Center for Digital Health Humanities, Roma; 2 Medico Diabetologo, già Struttura Complessa di Diabetologia, Dietologia e Nutrizione Clinica, Azienda Ospedaliera Santa Maria, Terni.

Riassunto. L’approccio di un antropologo al tema dell’engagement del paziente è diverso da quello degli altri professionisti. Un antropologo è abituato a farsi domande apparentemente ovvie, che aiutino a decostruire i costrutti culturali latenti. Per questo la medicina narrativa è una metodologia fondamentale, perché consente di «acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura» (Istituto Superiore di Sanità). Il digitale ha un potenziale enorme per favorire l’integrazione delle componenti psicosociali con quelle biologiche e cliniche, consentendo un incontro tra il malato e il medico che non sia condizionato dagli spazi e dai tempi dell’ambulatorio.

Online conversations to understand the disease and promote the doctor-patient relationship.

Summary. An anthropologist’s approach to patient engagement is different from that of other professionals. An anthropologist is used to asking himself apparently trivial questions that help deconstruct cultural constructs. In his work, narrative medicine has a fundamental importance: it is a clinical-assistance intervention methodology that allows you «to acquire, understand, integrate the different points of view of those involved in the disease and in the treatment process» (Italian Health Institute). Digital technologies help integrate psychosocial components with biological and clinical ones, allowing a matching between the patient and the doctor free from the tight spaces and times of the clinic.

Il punto di partenza di un’antropologa è diverso da chi si accosta al tema dell’engagement con uno sguardo orientato alla ricerca psicologica, da esperto di innovazione o da medico. Sono abituata a decostruire i costrutti culturali, cioè a interrogarmi su quello che può sembrare apparentemente ovvio, a pormi le domande che un po’ fanno i bambini: perché sono qui? Perché mi curo? Sembrano domanda retoriche: sto qui per curarmi, ma invece è quello che spesso i pazienti si chiedono, intendendo “perché proprio io”? Gli antropologi cercano di problematizzare l’apparentemente ovvio per cogliere i vissuti e le rappresentazioni che orientano gli approcci alla cura, sia dei pazienti che dei curanti. Il senso delle parole per i diversi attori della cura è fondamentale. E talvolta occorre cambiare queste parole. Lo ha fatto con efficacia il Piano Nazionale Cronicità. È stato entusiasmante leggere che il piano di cura personalizzato costituisce un programma che integra un percorso assistenziale con un percorso esistenziale1. Ma come rileviamo e integriamo il progetto esistenziale? Con il mio lavoro sto cercando di trovare possibili risposte. Come? Con quali modelli e quali strumenti? Dal punto di vista del modello interpretativo, il mio punto di riferimento è stato la medicina narrativa perché si propone di declinare le modalità di coinvolgimento e di co-costruzione nel percorso di cura. Secondo le linee di indirizzo dell’Istituto Superiore di Sanità2, la medicina narrativa è una metodologia di intervento clinico-assistenziale che consente di acquisire, comprendere, integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura. Ho sottolineato le tre parole – acquisire, comprendere, integrare – che sintetizzano proprio l’obiettivo di quello che sto cercando di fare in diversi contesti. La letteratura scientifica ci mostra che nella realtà operativa questa metodologia è stata poco utilizzata perché nel contesto sia della medicina generale sia ospedaliero è difficile costruire un setting adeguato alla condivisione della narrazione. Non è facile adottare quella postura di ascolto che permette di passare dalla “disease”, cioè dalla malattia in termini clinici e medici, alla “illness”, cioè alla malattia vissuta3.

Per questo ho valutato le possibilità offerte dall’interazione digitale, che ci consente di progettare percorsi completamente nuovi. Il digitale ha un potenziale enorme per integrare le componenti psicosociali con quelle biologiche e cliniche, ma le modalità con cui la telemedicina sull’onda dell’urgenza da pandemia sta affermandosi sono per certi aspetti inquietanti. Sembra che tutto il sistema possa restare uguale con la sola eccezione che il medico vede il paziente in videochat. La telemedicina, al contrario, può consentirci di cambiare radicalmente il percorso di cura, ridefinendone l’obiettivo. Il digitale consente di ideare percorsi di ascolto strutturati che si integrano con l’interazione sincrona. Questo percorso dall’antropologia alla medicina narrativa digitale è stato possibile grazie alla collaborazione con i team curanti. Giuseppe Fatati è stato tra i primi a voler applicare queste metodologie alla cura del diabete. In un progetto di telemedicina narrativa con l’Unità di Diabetologia dell’azienda ospedaliera di Terni, la storia del paziente è stata raccolta/accolta attraverso un set di stimoli narrativi a cui il paziente poteva rispondere con i suoi tempi e con un numero di caratteri prefissato. Questi gli stimoli: Tutto è cominciato quandoCome mi curo… La mia giornata tipica durante la settimana…

Un’intervista in profondità, faccia a faccia, medico-paziente, che consenta di rilevare tutti questi elementi richiede tempi lunghi e spazi adeguati. Il paziente poi, a tu per tu col medico, potrebbe avere difficoltà a concentrarsi su questi aspetti; c’è gente in attesa fuori dalla porta, c’è fila… il medico non ha tempo, io non ho tempo. Il tempo esistenziale è un tempo diverso dal tempo dell’anamnesi. Digitalmente, abbiamo potuto costruite un setting adeguato. Una volta però che il team curante ha “acquisito” la narrazione, come la comprende e come la integra? Il diabetologo sa come interpretare e utilizzare il telemonitoraggio dell’emoglobina glicata, ma nel leggere il racconto del progetto esistenziale rischia di non sapersi orientare. Per questo, abbiamo avuto l’esigenza di sviluppare un modello che soddisfi l’esigenza di una comprensione multidisciplinare della narrazione. Nasce così la Illness Digital Storymap (IDS) (figura 1), ideata dal team di ricerca di DNM, la startup sociale e innovativa che ho fondato. L’IDS è una mappa che orienta nell’interpretazione della storia, non un referto narrativo. Vuole essere un supporto per interpretare la storia e classificarla senza riduzionismi. Abbiamo bisogno di classificazioni, perché altrimenti non possiamo veramente coinvolgere il paziente o definire il suo obiettivo esistenziale. Rileviamo in ogni storia la fase attuale, il futuro atteso del paziente e il futuro obiettivo del percorso di cura. La fase attuale nel caso di Maria (figura 2) è liminalità, normalizzazione, il futuro atteso appropriazione e il futuro obiettivo appropriazione. Dunque, l’obiettivo del clinico non sarà quello di gestire o controllare l’emoglobina glicata, ma di consentire un percorso di appropriazione del progetto esistenziale da parte del paziente. Appropriazione che ovviamente dovrà integrare il controllo della malattia e la narrazione del paziente. Quali leve ha il curante per raggiungere le finalità del processo?







Un elemento importante è la rilevazione degli opponenti e degli aiutanti. Nella mappa di Maria, tra gli opponenti c’è il lavoro: lei è convinta che i valori elevati di glicemia siano una conseguenza del lavoro, della sua professione. Tra gli aiutanti c’è la famiglia, la madre e gli amici: non i medici, non i farmaci. Si comprende dunque come in un contesto del genere sia molto difficile intervenire se non si lavora sulla causalità percepita del lavoro come causa della malattia. Completamente diversa invece un’altra mappa in cui l’opponente è la persona stessa: “sono goloso e per il lavoro che faccio la dieta consigliata risulta poco sufficiente”. Tra gli aiutanti abbiamo curanti, terapia, partner. Emergono in questa narrazione emozione ed entusiasmo collegati al microinfusore: “l’esperienza con il microinfusore per me è stata entusiasmante”. Una novità giunta come personalizzazione del percorso di cura, laddove il curante era condizionato dalla convinzione stereotipata di un paziente tutto sommato “inerte”, incapace di iniziare a usare il microinfusore, senza però averglielo mai chiesto. È un gravissimo problema per il coinvolgimento del paziente: la proiezione da parte del curante di uno stereotipo del paziente che non è mai stato in realtà verificato. Soprattutto nella patologia cronica, in cui il paziente cambia progetto di vita nel tempo e non solo in relazione alla malattia4,5.

In uno studio condotto al Policlinico Umberto I di Roma con il professor Oriano Mecarelli e pubblicato su Epilepsy & Behavior sono state identificate per ogni paziente la fase attuale, quella del futuro atteso e la fase target6. Il medico neurologo ha dovuto interrogarsi sulle leve cliniche, di comunicazione e relazionali necessarie per raggiungere l’obiettivo esistenziale del paziente. Gli interrogativi di fondo sono quelli già citati: qual è il progetto di vita di questa persona? Come vorrebbe vivere i suoi anni futuri? Solo attraverso il coinvolgimento dei diversi attori del processo in un unico frame metodologico, abilitato da piattaforme digitali, potremo riuscire a integrare tutti i punti di vista per percorsi di cura che siano effettivamente basati su un approccio bio-psico-sociale.

Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

1. Ministero della salute. Piano Nazionale della Cronicità. Disponibile su: https://bit.ly/2HjcF0k [ultimo accesso 12 ottobre 2020].

2. Istituto Superiore di Sanità. Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative. Disponibile su: https://bit.ly/3dKS2Gk [ultimo accesso 12 ottobre 2020].

3. Cenci C. Narrative medicine and the personalisation of treatment for elderly patients. Eur J Intern Med 2016; 32: 22-5.

4. Cenci C. La medicina narrativa digitale nella cura del diabete di tipo I e dell’obesità: un progetto pilota dell’Ospedale Santa Maria di Terni. Nova. Il Sole24Ore, 31 marzo 2017. Disponibile su: https://bit.ly/3m5IpFu [ultimo accesso 12 ottobre 2020].

5. Cenci C. Dal consenso informato alla crowdmedicine. In: Morsello B, Cilona C, Misale F. Medicina narrativa. Temi, esperienze e riflessioni. Roma: TrE-Press, 2017.

6. Cenci C, Mecarelli O. Digital narrative medicine for the personalization of epilepsy care pathways. Epilepsy Behav 2020; 111: 107143.