Ritratto di Filippo de Braud:
ricerca e utilità sociale




Lavoro e formazione professionale

Nella formazione di un medico, contano i “Maestri”?

Qualche volta sì, ma spesso contano più i “modelli” e quindi più che il rapporto con un singolo individuo conta aver condiviso processi formativi e organizzativi diversi tra loro per acquisire una visione più ampia di come affrontare la complessità di questo lavoro.

Nella sua formazione, può dire di avere avuto un Maestro o una Maestra?

Direi che ho avuto contatti con più persone che mi hanno trasmesso insegnamenti comportamentali che mi sono stati molto utili, anche se dal mio punto di vista erano “negativi”: ma si impara molto dagli errori degli altri! Tuttavia, mi è mancata una figura professionale con cui avere un confronto costruttivo e che mi aiutasse ad avere più strategia nelle mie scelte. Sicuramente mia moglie Tiziana ci ha provato con grande determinazione e ora è il mio riferimento assoluto, ma talvolta il coinvolgimento emotivo rende più difficile il confronto e quindi ci abbiamo messo un po’ a trovare il giusto modo.

Ha passato periodi di studi all’estero dopo la laurea?
Se sì, dove e per quanto tempo?

Sì, certo. Proprio perché credo nell’imparare dall’esperienza sono stato a Londra per qualche mese appena laureato (Royal Free Hospital) e poi dal 1987 all’89 negli Stati Uniti a Detroit, alla Wayne State University e subito dopo – sino alla mia assunzione in INT nel giugno nel 1990 – a Parigi al Gustave Roussy. Ho quindi sempre frequentato Istituti di ricerca dove facevo laboratorio oltre che clinica.

Le principali ragioni per cui ha scelto la sua professione…

Vuole la verità? Secondo mio padre, fare il medico non era la mia vocazione. Morale: mi sono subito iscritto a medicina. È vero che sono molto curioso e amo il prossimo; quindi, sono sempre stato attratto dalla ricerca e dall’idea di avere un ruolo socialmente utile.

Qual è la sua maggiore soddisfazione nella vita professionale?

Sono due: la prima è senza dubbio trovare soluzioni efficaci per i pazienti che seguo. Devo dire che nonostante tutte le difficoltà e delusioni dovute al tipo di patologia che ho scelto, è molto gratificante leggere negli occhi dei pazienti la gioia di aver trovato una soluzione o anche di essere riuscito a comunicare bene un messaggio difficile, facendo acquisire loro fiducia nel percorso che fanno e nel futuro. La seconda è aiutare a far crescere i giovani, dando loro spazio e fiducia. Sono molto orgoglioso di aver promosso un ricambio generazionale reale in Istituto dal 2012 quando ci sono tornato ad oggi (età media passata da 58 a 39 anni).

E la più grande delusione…

Sempre due. Quando qualcuno tradisce la mia fiducia perché non ritiene di avere più nulla da “guadagnare”. E poi la difficoltà di far capire che la ricerca e l’innovazione non sono solo questioni scientifiche, ma anche gestionali e organizzative. Trovo molto triste e demotivante la gestione politica della Sanità pubblica per cui c’è un affossamento delle iniziative e un appiattimento dei percorsi, invece di premiare in modo meritocratico.

Qual è la parte del lavoro
di oncologo più gratificante?

Curare i malati e saper comunicare bene con loro per risolvere non solo i problemi clinici, ma anche tutte le difficoltà dovute alla mancanza di un’informazione appropriata sia nei contenuti che nei “modi”.

Sfide e scommesse

Quale sarebbe la prima cosa che cercherebbe di fare se fosse Ministro della salute?

Rivedere i percorsi di carriera di molte figure professionali e nel frattempo adoperarmi per creare le infrastrutture per migliorare il lavoro del personale sanitario e la qualità di vita dei pazienti.

E se fosse Ministro dell’Università
e della Ricerca?

Creare percorsi formativi omogenei, facendo in modo che si chiarisca che la ricerca è un investimento per la società e non un costo, né edonismo del ricercatore.

Quale politico inviterebbe volentieri a cena?

Chiunque, se ci fosse un rapporto tale da poter godere il piacere di mangiare insieme. Non credo siano utili le cene di lavoro.

Quale successo nella ricerca
le fa più piacere ricordare?

La nuova linea di ricerca su metabolismo con tutte le implicazioni sull’influenza sul sistema immunitario da cui la recente pubblicazione su “Cancer Discovery” e tutti i nuovi protocolli accademici di trattamento che associano restrizione calorica a terapia medica.

Lettura, scrittura, aggiornamento

Come trova il tempo di scrivere
e dove?

Lo faccio spesso in collaborazione con i miei giovani. Lavoriamo tutti almeno 10 ore al giorno.

Qual è il commento più memorabile che ha ricevuto da un referee?

Un’idea “out of the box”.

La peer review
funziona ancora come filtro
di qualità della ricerca?

Abbastanza, ma si pubblica molto più di una volta, ci sono più riviste e quindi c’è un po’ meno selezione (non necessariamente è un male, ma bisogna saper leggere).

Ha una rivista scientifica preferita?

Nature Medicine, Journal of Clinical Oncology e Annals of Oncology.

Ritiene che l’impact factor sia ancora un indicatore di cui fidarsi?

È un indice di attività, non un riconoscimento.