Proteggere il lavoro degli esperti

Giuseppe Traversa1

1Istituto superiore di sanità, Roma.

Riassunto. Durante i mesi più preoccupanti della pandemia Covid-19, le Regioni e le Province Autonome italiane sono state classificate in quattro aree indicate da diversi colori – rosso, arancione, giallo e bianco – corrispondenti a tre scenari di rischio, determinando in questo modo misure restrittive di diversa entità. La Procura del tribunale di Bergamo – una delle città più colpite dall’emergenza sanitaria – ha chiuso una prima indagine affermando che la mancata istituzione della zona rossa avrebbe causato la diffusione dell’epidemia in una valle della Lombardia con un significativo incremento della mortalità evitabile qualora le misure restrittive fossero state disposte tempestivamente. L’accusa è un’occasione per una riflessione sul ruolo degli esperti e sui rischi di errore nel processo decisionale. Le scelte fatte durante la pandemia sono state spesso assunte in condizioni di incertezza: le politiche sanitarie hanno bisogno di esperti che si assumano la responsabilità di prendere decisioni complesse, rischiose, ma le decisioni complesse e rischiose sono anche quelle per le quali è più probabile che, a posteriori, si arrivi a verificare che su qualche aspetto possa essere stato commesso un errore, o non essere stata fatta la scelta migliore. Spingendo i tecnici a sottrarsi alle valutazioni rischiose, a fare quelle valutazioni rimarranno solo i non competenti.

Protect the experts’ work.

Summary. During the most worrying months of the Covid-19 pandemic, Italy’s Regions and Autonomous Provinces were classified into four areas distinguished by different colours – red, orange, yellow and white – corresponding to three risk scenarios, thus leading to restrictive measures of varying degrees. The Public Prosecutor’s Office of the Court of Bergamo – one of the cities hardest hit by the health emergency – has closed an initial investigation claiming that the failure to establish the red zone caused the epidemic to spread to a valley in Lombardy with a significant increase in avoidable mortality if the restrictive measures had been put in place in time. The accusation is an opportunity to consider the role of experts and the risks of error in the decision-making process. The choices made during the pandemic were often made under conditions of uncertainty: health policies need experts to take responsibility for making complex, risky decisions; but complex, risky decisions are also those for which it is more likely, in retrospect, to turn out that on some aspect a mistake was made, or the best choice was not made. By pushing technicians away from risky assessments, only the unskilled will be left to make those assessments.

Premessa

Anni fa, una mia zia astrologa venne a Roma per tenere un seminario in un convegno di astrologi. Il seminario riguardava l’oroscopo di persone famose del passato, e mia zia avrebbe parlato di Florence Nightingale. L’esordio fu il seguente: “di Florence Nightingale si danno due date di nascita; ho scelto la prima delle due perché è quella più coerente con il suo oroscopo…”.

Il ricordo della scelta fra le date di nascita sulla base di ciò che si sapeva nella vita successiva mi sarebbe rimasto impresso per sempre. Per un po’ di tempo, con la sicurezza di chi lavora in un ambito scientifico, avevo pensato che ciò che avevo sentito fosse una dimostrazione ulteriore dell’assenza di scientificità dell’astrologia. In seguito, ho dovuto a mano a mano prendere atto che dalle fosse del senno di poi si attinge continuamente, anche da parte di istituzioni e discipline che considererebbero un insulto l’assimilazione all’astrologia.

L’ultimo caso è l’invio degli avvisi di garanzia sulla questione dei tempi di adozione della zona rossa, e del relativo lock-down fra fine febbraio e inizio marzo 2020. L’accusa è un’occasione per una riflessione sul ruolo degli esperti e sui rischi di errore nel processo decisionale. Il punto che sostengo è che sarebbe preferibile, nell’interesse della collettività, affermare con chiarezza che gli esperti non possono essere chiamati a rispondere nelle aule di tribunale per le valutazioni fatte, a meno che nel loro lavoro non si dimostri una manifesta negligenza o fenomeni di corruzione.

Perché ricorriamo agli esperti?

Il ruolo degli esperti è quello di aiutare a interpretare al meglio l’evidenza scientifica disponibile. Si tratta di un ruolo che diventa via via più rilevante quanto più ci si allontana da un contesto di valutazione “automatica”. In presenza di standard predefiniti, come il limite del 5%, in più o in meno, di tolleranza nella quantità di principio attivo contenuto in un farmaco rispetto a quanto dichiarato, non c’è bisogno di esperti per un’applicazione corretta. Viceversa, per valutare se un farmaco sia sufficientemente efficace da essere autorizzato all’immissione in commercio serve un insieme ampio di competenze, che va dalle conoscenze dei meccanismi molecolari e dell’evoluzione naturale della patologia, alla capacità di interpretare correttamente i risultati degli studi clinici agli aspetti regolatori dell’autorizzazione dei farmaci.

Per queste ragioni, se le decisioni diventano complesse, ricorriamo a un esperto. All’aumentare del grado di complessità, è normale sentire una “seconda opinione” o affidarsi a gruppi di esperti. Per assicurarci che le valutazioni siano imparziali e accurate, prevediamo che le commissioni si dotino di regole di funzionamento, ad esempio sulla prevenzione e gestione dei conflitti di interesse, e talvolta che i componenti siano indicati da istituzioni differenti, minimizzando così il rischio di sbagliare nella selezione di tutti gli esperti.

Gli esperti possono sbagliare?

È normale, e c’è un’ampia letteratura al riguardo, che esperti diversi possano avere opinioni diverse nell’interpretare gli stessi dati1. Sulla base dei risultati delle decisioni assunte, si potrà capire quale delle valutazioni espresse in precedenza dagli esperti fosse (più) corretta e quale (meno) no. Sfortunatamente, ci si accorge “dopo” dei possibili errori delle valutazioni di “prima”.

Per rimanere nel campo dei farmaci, sono centinaia i farmaci ritirati, o per i quali si sono manifestati problemi di sicurezza, dopo l’autorizzazione e commercializzazione. In una parte dei casi, le informazioni disponibili al momento della decisione non consentivano di prevedere l’esito osservato; in un’altra parte, la conoscenza dell’esito porta a ritenere che fin dall’inizio sia stato commesso un errore nella valutazione. Il problema è, appunto, che vediamo l’errore perché abbiamo osservato l’esito, ossia giudichiamo con il senno di poi. Naturalmente, si devono costruire sistemi per prevenire i possibili errori, ma anche il miglior sistema non riuscirà ad eliminarli completamente.

Chi giudica gli esperti e su che cosa?

Inevitabilmente, per giudicare degli esperti non possiamo che affidarci ad altri esperti. E quando a finire sotto osservazione sono le conclusioni di un’intera commissione, la rivalutazione non può che essere affidata a un’altra commissione di esperti. Ma a parte considerazioni pratiche sulla difficoltà di trovare tutti questi esperti in materie complesse, se gli esperti possono sbagliare, perché non considerare che possano sbagliare anche coloro che sono incaricati di rivedere una valutazione precedente?

La rivalutazione, poi, non può che essere fatta provando a mettersi nei panni dell’esperto, o del gruppo di esperti, utilizzando le informazioni disponibili quando la decisione è stata presa2. Si tratta di un esercizio puramente teorico, perché in pratica, a posteriori, si sa che un problema è sorto, mentre quando la decisione è stata adottata non si poteva fare affidamento su un ricettario delle azioni da seguire3. Bisognerebbe allora evitare di sindacare il merito del giudizio effettivamente fornito da una commissione, o da una parte dei suoi componenti, e limitarsi a valutare se vi sia stata negligenza nell’analizzare i dati disponibili alla base delle decisioni, e cioè se si è venuti meno al ruolo di esperti. Ciò che si deve pretendere dagli esperti è che, nel momento in cui analizzano i dati disponibili per prendere le decisioni, operino al meglio delle loro competenze nell’interesse pubblico.

In conclusione

Di fronte a possibili errori del passato, devono essere soppesati due rischi opposti: il rischio di impunità, nel caso di valutazioni condotte in modo superficiale e privo di attenzione alle conseguenze, e quello – ben più concreto – che il sistema fallisca proprio quando sarebbe più utile. Abbiamo bisogno degli esperti per prendere decisioni complesse, rischiose, ma le decisioni complesse e rischiose sono anche quelle per le quali è più probabile che, a posteriori, si arrivi a verificare che almeno su qualche aspetto è stato commesso un errore, o comunque non è stata fatta la scelta migliore. Se si crea un meccanismo che spinge i tecnici a sottrarsi alle valutazioni rischiose, a fare quelle valutazioni rimarranno solo i non competenti.

Durante la pandemia Covid-19, ci sono state persone che non si sono mai tirate indietro, a cominciare da medici e infermieri dei pronto soccorso e delle rianimazioni. E ci sono stati esperti che non si sono mai tirati indietro, lavorando nelle diverse istituzioni senza badare a orari né a sabati e domeniche, sapendo che qualcuna delle decisioni prese sulla base delle loro valutazioni si sarebbe potuta rivelare, con il senno di poi, sbagliata. Quelle persone meriterebbero oggi tutta la nostra riconoscenza e non l’offesa di un processo.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Dichiarazioni: le opinioni espresse nell’articolo sono personali e non devono essere interpretate come rappresentative dell’istituzione di appartenenza.

Bibliografia

1. Kahneman D, Sibony O, Sunstein CR. Noise: A Flaw in Human Judgment. New York: Little, Brown Spark, 2021.

2. Amato A, Flora G, Valbonesi C. Scienza, diritto e processo penale nell’era del rischio. Torino: Giappichelli Editore, 2019.

3. Mello MM, Greene JA, Sharfstein JM. Attacks on Public Health Officials During COVID-19. JAMA 2020; 324: 741-42.