Ritratto di Rodolfo Saracci:
un epidemiologo italiano di fama internazionale

Lavoro e formazione professionale

Può dire di avere avuto un mentore nella sua formazione?

Ciascuno di noi è formato dagli incontri che fa nella vita. A Pavia, Adriano Buzzati-Traverso e Luca Cavalli-Sforza mi hanno trasmesso l’interesse per i metodi quantitativi in medicina che ho sviluppato a livello di ricerca a Pisa lavorando con Luigi Donato, ancora oggi una presenza amica. Gabriele Monasterio è stato l’esempio ispiratore dei miei anni clinici. La critica conversione all’epidemiologia è avvenuta sotto la guida di Richard Doll, con il quale è durato per tutta la sua vita un cordiale rapporto professionale e personale. I tre anni di collaborazione con Giulio Alfredo Maccacaro, a Milano, e i diciassette anni di lavoro con Lorenzo Tomatis, a Lione, hanno profondamente influenzato il mio modo di essere.

Cosa la rende più orgoglioso
della sua carriera?

Lo sviluppo di programmi di ricerca epidemiologica multicentrica a indirizzo eziologico all’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc), a Lione, mantenendo, in questa come in tutte le altre attività a cui ho preso parte all’interno dell’agenzia internazionale, l’indipendenza da ogni interesse estraneo al doppio impegno per scienza e salute: in questo la Iarc è stata esemplare tra le organizzazioni internazionali.

E la disillusione più grande?

Non essere riuscito a continuare insieme alla ricerca epidemiologica una limitata attività clinica.

Le ragioni per cui ha scelto questa carriera…

Ho deciso per la professione medica pensando, un po’ ingenuamente, che i medici saranno sempre dalla parte del bene. Ma, per un po’ di tempo, ero stato incerto tra medicina e fisica.

Qual è la parte più gratificante
del suo lavoro?

La fortuna di lavorare con persone intelligenti.

E la più noiosa?

Non tanto il lavoro organizzativo quanto quello puramente amministrativo.

Qual è la parte del lavoro che più aspetta impaziente ogni giorno?

Da quando sono un “pensionato attivo” ho una buona latitudine di scelta di quanto mi piace fare ogni giorno.

Può descriverci l’ambiente nel quale lavora? Cosa ha appeso alle pareti del suo ufficio?

Nei miei ultimi studi avevo i ritratti di Gabriele Monasterio e Richard Doll, e un poster di Albert Einstein. Adesso lavoro a casa e non ho spazio per appendere ritratti, ci sono libri dappertutto.

Come conclude la sua giornata di lavoro?

Non ho uno schema fisso, ma se sto facendo qualcosa di molto interessante semplicemente continuo.

Sfide e scommesse

Quale sarebbe la prima cosa che cercherebbe di fare come ministro della salute italiano?

Riempire urgentemente le falle aperte dalla covid-19 nel Servizio sanitario nazionale. Quanto alle riforme, debbono partire dal franco riconoscimento che quantunque “le cose sarebbero potute andare anche peggio” siamo di fatto di fronte a un colossale fallimento della sanità pubblica (dei sistemi, non delle persone) e prima di tutto della prevenzione: qualunque riforma sarà futile se non è indirizzata a correggere radicalmente questo fallimento di sistema.

E come consigliere scientifico
del Governo?

Dipende da chi dovrei consigliare. La scienza ha un alto valore sociale sia per gli individui che per la collettività. Ma oggi un problema cruciale da affrontare è che il valore sociale della scienza viene perlopiù eguagliato al valore economico e il valore economico è largamente eguagliato a un’economia produttrice di profitti privati.




Quale figura storica inviterebbe
a cena? E quale politico?

Maria Montessori e Giacomo Leopardi. Quanto a figure politiche attuali, Fabrizio Barca e Enrico Letta.

Lettura e scrittura

Come e quando trova il tempo
per scrivere?

Adesso che lavoro a casa non ho troppe difficoltà a trovare il tempo che mi è necessario (e sono lento a scrivere!).

Offline o online?

Entrambi.

L’errore tipografico più pericoloso che le è scappato di mano?

Un “2” nel denominatore di una formula per un test di significatività: usando quella formula praticamente ogni confronto produceva un risultato statisticamente significativo.

Ha mai scritto una poesia?

Solo una riga.

E un diario?

Non un diario vero e proprio, ma quasi ogni giorno note di ogni genere.

Come ha scritto il suo primo libro?

Nel 1967, un’introduzione ai metodi epidemiologici quando lavoravo all’Istituto di biometria a Milano – allora non era stato fatto niente del genere in Italia; Giulio Maccacaro rivide il manoscritto e scrisse la prefazione. È un documento nella microstoria dell’epidemiologia italiana e in forma di copia anastatica è stato ripubblicato quarant’anni dopo, nel 2007, da Epidemiologia & Prevenzione con il titolo originale di “Metodi statistici elementari per l’epidemiologia clinica”.

Quale libro non di medicina
ha sul comodino?

In questo momento una pila alta, con in cima tre libri: “The Janus point” di Julian Barbour, un affascinante discussione sul tempo da parte di un fisico teorico; il libro pioniere dell’ecologia “Silent spring” di Rachel Carson; “Orwell à sa guise” di George Woodcock, un elaborato ritratto dell’autore di “1984” fatto da un amico scrittore.

L’ultimo libro che ha regalato?

“Une histoire mondiale des femmes photographes” di Luce Lebart e Marie Robert.

I suoi scrittori preferiti?

Ho sempre letto molti libri di fisica (entro i miei limiti di comprensione), economia, storia, sociologia e saggi di ogni genere, ma meno testi letterari e romanzi. Ho rimandato al futuro la lettura o rilettura di molti grandi classici, è tempo che cominci… Tra i polizieschi i miei autori preferiti sono Andrea Camilleri (naturalmente!), Henning Mankell e Donna Leon.

Il libro che porterebbe con sé
in un’isola deserta?

Ovviamente un manuale di sopravvivenza.

Ricordi, passioni e…

Qual è stato il suo primo “esame”?

Un ricordo perso nella memoria.

Ha delle paure nascoste che può confidarci?

Meglio lasciarle dove sono senza toccarle.

Una lettera che non ha mai spedito?

Agli editors delle riviste scientifiche che predicano una totale trasparenza (parola che non amo per niente – spesso è solo una parola vuota che nasconde quello che conta, la “visibilità”) e rifiutano articoli, e anche commenti, su quanto hanno pubblicato con la sola giustificazione: “Ci spiace, non abbiamo spazio”. Impeccabile e totalmente opaco.

Le parole che non ha mai detto?

Quelle alla ragazza che è stata la mia passione per i tre anni di liceo. Ma lei non lo ha mai saputo.

Il miglior compleanno?

Sempre il più recente.

C’è qualche cosa a cui
non rinuncerebbe?

I miei principi, ma questa risposta è valida solo dopo aver superato degli stringenti “stress test”.

E qualche cosa a cui vorrebbe rinunciare?

Non raramente ho la sensazione che gran parte di quello che posseggo sia superfluo.

Cosa l’affascina di più?

La prodigiosa mescolanza di genio e stupidità, generosità e crudeltà dell’animale umano, un organismo biologicamente squilibrato. In modo stupefacente, la mescolanza può avvenire entro una stessa persona. Edgar Morin lo ha perfettamente detto: “Homo Sapiens Demens”.

I ricordi più importanti
nella sua vita?

Tra i più tristi, la guerra e i primi anni post-bellici, quando avevo dai cinque ai dieci anni; tra i più felici, le nascite delle figlie e dei nipoti e i concerti annuali dal 2003 al 2013 diretti da Claudio Abbado, e nel 2016 e 2019 da Riccardo Chailly, al Festival d’estate di Lucerna.

Preferisce stare a tavola
o dietro i fornelli?

A tavola, per evitare una cattiva esperienza culinaria agli altri invitati.

Veg o carnivoro?

Nessuno dei due, e tutti e due.

Vino o birra?

Preferibilmente vino.

Che cosa ama di più dell’Italia?
E che cosa di meno?

Affettivamente amo tutto. Nella mia lunga carriera professionale all’estero ci ho sempre tenuto a essere considerato un rappresentante del mio Paese. Ma detesto il latente cinismo così diffuso tra gli italiani.

Curiosità

Preferisce leggere i giornali
sulla carta oppure online?

Mi sono adattato alla lettura online, ma se ho tempo preferisco ancora quella su carta.

La televisione è per guardare…

Troppo, specialmente adesso al tempo della covid-19. I canali “Arte” e “France 5” hanno dei programmi interessanti e dei tavoli di discussione civile, ma mi concedo anche serie poliziesche come Colombo…

Chi le telefona più spesso?

Una delle mie figlie, tra le altre cose discutiamo spesso i suoi casi clinici.

Il miglior momento della giornata: alba o tramonto?

Variabile, ma più spesso il tramonto.

E il miglior giorno della settimana?

Banalmente, il sabato.

Twitter, Facebook, LinkedIn
o TikTok?

Nessuno. Di recente, accidentalmente, ho letto che una giovane premio Nobel di una prestigiosa istituzione degli Stati Uniti non è iscritta a nessuna di queste piattaforme. Quindi non sono il solo…

Papillon o cravatta ?

Che cosa è una cravatta? Conosco solo papillon.

Tempo libero

La musica che ascolta di solito?
e dove?

Musica classica di sottofondo quando lavoro. Classica e opera ogni volta che posso, il che vuol dire – al di fuori di questo tempo covid-19 – parecchie volte…

Il suo film preferito?

“Tempi moderni” di Charlie Chaplin, ha la mia età.

Il suo sport preferito?

Ho praticato sempre troppo poco sport. Mi piace guardare le belle partite di calcio e di tennis.

Come preferisce muoversi in città?
A piedi, in bicicletta, in autobus
o in auto?

A piedi.

Mare o montagna?

Montagna.

La migliore vacanza?

Una vacanza con molta musica.

La città europea che più ama?

Diverse città per ragioni diverse, ma Londra continua ad essere quella che preferisco insieme a mia moglie. Con l’età la motivazione dominante diventa dove vivono le figlie e i nipoti, e per tale ragione attualmente Ginevra e Roma sono salite in cima alle nostre preferenze.

E quella italiana?

Firenze, nel Rinascimento la culla della nostra civilizzazione, nel bene e nel male.