Accesso ai vaccini anticovid:
ricerca, sviluppo e ruolo dei brevetti

Giulio Formoso1,2, Silvia Mancini3

1Struttura Governo Clinico, Azienda USL - IRCCS di Reggio Emilia; 2Associazione Alessandro Liberati, Perugia; 3Medici Senza Frontiere, Roma.

Pervenuto su invito il 18 giugno 2021.

Riassunto. L’accesso ai vaccini contro covid-19 è un tema di grande attualità. Da una parte, esistono problemi di approvvigionamento e una inadeguata disponibilità di dosi a livello sia nazionale sia internazionale. Dall’altra, le esigenze di sanità pubblica si scontrano con l’economia di mercato: la necessità di vaccinare tutta la popolazione mondiale per superare la pandemia non può essere soddisfatta a causa delle regole di mercato e dei limiti nei processi produttivi. Ne consegue una radicale diseguaglianza nell’accesso ai vaccini. Sappiamo che esiste un delicato equilibrio tra salute ed economia: la seconda non può prescindere dalla prima. Anche per questo, sta crescendo la domanda di maggiore equità nell’accesso ai vaccini: la corsa all’innovazione potrebbe non essere ostacolata da un allentamento mirato delle regole sulla proprietà intellettuale durante un’emergenza sanitaria pandemica.

Access to anti-covid vaccines: research, development and role of patents.

Summary. Access to vaccines against covid-19 is a very topical issue. On the one hand, we are suffering from supply problems and inadequate availability of doses both nationally and internationally. On the other hand, public health needs do not coincide with those of the market economy: the need to vaccinate the entire world population to overcome the pandemic cannot be satisfied due to market rules and limits in production processes. The result is a radical inequality in access to vaccines. We are aware of the delicate balance between health and economy: the latter cannot ignore the former. Also for this reason, the demand for greater equity in access to vaccines is growing: the race for innovation may not be hindered by a targeted relaxation of the rules on intellectual property during a pandemic health emergency.


L’accesso ai vaccini anticovid è un (il) tema centrale in questo periodo, sia per quanto riguarda la disponibilità complessiva di dosi sia per la loro equa distribuzione a livello nazionale e internazionale. Questo tema si intreccia con quello del difficile equilibrio, spesso visto come contrapposizione, tra esigenze di sanità pubblica ed esigenze dell’economia di mercato: da una parte la necessità di vaccinare tutta la popolazione mondiale per superare la pandemia, dall’altra le regole di mercato – pur mitigate da iniziative come il programma COVAX (COVID-19 Vaccines Global Access)1 – che, assieme agli attuali limiti nei processi produttivi, determinano diseguaglianze nell’accesso ai vaccini.

Le diverse proposte per massimizzare l’accesso ai vaccini riguardano tutte le fasi che determinano la loro disponibilità: dagli investimenti in ricerca a quelli nelle strutture produttive, alla necessità di limitare la proprietà intellettuale per ridurre i costi di accesso e consentire una più equa distribuzione di vaccini e tecnologie mediche necessarie per combattere la covid-19.

Gli investimenti in ricerca e sviluppo

A questo riguardo, la pandemia ci ha insegnato ancora una volta che la collaborazione tra pubblico e privato è fondamentale. Solo a titolo di esempio: il governo americano ha investito quasi un miliardo di dollari per lo sviluppo del vaccino Moderna, più un altro miliardo e mezzo per opzionarne 100 milioni di dosi2. Il governo tedesco da parte sua ha finanziato BioNTech (partner di Pfizer nello sviluppo di un altro dei vaccini attualmente approvati) con circa 400 milioni di euro3, e la ditta Curevac – produttrice di un altro vaccino mRNA che è in corso di valutazione presso l’Agenzia europea per i medicinali (EMA), nonostante per il momento i risultati sembrino deludere le aspettative4 – con 300 milioni di euro5. Va inoltre aggiunto che, come per gli altri vaccini, si è potuto beneficiare di un background di conoscenze in buona parte derivate da ricerche svolte da centri accademici e da strutture pubbliche6, oltre che della generosità dei soggetti che hanno partecipato alle sperimentazioni. La presenza delle ditte farmaceutiche da sola non basterebbe per sviluppare la ricerca necessaria7, considerando sia il necessario know-how sia la condivisione del rischio di investimenti enormi, proporzionali alla rilevanza del problema da affrontare e all’urgenza richiesta. La figura 1 offre un quadro dei finanziamenti per ciascuno dei vaccini sviluppati e in via di sviluppo, e delle relative fonti di finanziamento8.




Anche nel nostro Paese, la Regione Lazio e il CNR hanno effettuato un investimento (rispettivamente di 5 e 3 milioni di euro) per lo sviluppo del vaccino GRAd-COV2 in partnership con la ditta Reithera, destinato alle attività di ricerca e sviluppo per la validazione del vaccino9. Un ulteriore investimento di 81 milioni da parte di Invitalia per le successive fasi di sviluppo e per la produzione del vaccino è stato bloccato dalla Corte dei Conti perché avrebbe riguardato anche l’ampliamento dello stabilimento di produzione di Castel Romano, destinato anche ad altre attività10. Al di là di queste obiezioni di natura contabile e nonostante siano stati molto limitati rispetto a quelli di altri Paesi, questi investimenti sono stati accompagnati da diverse polemiche: per non aver puntato in tempo utile alla riconversione di impianti per la produzione dei vaccini già approvati, considerando che il vaccino “italiano” potrebbe essere disponibile nella pratica clinica non prima del prossimo anno; per l’eticità di una sperimentazione clinica verso placebo condotta in piena pandemia nonostante la disponibilità di prodotti efficaci; e perché sarebbe difficile pensare all’utilizzo esclusivo di un vaccino “autoctono” nel contesto europeo nel quale l’Italia è inserita.

Probabilmente la disponibilità del vaccino GRAd-COV2 non sarebbe la soluzione del problema covid nel nostro Paese. Ma se i vaccini rappresentano l’arma per superare la pandemia, e se questi sono stati sviluppati anche grazie a consistenti investimenti pubblici e a una capacità di ricerca anche da parte di strutture pubbliche, può essere importante che l’Italia partecipi a questa “gara”: anzitutto perché potrebbe portare un nuovo vaccino efficace in un contesto (non solo nazionale) che difficilmente sarà in grado di soddisfare le quantità di dosi richieste; e poi perché è fondamentale rafforzare le capacità di ricerca e la disponibilità di impianti in grado di portare alla produzione di vaccini efficaci per affrontare non solo questa pandemia, ma anche quelle che in futuro ci possiamo purtroppo aspettare. D’altra parte, gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo e nella riconversione di impianti non dovrebbero essere visti come alternativi – per cui gli uni sottrarrebbero risorse agli altri – ma complementari, essendo tutti necessari.

Proprietà intellettuale, profitti e accesso alle innovazioni

Le regole sulla proprietà intellettuale rappresentano l’altro tema, caldissimo, per quanto riguarda le strategie per facilitare la disponibilità dei vaccini. L’emergenza sanitaria in corso e il riconoscimento del contributo di risorse pubbliche alla ricerca sui vaccini costituiscono gli argomenti per sostenere la necessità di allentare le regole attuali sulla proprietà intellettuale, fino a ipotizzare la sospensione dei brevetti e altri diritti di proprietà intellettuale su farmaci, vaccini, diagnostici e dispositivi di protezione individuali per tutta la durata della pandemia. Sulla base dei provvedimenti contenuti negli accordi sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights - TRIPs), e specificatamente nella sezione relativa al copyright, disegni industriali e brevetti, si invoca una deroga che potrebbe consentire anche una condivisione della conoscenza scientifica verso Paesi a medio e basso reddito, rendendoli progressivamente autonomi, diversificando i siti di produzione e ampliando la capacità produttiva.

La proposta di deroga ai diritti di proprietà intellettuale, che India e Sudafrica nell’ottobre del 2020 hanno presentato all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), ha visto in prima battuta l’opposizione di un gruppo di Paesi forti quali Stati Uniti, Regno Unito, Stati membri dell’UE e Brasile11,12. Il 5 maggio scorso il presidente degli Stati Uniti Biden ha modificato la posizione americana promuovendo un sostanziale appoggio alla sospensione temporanea dei brevetti e dei diritti di proprietà intellettuale limitatamente ai vaccini anticovid13, così come chiesto da 175 tra premi Nobel ed ex-capi di Stato, tra i quali Romano Prodi e Mario Monti14, oltre che da organizzazioni della società civile come Medici senza Frontiere15. Anche Russia e Cina hanno aperto a questa possibilità. Tra i Paesi europei Italia e Francia sembrano approvare (seppur tiepidamente) questo cambio di paradigma16, ma la Germania (patria delle ditte BioNTech e Curevac che sviluppano altrettanti vaccini con tecnologia mRNA) resta fermamente contraria17. Il 10 giugno anche il Parlamento europeo si è espresso a favore della sospensione dei brevetti per questi vaccini, ma la relativa risoluzione può per il momento essere vista solo come un mero atto simbolico18.

Il Global Health Summit dei Paesi del G20 svoltosi il 21 maggio 2021 ha sostanzialmente lasciato sullo sfondo la questione della proprietà intellettuale, aprendo solo alla prospettiva di soluzioni più timide come, per esempio, la messa a disposizione (volontaria e dietro pagamento dei diritti d’autore) da parte delle aziende produttrici di brevetti e del cosiddetto know-how, cioè delle conoscenze necessarie per poter produrre i vaccini secondo standard qualitativi adeguati19.

Eppure abbiamo appreso negli anni, e in particolare durante la crisi dell’accesso ai trattamenti per la cura dell’HIV/AIDS, i limiti delle licenze volontarie e dei prezzi differenziati, che lasciano alla discrezionalità delle imprese farmaceutiche l’iniziativa nella definizione dei criteri di accessibilità e distribuzione dei prodotti20. Escludere l’opzione di una sospensione dei brevetti e di altre proprietà intellettuali concentrando tutte le aspettative su meccanismi volontari che hanno già mostrato i loro limiti nel recente passato potrebbe non essere la scelta ottimale.

Al di là delle caute adesioni di alcuni degli Stati membri, l’Unione Europea (UE) resta di fatto su posizioni critiche e ostruzioniste tanto da aver presentato un piano alternativo alla proposta di più ampia portata di India e Sudafrica21. L’UE ribadisce la tesi che la proprietà intellettuale non rappresenterebbe un ostacolo all’accesso equo ai vaccini e ad altri prodotti utili a combattere la covid-19 ma piuttosto una piattaforma utile per incentivare la collaborazione e il trasferimento di know-how, attraverso l’uso delle licenze volontarie, nonché delle attuali disposizioni in materia di licenze obbligatorie (possibilità di produrre un farmaco/vaccino anche senza il consenso del detentore del brevetto), previste dall’accordo TRIPs.

Si tratta di un piano che ripropone misure già esistenti e dimostratesi sino a oggi non sufficienti a contrastare la pandemia. La sola concessione di licenze obbligatorie, pur riconosciute come un formidabile strumento di salvaguardia della salute pubblica, senza un’adeguata condivisione dei saperi rischia di non essere all’altezza della straordinarietà che la situazione richiede e dovrebbe imporre22.

L’OMS ha istituito sin da maggio 2020 un programma per facilitare questa condivisione di conoscenze (il COVID-19 Technology Access Pool o C-TAP)23, che però finora non ha avuto alcun impatto, anche perché le aziende produttrici non nutrono interesse o non beneficiano di incentivi per mettere in pratica tale condivisione12,24.

Sull’argomento esiste dunque un ampio dibattito, relativo sia agli aspetti etici di questa proposta (sul diritto alla salute ma anche su quello di avere incentivi per investire sulle innovazioni) sia alla sua fattibilità. Viene sottolineato come i principali colli di bottiglia per la produzione e per l’accesso ai vaccini non sarebbero rappresentati dai brevetti quanto piuttosto dal know-how e dalla limitata disponibilità delle materie prime necessarie, che rischierebbero di essere dirottate lontano da catene di approvvigionamento ben consolidate verso siti nei quali la produttività e la qualità possono essere un problema25. Se è vero che la sospensione dei brevetti e di altre misure di proprietà intellettuale non si tradurranno automaticamente in una produzione diffusa e diversificata, è altrettanto vero che questa deroga faciliterà la risoluzione delle complesse regole globali che disciplinano la proprietà intellettuale e le esportazioni e darà ai governi la libertà di collaborare sui trasferimenti di tecnologia. Con l’emergere di nuove varianti e della possibile necessità di effettuare richiami del vaccino, la deroga consentirà ai governi di tutto il mondo di essere preparati per una risposta a lungo termine alla covid-19. Il blocco alle esportazioni dei vaccini dai Paesi produttori a quelli meno abbienti ha finora rappresentato un altro rilevante ostacolo per il loro approvvigionamento26.

Più di recente, un impegno globale per eliminare le restrizioni alle esportazioni sta aiutando ad alleviare alcuni problemi di distribuzione, ma in definitiva queste misure ridistribuiscono solo le scarse forniture e fanno poco per superare le carenze stesse, specialmente nei Paesi a medio e basso reddito. Sicuramente il problema della disponibilità dei vaccini è complesso e non può essere limitato a posizioni ideologiche pro o contro i brevetti. La sospensione dei brevetti potrebbe essere un elemento rilevante di una strategia più articolata perché non riguarderebbe solo il prodotto finale ma tutta la rete dei passaggi tecnologici, ciascuno protetto da brevetti, necessari a produrre i vaccini27,28. Dovrebbe tuttavia essere accompagnata dalla remunerazione del trasferimento del know-how, da investimenti in siti produttivi e professionalità e dal tempo necessario a implementare tutto ciò24,29,30. Quest’ultimo sarà comunque ben speso dato che questa pandemia non sarà certamente risolta in pochi mesi e le (probabili) prossime pandemie richiederanno conoscenze e capacità produttive diffuse per poter essere adeguatamente affrontate. Sul fronte degli incentivi alla ricerca, va sottolineato che le ditte che hanno investito risorse proprie hanno già ottenuto ampi margini di profitto e potrebbero comunque ottenere un riconoscimento per la condivisione delle licenze. A titolo di esempio, BioNTech/Pfizer hanno un profitto stimato di 4 miliardi su 15 miliardi di dollari di ordinazioni già ricevute. Moderna ha un profitto stimato di 8 miliardi di dollari su un fatturato di 18,4 miliardi di dollari31. Tali profitti derivano anche da una politica di prezzi variabili in base alla disponibilità dei singoli Stati a pagare i vaccini32 (figura 2).




Da questo punto di vista, la strategia di acquistare le dosi come UE (e non come singoli Stati europei) ha sicuramente permesso di acquistarle a minor prezzo, anche se potrebbe aver determinato i ritardi nella loro disponibilità rispetto ai Paesi disposti a pagarle di più o con minor “peso” come acquirenti15.

Equilibrio tra salute ed economia:
guida il contesto?

È oramai chiaro a tutti che la disponibilità di dosi dei vaccini anticovid non è un problema che riguarda solo i singoli Stati. Devono giustamente preoccuparci la velocità con cui procede la copertura vaccinale sul nostro territorio e le disuguaglianze di accesso tra regioni e gruppi di popolazione. Ma preoccuparci anche della dimensione globale delle disuguaglianze di accesso ai vaccini non è solo una (degna) questione di solidarietà: la pandemia durerà (per tutti) finché non sarà vaccinata la maggioranza della popolazione mondiale, e l’economia, oltre che la salute pubblica, sarà fortemente condizionata dalla capacità di cooperare a livello internazionale nella ricerca biomedica e nell’accesso a vaccini e farmaci. Abbiamo dunque imparato (se mai ce ne fosse stato bisogno) che esiste un delicato equilibrio tra salute ed economia, e che la seconda non può prescindere dalla prima. Questo equilibrio, che si riflette anche nel rapporto tra incentivi e accesso alle innovazioni, andrebbe calibrato in base al contesto in cui ci si trova: la corsa all’innovazione, fortemente supportata anche da finanziamenti pubblici, potrebbe essere ostacolata da un allentamento mirato delle regole sulla proprietà intellettuale di fronte a una situazione socio-economico-sanitaria come quella che stiamo vivendo? Un recente webinar organizzato dalla Scuola Sant’Anna di Pisa ha prodotto una discussione molto interessante su questo tema33. Per ora, comunque, la disponibilità dei vaccini per i Paesi meno abbienti resta soprattutto legata alle donazioni dei Paesi “ricchi” nell’ambito del programma COVAX. Una volontà in questo senso è stata espressa dai Paesi del G7, che hanno promesso di fornire un miliardo di dosi34 (una parte delle quali era già stata promessa nei mesi scorsi). Tuttavia né la condivisione delle dosi né il programma COVAX saranno sufficienti per fornire un accesso universale ed equo ai vaccini. COVAX può solo coprire una frazione minima della popolazione nei Paesi che serve (circa il 20%), ben lontana dalla copertura necessaria per porre fine alla pandemia. Inoltre, affronta gravi carenze di approvvigionamento: al 17 giugno 2021 è stata in grado di fornire solo 88 milioni di dosi a 131 Paesi35, pari all’1% della popolazione di quei Paesi.

L’inizio delle trattative sul testo della moratoria proposta da India e Sudafrica e deciso durante gli incontri di giugno del Consiglio TRIPs offre l’opportunità al mondo della salute globale, della politica, dell’industria e del commercio di mostrare che la lezione di covid-19 è stata ben appresa e che esiste un’effettiva volontà di collaborazione nella lotta alla pandemia. Si tratta di una sfida collettiva moralmente ineludibile.

Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

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