In questo numero

Ci avviciniamo ai tre anni di pandemia. La situazione epidemiologica è in parte cambiata ed è certamente minore la pressione di covid sul sistema sanitario, sebbene i numeri di morbilità e mortalità siano ancora drammatici – soprattutto se fossero osservati con gli occhi, e forse con la sensibilità, che avevamo a gennaio 2020 – e nonostante all’orizzonte non cessino di riproporsi nuove varianti che potrebbero rendere meno efficace la protezione assicurata dai vaccini.

In Italia il mese di ottobre 2022 si apre con un nuovo Parlamento, dopo una campagna elettorale in cui si è parlato molto di sanità ma quasi sempre in modo generico, poco competente e facendo promesse che non sarà possibile mantenere. È mancata una seria discussione sulle decisioni assunte e sulle scelte fatte negli ultimi tre anni ma c’era da aspettarselo, perché – al di là di qualche dichiarazione estemporanea – tutte le forze politiche sono state sostanzialmente allineate nel dettare o approvare le politiche sanitarie più importanti e i provvedimenti assunti nei mesi scorsi. Almeno, questa discussione non è mancata – e non sta mancando – in altre nazioni: su tutte la Gran Bretagna, che si continua a distinguere per la vivacità del dibattito, proporzionale per intensità alla gravità dei danni causati alla salute pubblica dal governo conservatore di Boris Johnson. «Nel complesso – ha scritto Michael Head della università di Southampton – molti fallimenti della governance nazionale hanno portato a malattie evitabili e morti in eccesso. Il primo ministro entrante e il suo governo devono garantire che il Regno Unito sia meglio preparato a far fronte a qualsiasi futura emergenza sanitaria. Le conseguenze della pandemia di covid, colpita dai fallimenti delle politiche nazionali, saranno avvertite dai cittadini del Regno Unito per molti anni a venire»1.

Eppure, come ha ricordato di recente Sandro Galea, tutte le decisioni degli ultimi anni sono state prese in nome della sanità pubblica. «Alcune di queste azioni – scrive l’epidemiologo docente a Boston – sono state di minore rilevanza, nonostante le reazioni probabilmente sproporzionate che hanno ricevuto: penso, in particolare, all’obbligo di proteggere il viso con le mascherine. Altre erano meno facili da prendere in una fase della storia che metteva a dura prova il benessere fisico e mentale. Alcuni Paesi hanno fatto scelte non particolarmente radicali in nome della salute pubblica, cercando di bilanciare la prevenzione della diffusione delle malattie con il supporto ad altri fattori che concorrono a determinare la salute. Altri hanno adottato un approccio più rigoroso, pur continuando a lavorare entro i limiti di un sistema liberale di responsabilità democratica. Infine, alcune nazioni hanno abbracciato un approccio realmente autoritario, cercando di contenere o eliminare il contagio rinunciando a qualsiasi pretesa di difendere le libertà civili»2. Abbiamo imparato, dunque, che scelte diverse possono comunque essere fatte in nome della salute dei cittadini.

Anche perché per la prima volta, non solo in Italia, ci si è resi conto di quanto la salute sia strettamente interconnessa con l’economia, l’etica, le relazioni tra le persone. E con l’istruzione e la formazione, che sono state radicalmente trascurate: basti pensare che, dopo decine di mesi di pandemia e centinaia di studi che provano l’importanza del ricambio d’aria negli ambienti chiusi, nulla è stato fatto per mettere in sicurezza le aule scolastiche e universitarie.

Eppure, quello della formazione è un tema ricorrente. Pensiamo al “numero chiuso” nelle facoltà di Medicina e chirurgia e alla selezione degli studenti. In molti pensano che i criteri di ammissioni al percorso universitario siano da riconsiderare, perché non sono tali da selezionare i candidati più adatti alle nuove sfide della professione del medico. Anche negli Stati Uniti è un tema molto discusso e ne hanno parlato Cifu, Prasad e Nandiwada su Sensible Medicine3 sollecitando l’attenzione ad aspetti del problema che da noi sembrano trascurati: «Sebbene sia stata prestata maggiore attenzione alla scelta di studenti di medicina di diversa estrazione, gli studenti di famiglie povere rimangono ampiamente sottorappresentati. Quando vengono ammessi studenti provenienti da famiglie più povere, spesso hanno difficoltà a causa del loro livello di preparazione e mancano delle risorse (finanziarie e non) per sostenere la loro formazione continua. A studenti di talento viene negata l’ammissione mentre vengono accettati studenti con minori potenzialità. I fattori ritenuti essenziali per ottenere l’ammissione alla facoltà di medicina spesso non sono quelli più rilevanti per compiere un buon percorso di studio o per diventare un bravo medico». I curatori di Sensible Medicine si chiedono se sia ancora il caso di scegliere i futuri medici valutando la loro preparazione pre-universitaria nelle discipline scientifiche di base quando le competenze più utili per il medico di oggi e del futuro riguardano ambiti come la statistica, l’epidemiologia e il processo decisionale, completamente ignorati nei test di ingresso delle facoltà mediche.

Se poi consideriamo la formazione dei medici di cure primarie – scrivono Badinella Martini, Nobili e Garattini (pag. 583) – «l’evidenza attuale in Europa è la totale mancanza di un approccio comune nell’educazione dei medici di medicina generale, un quadro misto che emerge forse troppo spesso nel campo dell’assistenza sanitaria nel nostro continente». E in Italia «quel che emerge complessivamente – spiegano Viviana Forte et al. (pag. 601) – è un modello di pedagogia medica che ricalca un approccio datato e noto come time-based learning piuttosto che un più contemporaneo e innovativo competencies-based learning».

Tenendo comunque presente che è difficile non essere d’accordo con Giuseppe Belleri (pag. 591): dopo tre anni di pandemia ciò che è davvero indispensabile è «una pre-condizione di natura culturale: la ricostruzione di un clima dialogico, di collaborazione soprattutto di fiducia tra medici e pazienti e la legittimazione reciproca tra attori professionali e decision maker pubblici».

Bibliografia

1. Head M. Boris Johnson’s pandemic legacy. The Conversation 2022; 6 settembre.

2. Galea S. Not in the name of public health. The Healthiest Goldfish 2022; 16 settembre.

3. Cifu A, Prasad V, Nandiwada DR. Reforming medical education. Sensible Medicine 2022; 20 settembre.