Il potere del cittadino nella cultura digitale

Giampaolo Collecchia1

1Medico di Medicina Generale, Massa (MS), Centro Studi e Ricerche in Medicina Generale (CSeRMEG), Ufficio di Presidenza del Comitato per l’Etica Clinica (ComEC), Azienda USL Toscana Nord Ovest.

Pervenuto su invito il 12 dicembre 2021. Non sottoposto a revisione critica esterna alla direzione della rivista.

Riassunto. I sintomi riferiti dal paziente sono in genere considerati di minor valore sul piano scientifico rispetto ai dati oggettivi, misurabili. Le nuove tecnologie digitali consentono di registrare sensazioni da sempre esprimibili attraverso la lente della soggettività, come il tono dell’umore, l’attività cognitiva e l’attività neuroendocrina. L’accesso del paziente ai parametri biologici e comportamentali e la possibilità di acquisirli direttamente, in maniera indipendente e autonoma, permettono una partecipazione attiva delle persone al proprio processo di cura e al mantenimento dello stato di salute, in grado di bilanciare e talvolta ribaltare il tradizionale rapporto top-down nella relazione con il medico. Il rovescio della medaglia è una cultura medica sempre più orientata verso la misurazione della salute e del benessere, mentre l’esperienza clinica insegna che la presa in carico delle persone deve comprendere un approccio globale, incentrato sulla identificazione e condivisione di valori, senso, interessi, dimensioni difficilmente misurabili.

The power of the citizen in digital culture.

Summary. Symptoms reported by the patient are generally considered to be of lesser scientific value than objective, measurable data. New digital technologies make it possible to record sensations that have always been expressed through the lens of subjectivity, such as mood, cognitive activity and neuroendocrine activity. The patient’s access to biological and behavioral parameters and the possibility of acquiring them directly, independently and autonomously, allow people to actively participate in their own care process and in maintaining their state of health, capable of balancing and sometimes overturning the traditional top-down relationship with the doctor. The downside is a medical culture increasingly oriented towards the measurement of health and well-being, while clinical experience teaches that taking care of people must include a global approach, focused on the identification and sharing of values, meaning, interests, dimensions that are difficult to measure.

In un recente articolo della rivista The Lancet Digital Health1 si afferma che nell’era digitale la netta distinzione tra sintomi soggettivi e segni obiettivi «semplicemente non funziona». Sarebbero inoltre favoriti modelli di partecipazione in grado talvolta di ribaltare il tradizionale rapporto top-down nella relazione medico-paziente, enfatizzando il potente insight che può derivare dagli stessi individui, produttori e gestori dei dati che li riguardano.

Il valore di sintomi e segni nella consultazione medica

La presentazione dei sintomi, espressioni soggettive di un processo morboso, è in genere l’esito di un processo, più o meno lungo, nel corso del quale un cittadino arriva a decidere che le sensazioni da lui percepite possono costituire un problema di pertinenza medica. In questo caso accetta di essere oggetto di valutazione clinica e quindi, per la durata della consultazione, viene riconosciuto come “paziente” e legittimato come tale. Questo è l’inizio della tradizionale consultazione medica. Il paziente esprime le sensazioni che sta provando senza una netta scissione tra il suo corpo e il suo Sé, mentre il medico le affronta «come se accanto o dentro al corpo adagiato sul lettino vi fosse un terzo soggetto parlante immateriale, biologicamente non determinato, che gli descrive cosa sembra non funzionare»2. L’interpretazione dualistica della narrazione dell’assistito impedisce al curante di riconoscere l’esistenza di una soggettività collegata al corpo e quindi di attribuire al sintomo descritto un valore pari a quello che solitamente viene assegnato al segno osservato. Per questo, secondo la tradizione medica, i sintomi, soggettivi e riferibili soltanto al paziente, sono dotati di una valenza poco “scientifica”, mentre le misure oggettive, di natura clinica, strumentale o di laboratorio, per esempio un’alterazione cutanea, un valore di pressione arteriosa o di glicemia, sono segni inconfutabili, che solo il medico ha il potere di osservare e interpretare per stabilirne la rilevanza clinica e quindi l’effettivo “valore”.

Il patient digital empowerment

Le nuove tecnologie digitali, in particolare gli smartphone e in genere i dispositivi indossabili (DI), costituiti da uno o più biosensori, inseriti su capi di abbigliamento quali orologi, magliette, scarpe, pantaloni, cinture, fasce, occhiali, sono in grado di rilevare e misurare diversi parametri biologici (frequenza cardiaca, respiratoria, saturazione di ossigeno, temperatura corporea, pressione arteriosa, glucosio, sudore, onde cerebrali) e fornire informazioni sullo stile di vita (attività fisica, sonno, alimentazione, calorie consumate). Tali sistemi di misurazione, implementati dalle applicazioni della intelligenza artificiale (IA), possono fornire dati di flusso dinamici, istantanei, minuto per minuto, giornalieri, settimanali, di alto valore in termini clinici, in grado di migliorare il monitoraggio delle patologie, rendere più efficienti i processi decisionali e consentire la diagnosi precoce di malattie che non si presentano con sintomi facilmente percepibili, per esempio la covid-19, che può alterare frequenza cardiaca, attività e sonno in individui asintomatici ma essere diagnosticata in questa fase attraverso gli smartwatch3. I segnali ottenuti dai device possono peraltro rilevare anche misure di sensazioni comprese da sempre soltanto attraverso la lente della soggettività, come il tono dell’umore, l’attività cognitiva4 e, in futuro, l’attività neuroendocrina5. La tecnologia digitale può dunque oggettivare l’effettiva realtà delle percezioni del paziente e consentire di attribuire al sintomo la dignità di segno e quindi al paziente l’attendibilità e la veridicità di quanto descrive. L’accesso diretto del paziente ai parametri biologici e comportamentali e la possibilità di monitorarli e di acquisirli in maniera indipendente e autonoma permette inoltre una partecipazione attiva e responsabile delle persone al proprio processo di cura o al mantenimento dello stato di salute, il cosiddetto patient digital empowerment. Una possibile conseguenza è la creazione di quello che Eric Topol definisce spostamento tettonico (o “tech-tonico”) di potere, ponendo l’individuo al centro della scena6. Quelle che erano state soprannominate come le sei parole più potenti nella lingua inglese: “il dottore la può vedere adesso” non saranno più vere, in un certo senso sarà il paziente a “dare l’appuntamento” al medico perché avrà a disposizione tutti i suoi dati medici e la potenza di calcolo per elaborarli.

I gap da colmare

I DI offrono l’opportunità di modificare profondamente le modalità di evidenziazione, classificazione e trattamento delle patologie, per esempio descrivendo fenotipi clinici inediti, distinti e individualizzati, non evidenziabili con gli strumenti tradizionali. Tali sistemi sono peraltro ancora in fase di sviluppo e devono essere validati nella pratica clinica. Esistono infatti molte incertezze, relative all’accuratezza dei dati ottenibili per quanto riguarda sensibilità, specificità e valore predittivo nei confronti dello stato di salute o malattia. Si devono definire i range di normalità, di variabilità e di soglia in diverse popolazioni, nelle varie condizioni di utilizzo (posizione del corpo, velocità di marcia, ecc.). Sono ancora da risolvere i possibili “artefatti di registrazione”, la mancanza di standardizzazione e calibrazione dei dispositivi7.

Gli studi sull’utilizzo dei DI in generale sono di breve durata, spesso condotti dagli stessi sviluppatori o da strutture con interessi finanziari diretti e non da ricercatori indipendenti. Sono non raramente fondati sui risultati di soggetti che descrivono le loro esperienze, non condotti in setting del mondo reale, focalizzati soprattutto sulla fattibilità del sensing. È ancora da determinare l’effettivo valore clinico incrementale rispetto alla terapia tradizionale, per esempio in pazienti fibrillanti asintomatici e a basso rischio trombo-embolico, diagnosticati in studi condotti su vaste popolazioni, finanziati dalla grande industria privata8,9. Mancano trial contro placebo, tanto che si ritiene che una parte delle risposte positive dipenda da un “effetto placebo digitale”, dato anche lo stretto rapporto tra le persone e i loro smartphone. Non sono disponibili analisi definitive sulla effettiva capacità/volontà delle persone di prendere direttamente in carico la propria salute. Non sono disponibili dati sui possibili effetti negativi. Vi sono molte perplessità per quanto riguarda sicurezza e privacy, aspetti etico-normativi, valutazione degli impatti in termini di rapporto costo/efficacia nella pratica clinica conseguenti a un uso su larga scala.

È infine necessario tenere conto di uno dei maggiori ostacoli per la diffusione della salute digitale: la scarsa alfabetizzazione di molte fasce della popolazione, che può determinare un rischio elevato di diseguaglianza nell’accesso a queste tecnologie. Esistono infatti difficoltà di acquisizione dei dati da parte delle persone anziane o comunque sono evidenziati disagi tali da non rendere percorribile un monitoraggio intensivo.

Per approfondire le tematiche relative a benefici e limiti della tecnologia indossabile si rimanda al riferimento10.

Riflessioni conclusive

Le nuove tecnologie generano orizzonti inediti del possibile che possono diventare reali in tempi brevi. Sembra realizzabile una sorta di nuovo apparato sensoriale, in grado di accedere a realtà fisiche, oltre che sociali e ambientali, in modalità, scale e forme che non hanno precedenti nella storia dell’umanità. Per dirla con Eric Sadin, «il corpo diventa, noi diventiamo, il centro dell’attenzione dei sistemi». Per effetto di queste nuove prospettive di rappresentazione, è possibile registrare con occhi nuovi e ridefinire lo stesso concetto di identità corporea. Come affermato dal filosofo Cosimo Accoto, «non si tratta solo di strumenti per calcolare il numero di passi o la quantità di calorie bruciate ma di strumenti con cui stiamo costruendo la nostra nuova (idea di) soggettività umana»11.

Le opportunità offerte dalla rivoluzione digitale possono rafforzare il potere del paziente nella relazione con il medico e determinare un profondo cambiamento nella gestione della salute, anche se tali potenzialità sono ancora in fase iniziale e necessitano di ulteriore validazione nella pratica, per mezzo di studi che ne attestino accettabilità, fattibilità ed efficacia/effettività, mediante nuove tipologie di trial pragmatici che utilizzino i principi del machine learning e delle interfacce digitali per ottenere una reale comprensione dei dati, il tutto con modalità strettamente contestualizzate e personalizzate12. In parallelo deve svilupparsi una formazione del cittadino all’autovalutazione e alla condivisione delle scelte e delle responsabilità. L’interazione tra device e paziente è infatti complessa, sono necessari studi per valutare le tipologie di soggetti che possono effettivamente beneficiarne. La semplice lettura dei dati senza riflessione critica può soddisfare soggetti ansiosi o perfezionisti, ma aumentare fenomeni negativi quali la sovradiagnosi e il falso senso di fiducia dei pazienti oppure, all’opposto, la preoccupazione, fino a una vera e propria ipocondria digitale, con secondario sovraccarico dei servizi sanitari, che rischiano di essere travolti da una enorme massa di informazioni e da nuove responsabilità, in un contesto di maggiore incertezza e confusione, per esempio per le aspettative riposte dai cittadini nella tecnologia.

L’esperienza clinica insegna peraltro che la presa in carico delle persone deve comprendere un approccio globale, incentrato sulla identificazione e condivisione di valori, senso, interessi, obiettivi, timori e speranze, dimensioni difficilmente misurabili e oggettivabili e pertanto a rischio di essere meno considerate rispetto ai dati strumentali. Un maggior potere al cittadino non deve facilitare lo sviluppo di una medicina intesa come “scienza esatta”, in un’ottica sempre più riduzionista, verso un determinismo disumanizzante.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

1. Goodday SM, Geddes JR, Friend SH. Disrupting the power balance between doctors and patients in the digital era. Lancet Digit Health 2021; 3: e142-e143.

2. Bernabè S, Benincasa F, Danti G. Il processo diagnostico. In: Caimi V, Tombesi M (a cura di). Medicina generale. Torino: UTET, 2003.

3. Mishra T, Wang M, Metwally AA, et al. Pre-symptomatic detection of COVID-19 from smartwatch data. Nat Biomed Eng 2020; 4: 1208-20.

4. Collecchia G. Neurotecnologie e neurodiritti digitali: la privacy mentale. Recenti Prog Med 2021; 112: 343-6.

5. Parlak OKS, Marais A, Curto VF, Salleo A. Molecularly selective nanoporous membrane-based wearable organic electrochemical device for noninvasive cortisol sensing. Sci Adv 2018; 4: eear2904.

6. Topol E. The patient will see you now. The future of medicine is in your hands. New York: Basic Books, 2015.

7. Dooley EE, Golaszewski NM, Bartholomew JB. Estimating accuracy at exercise intensities: a comparative study of self-monitoring heart rate and physical activity wearable devices. JMIR Mhealth Uhealth 2017; 5: e34.

8. Perez MV, Mahaffey KW, Hedlin H, et al.; Apple Heart Study Investigators. Large-scale assessment of a smartwatch to identify atrial fibrillation. N Engl J Med 2019; 381: 1909-7.

9. American Heart Association. Novel algorithm on wearable devices can detect irregular heartbeat, may prompt early care. American Heart Association Scientific Sessions 2021. Disponibile su: https://bit.ly/3oOOH08 [ultimo accesso 13 dicembre 2021].

10. Collecchia G, De Gobbi R. Intelligenza artificiale e medicina digitale. Una guida critica. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2020.

11. Accoto C. Il mondo dato. Cinque brevi lezioni di filosofia digitale. Milano: Egea, 2017.

12. Barrett PM, Steinhubl SR, Muse ED, Topol EJ. Digital medicine. Digitising the mind. Lancet 2017; 389: 1877.