Una new public governance della cronicità.
Nuovi assetti organizzativi per l’integrazione verticale delle cure

GIUSEPPE BELLERI 1

1 Medico di medicina generale, Flero (BS); formatore Società italiana di medicina generale (SIMG).

Pervenuto su invito il 9 dicembre 2020.

Riassunto. L’articolo confronta tre sperimentazioni attuate in Lombardia nella gestione della cronicità in medicina generale: la presa in carico proattiva della cronicità, i Chronic Related Group (CReG) e il governo clinico dell’ATS di Brescia. L’analisi delle riforme lombarde utilizza come chiave di lettura il ciclo delle politiche pubbliche, con particolare riferimento alle teorie causali del problema, proposte dalle varie policy e alle strategie adottate per favorire il cambiamento, nel senso di una migliore efficacia e appropriatezza nella cura delle patologie croniche a elevata prevalenza sul territorio.

A new public governance of chronicity. New organizational structures for the vertical integration of care.

Summary. This article compares three trials implemented in the Lombardy region with regard to the management of chronicity in general practice: first, the proactive taking in charge of chronicity; second, the Chronic Related Groups (CReGs); and third, the clinical government of Brescia’s ATS. The analysis of the Lombardy reforms uses the cycle of public policies as an interpretative tool, with particular reference to the causal theories of the problem proposed by the policies, and to the strategies adopted to encourage change, understood as higher effectiveness and appropriateness in the treatment of chronic diseases with a high prevalence in the area.

La gestione dalla cronicità
in medicina generale

Negli ultimi dieci anni in Lombardia si è sviluppato una sorta di laboratorio sulla gestione della cronicità con sperimentazioni che si sono susseguite a partire dal 2005 e che hanno coinvolto ambiti diversi, a livello provinciale e regionale. L’evoluzione delle policy della cronicità si è concretizzata in progetti quali i Chronic Related Group (CReG), la presa in carico (PiC) e il governo clinico dell’ATS di Brescia. Il principale compito professionale del medico di medicina generale (MMG) è il controllo dei fattori di rischio delle patologie cardio-cerebrovascolari e metaboliche che decorrono, in una prima fase, in modo asintomatico (tabella 1) 1 .




La gestione della cronicità parte dall’esigenza di intercettare, modificare e monitorare alterazioni biologiche e fattori di rischio comportamentali che, se non ben controllati, col passare degli anni possono causare eventi acuti. Il MMG gestisce generalmente in prima persona il rischio cardiovascolare asintomatico ad alta prevalenza facendo riferimento ai percorsi diagnostico-terapeutici e assistenziali (PDTA), potendo contare sulla consulenza di medici specialisti per una cura condivisa, specie in caso di passaggio dal rischio alla complicanza e al danno d’organo. In altre patologie croniche sintomatiche a bassa prevalenza (come le malattie infiammatorie intestinali, le patologie reumatologiche, quelle neurodegenerative, il morbo di Parkinson e così via), il ruolo delle cure primarie è invece di supporto, attraverso il monitoraggio, alla presa in carico prevalentemente specialistica.

Emerge qui una differenza importante tra i vari PDTA: in quelli dedicati ai fattori di rischio delle patologie croniche, in particolare in fase asintomatica prima del danno d’organo, il compito della medicina generale (MG) è rilevante e il PDTA può però contenere solo indicazioni terapeutiche di massima, in quanto la varietà e la gamma di trattamenti utilizzati nella cura del diabete di tipo 2, dell’ipertensione arteriosa, della dislipidemia ecc. è così ampia che è difficile definire in maniera precisa un percorso terapeutico razionale e personalizzato. Questo obiettivo è più agevole nelle malattie a bassa prevalenza, in cui la terapia è più specifica, non riguardando fattori di rischio ma patologie specifiche dal punto di vista clinico e fisiopatologico. Le indicazioni terapeutiche per queste patologie, più definite e standardizzate, sono compatibili con gli obiettivi del PDTA. Infine la coorte dei malati in fase terminale, affetti da più di una patologia cronica invalidante, viene seguita in genere a domicilio dai MMG. In molti casi le patologie cardio-cerebrovascolari e metaboliche si complicano fino a determinare la disabilità e la non autosufficienza. In queste fasi del percorso si rende necessaria l’assistenza domiciliare per cui la componente socio-sanitaria e assistenzia le prevale su quella medico-farmacologica.

La visione della gestione delle patologie croniche dal punto di vista delle politiche pubbliche

Può essere utile inquadrare le esperienze lombarde dal punto di vista delle politiche pubbliche. Le policy della cronicità si pongono due questioni preliminari, tra loro correlate: quali sono le cause che condizionano negativamente la cura della cronicità sul territorio e su quali meccanismi è possibile far leva per introdurre cambiamenti significativi al fine di migliorare la gestione dei fattori di rischio e delle patologie? Le successive considerazioni si focalizzeranno su quelle che vengono definite le teorie causali del problema e sulla cosiddetta teoria del cambiamento per favorirne la soluzione. Secondo La Spina 2 il ciclo di policy comprende cinque fasi:

definizione della “agenda setting”, ovvero modalità con le quali un problema entra nell’agenda dei decisori politici;

formulazione del problema ed esame critico delle opzioni alternative;

decisione, ovvero deliberazione di un determinato corso d’azione;

implementazione o messa in atto della politica prescelta;

valutazione in itinere ed ex post dei risultati e apprendimento dall’esperienza, con eventuale

feedback sull’impostazione o sull’applicazione della policy.

Per procedere è necessario analizzare in dettaglio un passaggio chiave del ciclo di policy, ovvero la definizione del problema o problem setting . Il ciclo, dopo l’inserimento del problema nell’agenda politica, entra nella fase di rappresentazione/definizione del problema, generalmente all’interno di un framing concettuale, funzionale a individuare le possibili soluzioni di policy. L’obiettivo del problem setting è la descrizione della teoria causale che ha determinato il problema e su cui si intende agire per introdurre un cambiamento efficace e documentato, nel nostro caso una più appropriata gestione della cronicità. Il ciclo prosegue con la deliberazione e la messa in atto del programma e si conclude con la valutazione empirica degli esiti, in itinere ed ex post .

La policy persegue un miglioramento significativo rispetto allo status quo , che poggia su un insieme di ipotesi, nozioni, intuizioni, credenze ed esperienze per l’individuazione delle relazioni causali su cui far leva per indurre il cambiamento. La figura 1 schematizza il processo di elaborazione e implementazione di una politica pubblica descritto da Augusto Vino, sociologo delle organizzazioni ideatore del modello 3 .




A partire dall’obiettivo generale, il decision maker definisce il problema, incarica un team di progettisti di formulare il dispositivo tecnico del programma (per esempio delibere regionali, un disegno di legge, delle linee guida) che dovrà essere messo in atto da un sistema sociale d’azione composto da vari attuatori che operano e sono influenzati dal contesto socioeconomico, organizzativo e culturale locale. L’interazione tra dispositivo tecnico del programma e sistema sociale d’azione e regolazione fa sì che si avvii il processo di attuazione delle politiche pubbliche con esiti sul medio/lungo periodo. Il sistema sociale può influenzare in modo imprevisto la fase di attuazione, perché nel corso del processo può emergere un gap tra l’obiettivo stabilito e quello effettivamente raggiunto. Le politiche pubbliche, rispetto allo schema di decision making organizzativo, risentono di una complessità dovuta, secondo Bruno Dente 4 – uno dei massimi esperti delle decisioni di policy – all’incertezza per la presenza di tre variabili:

la necessità del coinvolgimento di una pluralità di attori tra loro interdipendenti;

la difficoltà nella previsione dei risultati;

l’interazione strategica fra gli attori che può influenzare il processo di attuazione e provocare conseguenze inattese.

Utilizzando la chiave di lettura delle politiche pubbliche, proviamo ad analizzare i tre modelli di policy lombarde rivolte al miglioramento della cura della cronicità sul territorio, in particolare riguardo al controllo dei fattori di rischio asintomatici per la prevenzione degli eventi acuti o del danno d’organo.

Chronic Related Group 2011-2016.
La soluzione organizzativa:
le cooperative di MMG

La prima soluzione è quella proposta con Chronic Related Group (CReG), esperienza avviata nel 2011 e terminata nel 2016 con l’obiettivo di applicare alla cronicità le logiche dei Diagnosis Related Groups (DRG) ospedalieri. Si è trattato di una soluzione, dal punto di vista delle politiche pubbliche, di tipo incrementale che, a partire dallo status quo , tenta di introdurre piccoli cambiamenti progressivi per indurre un miglioramento finale. La soluzione incrementale si contrappone alla soluzione radicale, più complessa e di difficile attuazione in quanto prevede un cambiamento complessivo di tipo paradigmatico. I CReG hanno ricondotto all’organizzazione della MG l’origine dei problemi di gestione della cronicità sul territorio. Infatti la delibera che nel 2011 ha introdotto i CReG ha individuato nell’organizzazione delle cure primarie un deficit di competenze cliniche, gestionali e amministrative per poter gestire in modo appropriato e unitario i pazienti cronici fuori dall’ospedale. Per superare questo fattore causale si propone una soluzione di tipo organizzativo ovvero l’introduzione delle cooperative di MMG con l’obiettivo di supportare i medici nella gestione dei CReG; in altri termini si pensa a una sorta di DRG della cronicità da trasferire sul territorio. Per implementare i CReG, la delibera individua nelle cooperative dei MMG la soluzione organizzativa per compensare le carenze e aiutare il singolo medico nella gestione dei pazienti. Gli strumenti operativi adottati sono i PDTA, attivi da oltre un decennio in Lombardia: i percorsi promuovono la condivisione dei processi di cura tra i diversi specialisti e il MMG, puntando su una cultura integrata delle cure. Nella pratica sul campo i PDTA hanno rivelato però alcuni limiti: mentre in MG questo modello gestionale è stato accettato, a livello specialistico stenta a essere acquisito, ed è uno dei motivi della persistenza di pratiche assistenziali a silos, ovvero per compartimenti professionali poco integrati. L’altro strumento introdotto dai i CReG è il Piano Assistenziale Individuale (PAI), che costituisce la sintesi dei vari PDTA e viene adottato nei pazienti complessi poli-patologici. I CReG hanno coinvolto cinque ATS (Milano, Brianza, della Montagna, della Val Padana, dell’Insubria e di Bergamo) con l’adesione del 20% circa dei MMG, mentre i pazienti arruolati sono stati il 10% dei 2 milioni di cronici.

PiC 2017-2019. La soluzione economica:
il quasi mercato a concorrenza verticale
e i gestori

Superata la fase dei CReG, che hanno avuto uno scarso impatto numerico sulla popolazione dei cronici, viene proposta la riforma della presa in carico (PiC) della cronicità e fragilità, in cui si passa da una proposta di riforma organizzativa a una di tipo economico, cioè il modello del “quasi mercato” come soluzione radicale del problema. La PiC non propone una soluzione di tipo incrementale, come quella dei CReG basata sul contributo organizzativo delle cooperative, ma introduce significativi elementi di cambiamento, di tipo paradigmatico che fanno riferimento al new public management (NPM). In sintesi i tratti principali del NPM sono: il decentramento amministrativo-organizzativo, l’introduzione di quasi mercati, o di elementi di vero e proprio mercato come la privatizzazione, l’applicazione di alcune tecniche manageriali (budget, valutazione performance, contabilità analitica , accountability, benchmarking, indic atori di processo/esito, ecc.) già comprese nella struttura dei PDTA. Il quasi mercato introduce un cambiamento radicale perché propone la cosiddetta “concorrenza verticale” tra primo livello (MMG in cooperativa) e secondo livello (gestore ospedaliero) come chiave di volta per risolvere il problema cronicità; quindi i MMG e i medici specialisti non sono più inseriti in una cornice di integrazione e di continuità, come quella del PDTA, ma entrano in concorrenza uno rispetto all’altro attraverso la libera scelta del paziente. La PiC ipotizza lo spostamento della cura dal territorio all’ospedale, con il passaggio del paziente dal MMG allo specialista. Il cambiamento poggia sulla figura giuridica del gestore ospedaliero della PiC, in antagonismo con la MG per l’arruolamento dei pazienti, e presuppone l’intercambiabilità tra MMG e clinical manager speciali stico nella cura dei cronici. La novità sostanziale della PiC è l’introduzione di questo nuovo ruolo professionale che dovrebbe gestire in toto i pazienti in sostituzione del MMG. I compiti previsti dalla PiC (compilazione del PAI, patto di cura, gestione del PAI e del percorso, call center, erogazione prestazioni) sono gravosi sia per il medico di famiglia sia per il clinical manager del gestore, che deve attirare i pazienti in uscita dalla MG. Gli esiti del percorso di arruolamento dei cronici sono riportati nella tabella 2 e nella figura 2.




Nel 2017 ha aderito alla PiC il 40% circa dei MMG, in prevalenza soci di una cooperativa e in piccola parte co-gestori aggregati a un gestore ospedaliero. Le percentuali più elevate di arruolamenti sono state registrate nelle ATS che avevano sperimentato i CReG, dove i pazienti sono passati senza soluzione di continuità alla PiC, mentre le percentuali di medici aderenti sono più basse nelle altre ATS. I PAI sono stati redatti prevalentemente dai medici del territorio, tant’è che su 100 pazienti quasi 95 sono stati arruolati dal MMG e solo una piccola percentuale dagli specialisti, a dimostrazione che l’ipotesi della concorrenza verticale tra MG e medicina specialistica non ha avuto un sostanziale impatto sul sistema.

Governo clinico 2005-2018.
La soluzione culturale:
la comunità di pratica dei MMG (PDTA)

Il governo clinico dell’ATS di Brescia propone un modello diverso in cui l’elemento chiave è la governance di sistema, ovvero la delega alle cure primarie della gestione dei pazienti cronici, in sinergia collaborativa con la medicina specialistica attraverso i PDTA. La figura 3 schematizza le tappe del ciclo di applicazione e monitoraggio dei PDTA nel governo clinico, così schematizzabile: elaborazione condivisa del percorso, registrazione delle informazioni conseguenti all’implementazione dei PDTA, conferimento periodico dei dati di processo al centro di elaborazione, restituzione dei report ai medici in forma individuale e collettiva come feedback sull’appropriatezza e sugli esiti delle cure erogate.




In buona sostanza si tratta di un sistema di gestione dal basso per la valutazione continua della qualità clinico-assistenziale del percorso e degli esiti di salute. Il governo clinico ha fatto leva sulla dimensione culturale e comunitaria a differenza dei CReG e della PiC, che hanno privilegiato quella organizzativa e concorrenziale; la proposta di comunità di pratica e apprendimento è il frutto di un’elaborazione di tipo pedagogico/culturale, in particolare da parte dell’antropologo svizzero Etienne Wenger 5 . Il modello è stato applicato in svariati contesti lavorativi in cui gli operatori condividono uno stesso campo tematico, interagiscono nel medesimo contesto organizzativo o attraverso modalità di tipo virtuale e portano avanti pratiche lavorative comuni. L’impatto della comunità di pratica è di tipo sociale, pedagogico e clinico e favorisce cambiamenti importanti nella gestione organizzativa e nei modelli culturali interiorizzati dal paziente che condizionano negativamente la compliance . Un obiettivo rilevante è il cambiamento delle routine organizzative così da gestire in modo più appropriato le patologie croniche. Il riferimento operativo è quello dei PDTA intesi in senso culturale per favorire la suddivisione dei compiti e l’integrazione verticale tra I e II livello assistenziale. I risultati sono i seguenti: le adesioni hanno raggiunto l’80% dei 730 medici dell’ATS di Brescia che hanno preso in carico l’80% dei malati cronici, cioè ipertesi, diabetici, BPCO e scompensati (figura 4).




Discussione e conclusioni

In sintesi le tre modalità di gestione della cronicità, sperimentate in Lombardia nell’ultimo decennio, si basano su diverse definizioni del problema a livello territoriale e hanno proposto difformi teorie e frame cognitivi su cui far leva per indurre il cambiamento auspicato, con esiti empirici altrettanto diversificati. Le tre riforme lombarde si possono collocare lungo un continuum di opzioni di policy delimitato, da un lato, dalla proposta di PiC nel contesto del quasi mercato concorrenziale ispirato al NPM e, dall’altro, alla governance partecipativa dal basso del governo clinico territoriale, con l’esperienza dei CRG collocati in posizione intermedia. Le tre policy poggiano sullo stesso strumento, ovvero il PDTA, al fine di coordinare i processi assistenziali, ottimizzare la gestione e l’appropriatezza clinico-organizzativa; essi presuppongono l’integrazione tra i professionisti basata su fiducia, legittimazione reciproca e condivisione dei compiti (per esempio la maggiore o minore prevalenza di una figura rispetto all’altra nel percorso assistenziale). Il PDTA propone una gamma di scenari e azioni cliniche che non possono essere predeterminati in modo rigido o applicati meccanicamente secondo il modello della razionalità tecnica a priori, acontestuale e impersonale; il percorso costituisce una cornice decisionale per affrontare la variabilità, complessità, unicità e instabilità di ogni storia clinica individuale 6 . Per queste finalità sul territorio i PDTA vengono applicati in modo personalizzato, adattandoli alle condizioni contingenti, allo stadio evolutivo, al contesto e alle risorse disponibili. Tuttavia «al crescere della complessità del bisogno sanitario cresce proporzionalmente la necessità di una presa in carico individuale che punti sia all’integrazione clinica che assistenziale individualizzata» 7 . Il PAI risponde a tale esigenza in quanto documento di sintesi dei PDTA attivi nei pazienti polipatologici, complessi, fragili ecc. Il PDTA/PAI svolge indirettamente anche una funzione socio-organizzativa, nel senso di armonizzare gli interventi degli attori superando la deleteria struttura a silos che affligge da tempo i rapporti tra ospedale e territorio. L’integrazione è più facile nel caso dei PDTA rivolta a patologie a bassa prevalenza a uso interno ospedaliero, dove interagiscono un limitato numero di specialisti. Il tentativo di ricomporre unitariamente e in modo collaborativo il macro silos ospedaliero e quello territoriale incontra ben altre difficoltà, come dimostra l’esperienza della PiC lombarda, condizionata negativamente dalla concorrenza verticale tra I e II livello che rafforza i silos 8 . Gli stessi principi generali valgono per la prescrizione di farmaci soggetti a piano terapeutico specialistico. Sono maturi i tempi per un cambiamento in questo settore a favore di una maggiore condivisione e continuità: la pandemia ha slatentizzato alcune incongruenze, come il rinnovo annuale del piano terapeutico da parte dello specialista; nell’attuale paralisi delle attività ambulatoriali il contatto annuale con lo specialista comporta ulteriore impegno dei servizi, allungando in modo “patologico” le liste d’attesa. Urge una revisione dei piani terapeutici, perlomeno per i farmaci di più frequente impiego, come quelli per patologie ad alta prevalenza (diabete tipo II, BPCO, ecc.); in situazioni cliniche sotto controllo e nel paziente ben compensato il piano potrebbe essere rinnovato dal MMG come già accade per alcuni anti-diabetici. Tale delega sarebbe un modo per responsabilizzare il MMG e recuperare un suo ruolo più attivo e meno dipendente. Per questo obiettivo sarebbe anche utile un succinto prontuario per guidare il MMG nella valutazione/monitoraggio e nel follow-up delle singole molecole.

Conflitto d’interessi : l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

1. Società Italiana di Medicina generale e delle Cure Primarie (SIMG). XII Report Health Search, edizione 2019. Disponibile su: http://bit.ly/3j9RmgE [ultimo accesso 3 febbraio 2020].

2. La Spina A, Espa E. Analisi e valutazione delle politiche pubbliche. Bologna: Il Mulino, 2011.

3. Vino A. L’attuazione delle politiche pubbliche. Roma: Carocci, 2018.

4. Dente B. Le decisioni di policy. Bologna: Il Mulino, 2011.

5. Wenger E, McDermott R, Snyder WM. Coltivare comunità di pratica. Prospettive ed esperienze di gestione delle conoscenze. Milano: Guerini e Associati, 2007.

6. Schoen D. Il professionista riflessivo. Bari: Edizioni Dedali, 1993.

7. Morando V, Longo F. PDTA per la cronicità e prospettive di sviluppo: un quadro di sintesi. In: Tozzi VD, et al. PDTA standard per le patologie croniche. Milano: Egea, 2014.

8. Belleri G. La presa in carico della cronicità e fragilità in Lombardia: nascita, evoluzione ed esiti di una riforma. Mondo Sanitario 2020; 9-10.