In questo numero




Di caldo e di inquinamento atmosferico si muore. Ne parla lo studio del gruppo collaborativo di ricerca Bigepi a pagina 441: c’è un effetto significativo delle temperature estreme e dell’inquinamento atmosferico sulla mortalità per causa in Italia, con un impatto particolare delle temperature su diabete, cause metaboliche, nervose e mentali. Come spiegano gli autori, lo studio evidenzia un rischio differenziale di mortalità per esposizioni sia alle temperature sia all’inquinamento, suggerendo come lo stato di salute e la presenza di patologie croniche preesistenti siano fattori di vulnerabilità all’interno di una popolazione e come questi fattori di rischio siano simili per le due esposizioni ambientali. Se temperature e qualità dell’aria sono rilevanti fattori di rischio, Giuseppe Fatati (a pagina 426) discute l’obesità e sovrappeso come patologie e non come condizioni predisponenti le malattie. La nota del presidente dell’Italian obesity network è particolarmente interessante nei passaggi in cui discute gli elementi che ostacolano la consapevolezza di un problema di sanità pubblica che dovrebbe essere affrontato con molta determinazione. Sia su clima e salute, sia su obesità e malattia il confronto è condizionato dal punto di vista di “esperti”: persone che spesso hanno competenze diverse, vari profili professionali e che reagiscono in maniera differente all’influenza e alle pressioni delle industrie e dell’establishment accademico.

A seconda del punto di vista (e forse degli interessi finanziari o commerciali in gioco) inondazioni o ondate di calore diventano qualcosa con cui il nostro Paese ha sempre convissuto e l’obesità dev’essere considerata un problema estetico e non sanitario. Il ruolo degli opinion leader nell’orientare le convinzioni dei cittadini è molto importante e l’editoriale di Paolo Bruzzi (a pagina 403) propone spunti di riflessione ulteriori dopo quello di Giuseppe Traversa pubblicato sul numero di aprile di questa rivista. “Chi decide chi sono gli esperti, e come si fa a riconoscerli?” si chiede Bruzzi. «Per quanto possa sembrare paradossale, l’unico sistema praticabile e quello di affidare l’identificazione degli esperti agli esperti stessi, gli unici in grado di riconoscere chi può fornire risposte affidabili su uno specifico problema». Ma forse il riconoscimento tra pari della competenza ha un impatto minore sulla formazione delle opinioni dei cittadini rispetto all’investitura nel ruolo di esperto celebrata dai media: raramente un giornalista sceglie il proprio interlocutore consultando la classe delle Scienze fisiche dell’Accademia nazionale dei lincei o l’elenco dei membri del Consiglio superiore di sanità.

C’è poi da considerare come la voce degli esperti raramente sia univoca. E, al netto dei conflitti di interesse che possono condizionare alcuni punti di vista, è una buona notizia che potrebbe nutrire il confronto culturale. È un argomento importante, di cui continueremo a discutere.