“Morti per disperazione e il futuro del capitalismo”




L’epidemia di oppioidi ha determinato una delle peggiori crisi sanitarie sofferte dagli Stati Uniti e dal Canada: quasi 600.000 persone sono morte per overdose da oppioidi in questi due Paesi in vent’anni e si stima che entro il 2029 le cifre potrebbero raddoppiare. Nel 2015, a 98 milioni di statunitensi erano stati prescritti oppioidi: un terzo di tutte le persone adulte. Nel complesso, fino al 2017 l’epidemia da farmaci oppioidi aveva causato negli Stati Uniti un numero maggiore di morti rispetto a quello registrato nelle due guerre mondiali del Novecento.

Questi dati li troviamo in un libro di Anne Case e Angus Deaton, uscito nel 2020 negli Stati Uniti ma purtroppo ancora terribilmente attuale. I due autori – a proposito: Angus Deaton è premio Nobel per l’economia – sottolineano come vada poi considerato che per ogni morte ci sono cento tossicodipendenti, oltre trenta visite al pronto soccorso causate da sovradosaggio, abuso o uso improprio di oppiacei, dieci delle quali portano a un ricovero ospedaliero. Si tratta di un’epidemia iniqua che colpisce prevalentemente le persone non laureate e, da quando è iniziato il mercato illegale, di origine ispanica.

Ad ogni modo, al centro dell’attenzione del libro è la disperazione di una specifica parte della popolazione statunitense: quella dei bianchi relativamente poco istruiti. Il ruolo dell’istruzione è fondamentale nel determinare promozioni e barriere nella società statunitense. Altro che “sogno americano”, quello che dovrebbe “premiare i migliori”: la meritocrazia – tornata prepotentemente di moda anche in Italia – è una chimera, perché quel che funziona realmente è la perpetuazione delle condizioni di partenza.

Un libro radicale, quello di Case e Deaton, che emette una condanna senza appello del sistema capitalistico, irridendo anche la possibile “soluzione” della tassazione delle rendite: «il modo giusto di fermare i ladri è impedir loro di rubare, non aumentare le loro tasse». Ugualmente non esiste una via intermedia: l’abuso degli oppioidi va arrestato ad ogni costo, senza pensare che tassarne i profitti possa essere una soluzione.

In questo contesto, la Commissione Stanford-Lancet sull’epidemia di oppioidi in Nord America, i cui lavori sono stati pubblicati il 5 febbraio1, ha tracciato un piano d’azione per ridurre la crisi. Sebbene il Nord America rimanga il centro dell’emergenza sanitaria, il rischio di una crisi analoga è una preoccupazione crescente per la sanità pubblica nel Regno Unito, dove quasi la metà di tutti i decessi da assunzione di farmaci coinvolge oppiacei come eroina e morfina. «Inoltre, tra il 1998 e il 2016, le prescrizioni di oppioidi sono aumentate del 34% in Inghilterra, mentre i ricoveri ospedalieri legati agli oppioidi sono aumentati del 48-9% tra il 2008 e il 2018, con un costo sanitario stimato di 137 milioni di sterline».

Case e Deaton chiudono il libro con un capitolo che sintetizza ciò che deve essere oggetto di radicale riforma negli Stati Uniti, sottolineando come i problemi vissuti in Nord America non siano così diversi da quelli che agitano la politica di molte nazioni europee: riforma del sistema sanitario, politiche salariali e sussidi fiscali che aiutino le classi più povere (non può sorprendere che gli autori parlino ancora di “classe operaia”), nuove forme di governance aziendale e implementazione delle normative antitrust e di eccessiva protezione brevettuale, nuove politiche per l’istruzione che non rendano marginali le fasce di popolazione che non riescono ad accedere alle università.

Non è un epitaffio per il capitalismo, tengono a dire gli autori: al contrario, occorre discutere il futuro del capitalismo, meglio monitorato e regolato.

Bibliografia

1. The Lancet Public Health. Opioid overdose crisis: time for a radical rethink. Lancet Public Health 2022; 7: e195.

Covid by number




«Senza vaccini sarebbe stato magari peggio» dice il giornalista Aldo Cazzullo durante una trasmissione televisiva. «Questo lo dice lei, non abbiamo l’onere della prova inversa. Ma io non cado nella trappola di schierarmi a favore o contro i vaccini». La risposta del sottosegretario alla salute Marcello Gemmato dimostra come non solo non abbia letto, ma neanche sfogliato il libro di David Spiegelhalter e Antony Masters, “Covid by numbers”. Quasi 300 pagine di piccolo formato, tutte interessanti, molte addirittura divertenti, di estrema chiarezza, completate da un glossario essenziale, da riferimenti a siti e articoli corredati da url e di un indice analitico molto completo. I cinque capitoli del libro del docente dell’università di Cambridge (DS) e dell’ambassador della Royal Statistical Society (AM) sono articolati in 26 paragrafi che hanno titoli in forma di domanda: tutti o quasi gli interrogativi che ci siamo posti nei tre anni passati e che qualcuno continua ancora oggi a porsi. Non è un “libro sui numeri”, ma un’eccellente ed esauriente panoramica, utile per ragionare sulla pandemia, sui modi con cui è stata affrontata, sui risultati ottenuti e su quanto potrebbe essere fatto in futuro. Secondo Adam Kucharski che lo ha recensito su The Lancet, è un libro che non potrà non essere letto da chiunque ritenga opportuno utilizzare le statistiche per impostare delle politiche sanitarie.