Le decisioni terapeutiche nel melanoma metastatico
BRAF mutato

VANNA CHIARION SILENI1

1UOSD Oncologia del melanoma, Istituto Oncologico Veneto (IOV-IRCCS), Padova.

Pervenuto su invito il 15 gennaio 2021.


L’incidenza di mutazioni di BRAF è rilevabile nel 50,5-56,8% dei pazienti affetti da melanoma cutaneo metastatico1; il 90% di esse è rappresentato dalla mutazione V600E, seguita dalla V600K (10-20%), V600R (5% circa) e da V600D (<5%); mutazioni a carico di altri codoni o complesse rappresentano meno dell’1%2. Le mutazioni a carico di V600 incrementano l’attività chinasica di BRAF aumentando la fosforilazione e quindi l’attività di MEK fino a 400 volte rispetto al basale3. L’effetto più immediato è la riduzione dell’apoptosi4, ma è altrettanto importante per l’attività clinica l’aumento dei meccanismi di immuno-evasione5. La mutazione induce internalizzazione degli antigeni di istocompatibilità di classe I con diminuita capacità di presentazione e riconoscimento antigenico da parte dei linfociti CD86. Questo effetto può essere annullato dal blocco della mutazione7, con conseguente aumento della capacità dei linfociti T di riconoscere ed eliminare le cellule neoplastiche8.

L’incidenza di mutazioni a carico di BRAF diminuisce con l’avanzare dell’età, eccetto per la mutazione V600K, e nella fascia di età 15-39 anni l’incidenza di mutazione di BRAF riportata in letteratura è del 68%9.

La mutazione, pur più frequente nel melanoma del tronco a diffusione superficiale, può essere presente in qualsiasi tipo, sede ed età, come evidente in uno dei 3 casi presentati (melanoma acrale in una paziente di 67 anni). Nel melanoma la presenza di mutazione di BRAF non ha impatto sull’intervallo dalla diagnosi alla recidiva. Uno dei casi descritti è recidivato dopo 12 anni dalla diagnosi e nonostante il lungo intervallo si è presentato con sei sedi coinvolte (polmone, milza, fegato, linfonodi, mucosa ileale) e sintomatico per l’invaginazione ileale. È stata riportata, dai colleghi australiani, una prognosi peggiore dei pazienti metastatici non trattati con BRAF inibitori, rispetto ai pazienti non mutati10. Questo studio, essendo precedente all’introduzione della terapia target di combinazione, degli anti-PD1 e della combo-immuno, potrebbe non essere attendibile nell’attuale panorama.

Gli studi clinici di fase III pubblicati confermano e, sono fra loro consistenti, che la combo-target consente un tasso di risposte globali (ORR) del 66%-75%, di risposte complete (CR) del 16%-21%, una probabilità di sopravvivenza a un anno del 74%-76%, e una mediana di tempo alla progressione di 11-14,9 mesi11-13. I dati di efficacia degli anti PD1 dimostrano, con pembrolizumab ogni 3 settimane, una ORR del 36%, una CR del 13%, una sopravvivenza globale (OS) a un anno del 68,4% e un tempo mediano di progressione (TTP) di 4,1 mesi14,15; con nivolumab, una ORR del 45%, una CR del 19%, una sopravvivenza libera da progressione (PFS) mediana di 6,9 mesi e una OS a 12 mesi del 74%16. Con la combo-immuno la PFS raggiunge 11,5, l’OS a un anno il 73%, l’ORR il 58% e le CR il 22%16.

Come sottolineato dagli autori dello studio CheckMate-06716, lo stato mutazionale di BRAF non era variabile di stratificazione dei pazienti; la popolazione BRAF mutata inclusa presenta, in genere, caratteristiche cliniche più favorevoli rispetto all’intera popolazione dei pazienti con mutazione rendendo i risultati di efficacia, osservati, non automaticamente estendibili all’intera popolazione con melanoma metastastico mutato. Possibili bias di selezione sono supportati anche da esperienze di real-world, in cui la combo-immuno risulta statisticamente superiore rispetto al solo anti-PD1 in termini di OS nei pazienti non mutati, ma non nei V600 mutati17, contrariamente a quanto osservato nello studio CheckMate-067.

L’insorgenza di resistenza nei pazienti in trattamento con terapia target è sicuramente un aspetto non trascurabile, tuttavia, circa il 20% dei pazienti non presenta progressione a 5 anni dall’inizio del trattamento, e questa percentuale arriva al 49% nei pazienti che ottengono la remissione completa, e supera il 50% nei pazienti con LDH nei limiti di normalità e non più di 2 organi coinvolti11,13.

Anche nell’immunoterapia il carico tumorale, le sedi di malattia, il performance status (PS) del paziente, i livelli di LDH, l’ottenimento della risposta completa sono fattori prognostici significativi per la sopravvivenza17.

Le evidenze scientifiche derivano dagli studi controllati, ma non dobbiamo trascurare che il 55% dei pazienti con melanoma metastatico non radicalmente operabile non risulta eleggibile per gli studi di immunoterapia18. Alcuni criteri di esclusione come comorbilità, presenza di metastasi cerebrali attive, PS, elevati valori di LDH, concomitanza di altre neoplasie sono criteri di esclusione generali, ma l’esclusione per patologia autoimmune o necessità di terapia immunosoppressiva è esclusiva degli studi di immunoterapia e nell’esperienza danese risulta coinvolgere il 17% dei pazienti18. Per quanto riportato sopra sugli effetti immunosoppressivi della mutazione di BRAF e immunomodulanti della terapia target, è abbastanza logico attendersi che questa percentuale di pazienti, in genere esclusa dall’immunoterapia ma non dalla terapia target, possa essere a prognosi meno favorevole e rappresentare un ulteriore bias nella comparazione indiretta dell’immunoterapia versus la terapia target.

La segnalazione di comparsa di eventi avversi “immunorelati” in corso di anti-BRAF e anti-MEK non è inusuale, anche se spesso limitata a casi clinici. La comparsa di vitiligine, cheratite secca ed eritema nodoso è riportata associata a una PFS di 42,8 mesi rispetto a una PFS di 6,1 mesi per i pazienti senza alcun evento19, ed è indipendente dai livelli di LDH e carico tumorale. Questa osservazione supporta ulteriormente la capacità della terapia target di elicitare una risposta immune e la sua rilevanza prognostica.

Gli studi in corso di cross-over a progressione o preordinato e/o di combinazione finalizzati a stabilire quale strategia di trattamento favorire nei pazienti con melanoma metastatico BRAF mutato sarebbero ingiustificati o superflui, se la risposta fosse disponibile.

Sono, invece, fondamentali soprattutto per la ricerca traslazionale associata che ci potrà dare informazioni e tasselli per selezionare e trattare i pazienti in modo ancora più personalizzato di quanto sia possibile fare oggi.

L’aspetto sicurezza e tolleranza dei diversi trattamenti – anche se, a mio avviso, secondario all’aspetto efficacia – nel contesto metastatico, va sicuramente considerato.

Le pubblicazioni al riguardo sono innumerevoli. Per la terapia target si suggerisce la rassegna di Lucie Heinzerling20, per la completezza e gli utili risvolti clinici. Si sottolinea che, nei trial clinici, riduzioni di dose, interruzioni e sospensioni definitive sono regolate dal protocollo di studio più che dalla reale sicurezza del paziente e possono essere anche maggiori a quelle della normale pratica clinica. Un solo esempio, un aumento asintomatico di creatinina-fosfochinasi a 540 U/l, è G2 (CTCA v5), un rialzo termico a 39,8 °C è ugualmente G2, la durata temporale dell’evento e pericolosità, o impatto sul paziente, non sono considerate nella gradazione, e questo è sicuramente un limite. Va anche considerata la minor confidenza, che induce maggiore cautela, quando si studia una nuova terapia e non si è ancora acquisita abbastanza esperienza nell’utilizzo della stessa.

Nella pratica clinica quotidiana osserviamo l’impatto degli eventi avversi sulla vita dei pazienti e il peso diverso dello stesso evento nei diversi pazienti a seconda dell’età, dello stile di vita, del genere, a volte della stagione o del periodo. Nell’esempio precedente la febbre ha un impatto diverso per chi lavora fuori casa rispetto a chi può rimanere a casa, per chi ha maggiori garanzie sul lavoro rispetto a chi non le ha, o in momenti di emergenza come quello da pandemia CoViD-19 che stiamo vivendo.

La disponibilità di combinazioni efficaci con tossicità diversificate consente di continuare la terapia, se efficace, scegliendo quella con lo spettro di tolleranza più favorevole per quello specifico paziente.

I tre casi clinici presentati sono un efficace esempio di quali siano le strategie di trattamento nel paziente con melanoma metastatico BRAF mutato.

La ricerca di mutazione di V600 deve sempre essere richiesta, anche in un melanoma acrale in una paziente anziana, la presenza della mutazione allarga il ventaglio terapeutico e può aiutare nella definizione di una diagnosi istologica difficile.

In presenza di tossicità che influiscono sulla qualità della vita al punto da ostacolare l’assunzione della terapia stessa o la sua continuazione, si può ovviare con il cambio di combinazione, garantendo al paziente di continuare una terapia efficace.

L’insorgenza di resistenza non è scontata e non solo nei pazienti con basso carico tumorale, ma a volte anche in pazienti sintomatici e con forte carico se ottengono la remissione completa.

La sospensione definitiva del trattamento nella malattia metastatica è sconsigliata, anche se questo aspetto a nostro avviso, non è stato affrontato con disegni di studio idonei a fornire una evidenza definitiva.

Conflitto di interessi: VCS reports travel accomodation from Bristol Myers Squibb, personal fees from Pierre Fabre, Novartis, Merck Serono, MSD, and Sanofi.

Bibliografia

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