Breve ma veridica storia dell’attività libero-professionale intramoenia

Marco Geddes da Filicaia1

1Medico epidemiologo.

Pervenuto il 9 luglio 2023. Non sottoposto a revisione critica esterna alla direzione della rivista.

Riassunto. L’attività libero-professionale effettuata all’interno delle strutture pubbliche (Alpi) da parte dei medici dipendenti è una particolarità del Servizio sanitario nazionale (Ssn) italiano. Tale normativa, introdotta dal governo Amato con il Decreto n. 502 del 1992, è stata oggetto, nel corso degli anni, di molteplici interventi normativi volti a realizzare un monitoraggio e un equilibrio di tale attività con quella effettuata a livello istituzionale, sia in termini di prestazioni erogate sia di liste di attesa. L’Alpi ha rappresentato di fatto un compenso alla bassa retribuzione dei medici del Ssn italiano, nell’ipotesi che il ricorso alla libera professione intramoenia fosse una modalità per il paziente per scegliere il professionista e contribuisse a ridurre le liste di attesa. In realtà il ricorso all’Alpi, di fronte all’allungamento delle liste di attesa, specie dopo la fase pandemica, è una modalità per aggirare tale ostacolo e rappresenta, all’interno di un servizio sanitario pubblico, un’evidente contraddizione e un elemento di disuguaglianza. Tuttavia, come dimostrano i dati riportati nell’articolo, l’Alpi non è la causa delle liste di attesa. Nell’impossibilità – nell’attuale quadro politico, contrattuale e finanziario – di una abrogazione dell’Alpi sono tuttavia possibili varie iniziative volte a regolamentarla e a ridurre gli eventuali conflitti di interesse.

Brief but truthful history of intramoenia freelance activity.

Summary. The practice of freelance work within public structures (Alpi) by employed doctors is a unique feature of the Italian National health service (Nhs). This legislation, introduced by the Amato government through Decree no. 502 of 1992, has undergone multiple regulatory interventions over the years to monitor and balance this activity with the services provided at an institutional level, as well as to address waiting lists. The Alpi was initially introduced as a means to compensate for the low salaries of doctors in the Italian Nhs. It was believed that allowing doctors to work as freelancers would give patients greater choice of professionals and help reduce waiting lists. However, the use of Alpi, particularly in light of the prolonged waiting lists experienced after the pandemic, has become a way to bypass this issue. This creates a clear contradiction and inequalities within a public health service. Nevertheless, as the data presented in the article demonstrates, Alpi is not the cause of the waiting lists. Given the current political, contractual, and financial framework, it may not be possible to completely abolish Alpi. However, various initiatives can be undertaken to regulate it and minimize potential conflicts of interest.

Introduzione

L’attività libero-professionale intramoenia (Alpi) comporta, nell’ambito delle strutture sanitarie pubbliche, un insieme di problematiche gestionali e organizzative; si tratta inoltre di una attività di indubbio interesse per un numero rilevante di professionisti, per alcuni settori specialistici e per la dirigenza medica di secondo livello. Allo stesso tempo, in particolare dopo la pandemia e con l’allungamento delle liste di attesa, è elemento di indagine da parte dei mezzi di informazione e oggetto di diffuse polemiche e comprensibili risentimenti.

Tali risentimenti sono dovuti al fatto che l’utente si trova di fronte, con modalità più o meno esplicite, alla proposta e all’alternativa: o attendere un tempo lungo e spesso indeterminato per essere visitato, ovvero ricorrere alla libera professione intramoenia. Ciò accade in alcune strutture e per qualche specialità solo occasionalmente; in varie regioni o ospedali frequentemente; in alcune istituzioni in modo assolutamente generalizzato.

Il percorso a pagamento garantisce pertanto un accesso in tempi rapidi e, eventualmente, la garanzia che l’intervento sia collocato in una classe di priorità più idonea alle necessità, aspettative o desideri del paziente.

Vi sono due categorie di persone che ricorrono all’Alpi (e, analogamente, a prestazioni nel privato): quelle che se lo possono permettere (di spendere la cifra richiesta) e quelle che non se lo possono permettere. Questo secondo gruppo si divide poi in due sotto categorie: quelli che di fronte alla spesa prevista aspettano o rinunciano alla prestazione e quelli che invece pagano la prestazione venendo così, anche per tale ragione, a far parte delle 379.000 famiglie che si impoveriscono per motivi sanitari o delle 610.000 che per tale ragione affrontano addirittura spese catastrofiche1.

Chi esce da una visita o da un accertamento effettuato in intramoenia, pur apprezzando generalmente le capacità e le modalità relazionali del professionista, ha spesso – qualora abbia ottenuto una corsia preferenziale per l’intervento – un sentimento analogo a quello del Duca di Gramont che affermava: «Anche se non si sia fatto nulla di male, si ha di sé mille piccole nausee, il cui totale non dà un rimorso, no, ma un oscuro tormento»2.

Vi è inoltre una vaga percezione di essere stato in qualche misura costretto a tale iter, di aver subito un’ingiustizia; a ciò si aggiunge la convinzione che il Servizio sanitario nazionale (Ssn) non funziona o è destinato a servire solo per i problemi urgenti e gli interventi più rilevanti.

Questo legittimo risentimento viene pertanto interpretato o anche, da alcuni, cavalcato, nei modi più diversi e con le più svariate motivazioni.

Si sentono molteplici ricostruzioni su come e da chi sia stata istituita l’Alpi, su come sia stata o non stata regolamentata, attribuendone la colpa sulla base di schieramenti politici, di personali risentimenti, di fantasiose o non documentate ricostruzioni.

Molti ritengono che la libera professione intramoe­nia sia praticata da quasi tutti i medici, che sia un’attività in crescita, che questa sia la causa delle liste di attesa e che infine la sua abolizione non solo sia possibile – cioè realizzabile in questo contesto politico, economico, contrattuale – ma anche la soluzione a (quasi) tutti i mali del nostro Ssn.

L’evoluzione normativa dell’Alpi

L’Alpi fu introdotta da quella che, sotto alcuni profili, rappresentava una controriforma sanitariaa: il Dlgs n. 502 del dicembre 1992.

Tale Decreto fu approvato sotto la presidenza del Consiglio di Giuliano Amato; ministro della Sanità Francesco De Lorenzo. L’art. 4 imponeva ai direttori generali delle Unità sanitarie locali e delle Aziende ospedaliere istituite dalla nuova normativa di individuare e riservare spazi adeguati a esercitare la libera professione nonché dedicare fra il 6% e il 12% dei posti letto per l’istituzione di camere a pagamento.

Tali spazi, secondo il Decreto, potevano anche essere reperiti mediante convenzioni con Case di cura o altre strutture sanitarie, pubbliche o private, per un periodo di durata massima di un anno, finalizzato a reperire e organizzare gli spazi per la libera professione all’interno delle strutture pubbliche. La provvisorietà di questa disposizione troverà – come generalmente avviene in Italia – continue proroghe.

L’intervento normativo successivo si ha durante il Governo Ciampi con la ministra Maria Pia Garavaglia. Con l’art. 5 del Dlgs 7 dicembre 1993, n. 517, viene eliminata la previsione di “opting out” dal Ssn (articolo 9 del Dlgs 502); la percentuale dei posti letto da riservare per l’istituzione di camere a pagamento viene ridotta e ridefinita tra il 5% e il 10%.

Durante il primo Governo Prodi (ministro della Sanità Rosy Bindi) viene approvata la Legge 23 dicembre 1996, n. 662 che al comma 5 introduce le incompatibilità tra l’esercizio della libera professione intramuraria dei dipendenti del Ssn e l’esercizio dell’attività libero professionale. Pertanto, i sanitari che optano per l’attività extramuraria non possono svolgerla presso strutture sanitarie pubbliche o private accreditate.

Al comma 10 della legge si indicano le modalità di opzione del sanitario per l’esercizio della libera professione intramuraria o extramuraria, precisando che l’una esclude l’altra. La normativa stabilisce anche un incentivo finanziario alle aziende al fine di realizzare spazi per l’Alpi, con la finalità di riportarla all’interno della struttura pubblica, come da tempo previsto. Viene infine stabilito che il Governo ne riferisca annualmente in Parlamento.

Un successivo più organico provvedimento è rappresentato dalla cosiddetta riforma Bindi, vale a dire dal Dlgs19 giugno 1999, n. 229 “Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell’articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419”, che all’art. 15 norma la Dirigenza medica delle professioni sanitarie.

In particolare viene disciplinata l’intramoenia – nell’ottica di concorrere alla riduzione delle liste di attesa – al fine che questa attività non superi, per ciascun dipendente, quella effettuata istituzionalmente. Viene inoltre stabilita l’incompatibilità, per chi opta per l’extramoenia, con incarichi di direzione di struttura semplice o complessa. Si tratta di una normativa che viene più volte contestata anche per vie legali, ma sempre confermata, sia a livello di Corte di Cassazione3 sia da parte della Corte Costituzionale4.

Bisognerà attendere un decennio per altri significativi provvedimenti normativi, grazie all’iniziativa del ministro Elio Guzzanti, durante il Governo Dini. Il DL 4 luglio 2006, n. 223 convertito con modificazioni dalla Legge 4 agosto 2006, n. 248 ribadisce che il volume massimo di prestazioni erogate in regime Alpi non debba superare il volume di prestazioni erogate in regime ordinario. Si definiscono nella norma i controlli da parte di organismi specifici e le conseguenti penalizzazioni in caso di violazione delle disposizioni. Viene infine prorogata la possibilità, in caso di impossibilità da parte dell’azienda di reperire spazi adeguati all’interno delle proprie strutture, di effettuare l’Alpi in strutture private.

Nel secondo Governo Prodi (ministro della Sanità Livia Turco) viene emanata la Legge n. 120 del 3 agosto 2007 con cui viene stabilito che gli importi per le prestazioni effettuate in regime di attività libero-professionale intramuraria siano concordati a priori tra Regione e professionisti, affinché sia assicurata una copertura integrale di tutti i costi direttamente e indirettamente correlati alla gestione dell’Alpi. La legge stabilisce inoltre che per l’organizzazione dell’Alpi si deve ricorrere a personale aziendale, incaricato di prenotare le prestazioni, eseguibili in sede o tempi diversi rispetto a quelli istituzionali; ciò al fine di permettere il controllo dei volumi delle medesime prestazioni, che non devono superare, globalmente considerati, quelli eseguibili nell’orario di lavoro.

Un ultimo intervento di rilievo su tale materia è predisposto dal ministro Renato Balduzzi durante il Governo Monti. Il DL 13 settembre 2012, n. 158, convertito con Legge 8 novembre 2012, n. 18 specifica (art. 2) ulteriormente che i costi devono essere coperti dai tariffari. Inoltre, una somma pari al 5% del compenso del libero professionista viene trattenuta dall’azienda per essere vincolata a interventi mirati alla riduzione delle liste d’attesa. La legge accentua l’attività sanzionatoria per il non rispetto delle norme e dell’equilibrio fra attività intramoenia e attività istituzionale con la decurtazione della retribuzione di risultato dei Direttori generali pari almeno al 20% e con la destituzione per grave inadempienza. Altro elemento innovativo del Decreto Balduzzi è la presa d’atto che in varie aziende sanitarie l’Alpi è ancora, in base a continue proroghe, attuata in strutture private. Pertanto, con l’obiettivo di sanare tali situazioni e porle sotto controllo, viene formalizzata l’Attività intramuraria allargata; gli studi professionali dovranno essere collegati in rete (con spese a carico del titolare dello studio) e i pagamenti per le prestazioni in regime Alpi devono avvenire tramite un metodo di pagamento sicuro e tracciabile.

Questa breve sintesi dà atto che l’Alpi è una istituzione sui generis nell’ambito del pubblico impiego, introdotta al fine di favorire il tempo pieno dei medici e conseguentemente limitare (e “penalizzare” impedendo l’accesso ai livelli apicali, in particolare con la Riforma Bindi) la scelta dell’extramoenia.

Vi è stato l’obiettivo – o l’illusione – che l’Alpi contribuisse a ridurre le liste di attesa e che fosse possibile un equilibrio fra l’attività svolta in intramoenia e quella istituzionale. In tal senso l’Alpi avrebbe dovuto essere, per gli utenti, una modalità di scelta del professionista e non di aggiramento delle liste di attesa. Tutto ciò sarebbe stato (forse) possibile non solo attraverso un’adeguata normativa – che si configura solo a partire dal Dlgs 219 – ma attraverso una continua implementazione nonché un monitoraggio e governo della materia a livello regionale e delle singole aziende.

La rilevanza dell’Alpi e la sua relazione con le liste di attesa

L’attività in intramoenia è notevolmente diversificata a seconda delle specialità mediche e fra regione e regione; le differenze si amplificano, all’interno della stessa regione, fra aziende sanitarie.

Per documentarci su tale materia dobbiamo avvalerci della Relazione annuale del Ministero della Salute sullo stato di attuazione dell’esercizio dell’Alpi5 e del Rapporto Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) sui tempi di attesa6. Purtroppo ricerche puntuali sulle motivazioni del ricorso all’Alpi, sulla entità della spesa in singole realtà, sull’opinione degli utenti ecc. sono praticamente assenti e una qualche informazione utile, ma non su base campionaria, è ricavabile dal Rapporto annuale di Cittadinanza attiva7.

I medici che effettuano la libera professione intramoenia rappresentano, al 2021, il 38,6% dei medici ospedalieri, con una progressiva riduzione – come si rileva dal confronto fra le annuali Relazioni ministeriali – nel corso degli anni (nel 2013 erano il 46,1%). I ricavi complessivi sono in leggera flessione nell’ultimo decennio, passando da 1,264 mld nel 2010 a 1,087 nel 2021 (-14%), con una più netta flessione nel 2019-2020 a causa della pandemia. Il compenso medio non è riportato nelle relazioni più recenti; l’ultimo dato, risalente al 2014, dava un guadagno medio di 17.400 euro.

Purtroppo poco si dice della distribuzione dei compensi (curva di distribuzione, mediana, ecc.) su cui la Relazione non indaga o forse stende un velo pietoso. Ricercando sui siti aziendali (Emilia-Romagna, Toscana, Lombardia) si ottengono alcune eclatanti e frammentarie informazioni riferite al periodo precedente il Covid; poi anche queste notizie sui siti aziendali si rarefanno. Si apprende dell’ortopedico con uno stipendio di 55.000 € che guadagna in Alpi 890.000 €; dell’urologo che dichiara 748.841 € di cui 658.000 grazie all’intramoenia; dell’oculista con uno stipendio di 88.368 € che incassa 1.039.863 € in Alpi, ecc.

La spesa pro capite sostenuta per l’Alpi ammonta attualmente a 18,4 €, con ampie differenze territoriali: Emilia-Romagna 31,1 €; Campania 7,1 €. Si tratta pertanto di una percentuale estremamente limitata della spesa privata pro capite che ammonta mediamente a 606 €, con rilevanti differenze regionali: per l’Emilia-Romagna a 769 € e per la Campania a 406 €8.

Come noto, l’Alpi riguarda sia le attività di ricovero sia quelle ambulatoriali.

Su un totale di 10.967.817 ricoveri ordinari del biennio 2020-2021, quelli in regime libero professionale ammontano allo 0,30%, pari a 30.508. Il ricorso all’Alpi riguarda principalmente il parto, con 3.349 interventi nel biennio: il 9,45% dei parti (vaginali + cesarei); seguono altri interventi ginecologici, l’ernia inguinale, la prostatectomia, gli interventi sul cristallino e gli interventi ortopedici (protesi) agli arti inferiori.

Più consistente – ovviamente – l’attività ambulatoriale e diagnostica con oltre 4 milioni di prestazioni, che rappresentano il 7,3% della attività istituzionale. Non sono disponibili dati sull’attività ambulatoriale e diagnostica privata, a cui si accede out of pocket o tramite copertura assicurativa, che è certamente assai più consistenteb.

Su 64 prestazioni l’ecografia ginecologica viene attuata nel 40% in Alpi e la visita ginecologica per il 30%; visite gastroenterologica e urologica si attestano al 20-21%, le visite cardiologica, neurologica e di chirurgia vascolare intorno al 15-16% e l’ortopedica all’11%. Le altre attività, in particolare diagnostiche strumentali, si attestano a valori percentuali bassi, con la Rm e la Tc all’1%.

Risulta pertanto evidente una relazione fra visita in intramoenia e presa in carico dei pazienti in ambito ambulatoriale con successivo percorso chirurgico per alcune specialità in cui l’individuazione del professionista è elemento determinante; ne segue un successivo iter sia con ricovero in intramoenia (in particolare per il percorso nascita, l’urologia e l’ortopedia) sia in un – meno documentabile – percorso istituzionale con una, parziale, garanzia di scelta del professionista per l’intervento e il successivo follow-up.

I dati che abbiamo qui esposti evidenziano che l’Alpi non è la causa delle liste di attesa.

Tuttavia – ma ciò non è in contraddizione – il ricorso all’Alpi è la modalità per accorciare l’attesa, come evidenziano molteplici indagini nel corso del tempo.

A titolo esemplificativo, nel 2021 per un intervento su naso, bocca e gola in classe B si è atteso in media 90 giorni in istituzionale e 27 giorni in Alpi, per la prostatectomia in classe A l’attesa è stata di 43 giorni in istituzionale e di 26 giorni in intramoenia; per la colecistectomia in classe A si passa da 33,6 giorni in istituzionale a 18,5 in intramoenia. Anche qui si tratta di una media, con eclatanti differenze, e non è evidenziabile una più appropriata (o più desiderata) collocazione nella classe di priorità, ottenibile attraverso il ricorso alla visita in intramoenia con successivo ricovero a carico del Ssn.

Quali sono le cause delle liste di attesa?

Pertanto qual è la causa delle liste di attesa, dato che trattasi di un fenomeno diffuso in molti Paesi in cui il sistema sanitario pubblico ha subito le conseguenze di una politica di austerity e le attese si sono allungate a seguito della pandemia9, cosicché la percentuale della popolazione che ritiene eccessivi i tempi di attesa per accedere al proprio medico di medicina generale (Mmg) o a prestazioni oscilla, nei vari Paesi europei, fra il 53% dell’Olanda e l’88% del Portogallo (Italia= 70%)10?

La causa di tale fenomeno è nota, con alcuni aspetti specifici per la realtà italiana: il disallineamento fra domanda di prestazioni (visite e accertamenti diagnostici) e offerta da parte del Ssn. Le ragioni di tale disallineamento sono molteplici. Sul fronte della domanda la ridotta capacità dei Mmg di offrire, nel proprio ambulatorio, adeguate prestazioni, come risulta anche dal confronto con la tipologia di prestazioni disponibili nella medicina generale degli altri Paesi europei11, nonché la ridotta propensione a effettuare una funzione di gate-keeper in termini di appropriatezza degli accertamenti specialistici e diagnostici e di definizione dei criteri di priorità.

Sul fronte dell’offerta una continua riduzione del personale medico e infermieristico e una non appropriata organizzazione delle attività separando le richieste di primo accertamento, da parte dei medici di base, dalle richieste di controlli e monitoraggio. Le prime devono avere una risposta rapida (open access)12 nei giorni successivi; le seconde devono avere una data programmata e prenotata dallo stesso specialista in base ai tempi necessari a un corretto percorso diagnostico.

Nell’ambito della diagnostica il ricorso all’Alpi, ma forse in misura maggiore alla sanità privata, è dovuto anche a un utilizzo delle attrezzature diagnostiche scarsamente efficiente, per una inadeguata distribuzione nei vari presidi e per la loro l’obsolescenza. Per esempio in Italia abbiamo 31,24 risonanze magnetiche per milione di abitanti (anno 2022) con 65 esami ogni 1.000 abitanti, in un rapporto di utilizzo pari a 2,1 a fronte di un rapporto di utilizzo che in Olanda è 4,4; in Spagna 4,7; in Austria 5,6; in Francia 7,5 e in Belgio è 7,6c.

Queste sono le ragioni delle liste di attesa; il ricorso alla libera professione intramoenia non ne è la causa, ma l’effetto. Effetto che non si è amplificato nel corso di un decennio perché “compensato” – se così possiamo esprimerci – da un ricorso più massiccio al privato essendo le liste di attesa e le difficoltà di accesso al Cup i principali elementi d’insoddisfazione dei cittadini13 che per il 48,3% vengono indirizzati verso il privato o l’intramoenia direttamente da parte del Cup7.

La libera professione intramoenia fra richieste di abolizione e assenza di governance

Il tema dell’abolizione dell’Alpi è stato posto sia da parte di presidenti di Regione14 e, più recentemente, da autorevoli interlocutori in numerose interviste e articoli15,16, sottolineando come sia intollerabile trovare, nell’ambito del servizio sanitario pubblico, un rilevante elemento di disuguaglianza rappresentato da un percorso alternativo a pagamento, a cui si ricorre per le carenze di offerta in termini di tempistica, di sede erogazione della prestazione, di ragionevole certezza della data della visita o dell’intervento senza dover ricontattare periodicamente il Cup o attendere, in ansia, una telefonata.

Nel contempo non esistono né proposte né le condizioni per abolire tale contraddizione insita nel nostro Ssn.

Nessun sindacato, ovviamente, ne propone l’abolizione. Ipotesi teoricamente accettabile solo a fronte di un sostanziale incremento stipendiale tale da allineare la retribuzione dei medici (e infermieri) alla media di Paesi europei confinanti o analoghi (Francia, Germania, Inghilterra, Spagna). Tale ipotesi, che comporterebbe un aumento del 28% del Fondo sanitario nazionale13, è al di fuori degli attuali indirizzi del Governo e delle prospettive della finanza pubblica.

Nessun partito, come risulta dall’analisi dei programmi delle diverse formazioni politiche per le ultime elezioni, affronta il tema della libera professione intramoenia. Inoltre, l’attuale Governo, nell’ambito del Decreto Bollette, si è mosso in direzione opposta estendendo la libera professione in extramoenia anche al personale infermieristico.

Purtroppo, nell’attesa di eliminare questa contraddizione insita nel nostro sistema sanitario, cioè di risolvere il Problema in attesa quindi di una irraggiungibile soluzione totale, sembra si sia rinunciato a soluzioni parziali, anche a quelle previste dalla stessa normativa vigente.

In base a tale normativa è prevista la costituzione di un organismo regionale paritetico composto dai cosiddetti “portatori di interessi”: le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria e le organizzazioni rappresentative degli utenti e di tutela dei diritti.

Tali organismi avrebbero il compito di collaborare alla verifica dello svolgimento dell’attività libero professionale e dell’insorgenza del conflitto di interessi o di situazioni che comunque implichino forme di concorrenza sleale; di conseguenza Aziende e Regioni verrebbero a determinare le relative misure sanzionatorie17. Tuttavia a distanza di oltre un decennio dalle disposizioni di legge tale organismo non è presente in cinque regioni (Basilicata, Calabria, Friuli-Venezia Giulia, Sicilia e Valle d’Aosta); altre regioni hanno atteso il 2020 (Piemonte) o il 2021 (Lombardia) per l’insediamento, mentre alcune regioni sono state assai più sollecite (Emilia-Romagna 2013, Toscana 2009), salvo poi non riconvocarlo mai dopo l’insediamento!

Non risulta peraltro, nella revisione delle rassegne stampa, qualche indagine o provvedimento in relazione a questa attività, né su professionisti né su amministratori, come se nell’articolata rete di presidi in cui si svolge l’Alpi in tutto il territorio nazionale non risultino inadempienze rispetto alle disposizioni normative e, in particolare, all’equilibrio richiesto fra i tempi di attesa in intramoenia rispetto all’attività istituzionale; equilibrio la cui violazione è invece largamente documentata dal citato monitoraggio pubblicato dall’Agenas6.

Mi sembra che questi elementi siano, in qualche misura, la cartina di tornasole, utile per capire lo scarso impegno posto dalle diverse regioni a governare la libera professione intramoenia.

Possibili iniziative di governance dell’Alpi

1. Una rilevazione più puntuale, anche con ricerche ad hoc, rispetto all’organizzazione dell’Alpi nelle varie realtà, finalizzata anche a conoscere le motivazioni del ricorso, che sono probabilmente differenziate rispetto ai diversi percorsi, nonché documentare il passaggio degli utenti dall’intramoenia al privato esterno al Ssn.

2. Una rilevazione delle tariffe praticate in Alpi per tipologia di prestazioni e nelle diverse realtà.

3. Una rilevazione degli introiti dei vari professionisti che effettuano l’Alpi.

4. Un tetto agli introiti dei professionisti. Tale ipotesi si basa su più motivazioni:

esiste una norma nella pubblica amministrazione che pone un tetto alla retribuzione degli alti dirigenti pubblici (pari alla retribuzione del presidente della Corte di Cassazione), e quindi appare corretta una norma simile per attività che si svolgono in un settore pubblico;

esiste un problema che si chiama conflitto di interessi, rilevante in particolare per chi svolge un’attività di direzione volta a gestire le risorse della propria équipe e a organizzarne l’attività;

esiste un problema di sicurezza per gli operatori e in primo luogo per i pazienti, spesso evidenziato dai professionisti e dalle organizzazioni sindacali rispetto al carico di lavoro. Vi sono richiami in tal senso nella normativa europea sull’orario di lavoro dei medici18, comprensivo dello straordinario. Un’attività in Alpi (e anche in extramoenia) diventa incompatibile se effettuata oltre tale orario o durante le ferie.

5. Si dovrebbe infine concordare con i sindacati che, quando la lista di attesa per le attività istituzionali supera di una determinata quota quella in Alpi, le attività in Alpi sono riconvertite in istituzionale e attuate in produttività aggiuntiva, fino al ripristino di un adeguato equilibrio fra i due comparti.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

1. Spandonaro F, d’Angela D, Polistena B. CREA Sanità. Senza riforme e crescita, SSN sull’orlo della crisi. 18° Rapporto Sanità, Roma 2022.

2. Rostand E. Cirano di Bergerac. Traduzione di Mario Giobbe. Milano: Arnoldo Mondadori Editore, 1985.

3. Corte di Cassazione (Sez. Lavoro). Sentenza nr. 8982/2014.

4. Corte Costituzionale Sent. 23/12/1993 n. 457.

5. Ministero della Salute. Relazione sullo stato di attuazione dell’esercizio dell’attività libero-professionale intramuraria. Anno 2021.

6. Agenas. Report dei Monitoraggi Nazionali ex ante dei tempi di attesa per l’attività libero- professionale intramuraria (ALPI) e volumi di prestazioni ambulatoriali e di ricovero erogate in attività Istituzionale e ALPI. Anno 2021.

7. Cittadinanzattiva, Rapporto civico sulla salute, 2023. Disponibile su: https://lc.cx/GfI6bO [ultimo accesso 10 luglio 2023].

8. Vaccaro K. Presentazione della Responsabile area salute e welfare Censis alla Commissione Affari sociali del Senato. Roma 23 Febbraio 2023.

9. The King’s Fund. NHS waiting times: our position. Disponibile su: https://lc.cx/7jiEV- [ultimo accesso 10 luglio 2023.

10. Statista. Share of individuals who thought waiting times to get an appointment with doctors were too long in select European countries 2022. Disponibile su: https://lc.cx/1xvpG1 [ultimo accesso 10 luglio 2023.

11. European Observatory on Health Systems and Policies. Building Primary Care in a Changing Europe, 2015.

12. Tomassini CR. Liste di attesa in sanità. La soluzione dell’Open Access. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2019.

13. Spandonaro F, d’Angela D, Polistena B. CREA Sanità. 17° Rapporto Sanità. Il futuro del SSN: vision tecnocratiche e aspettative della popolazione. Roma, 2021.

14. Libera professione. “Non torno indietro, va abolita. Italiani scandalizzati e umiliati. Legge pronta tra due mesi”. Intervista a Enrico Rossi. Quotidiano Sanità 2016; 23 marzo.

15. Garattini S. La nostra salute non è un costo, è un investimento. Avvenire 2023; 8 luglio.

16. Gori G. La proposta di Remuzzi per salvare la sanità pubblica: «Abolire subito l’intramoenia». Corriere Fiorentino 2023; 9 maggio.

17. Accordo della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome in data 18 novembre 2010.

18. Legge 30 ottobre 2014, n. 161, recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea - Legge europea 2013-bis”.

Note

a Già nel decreto fiscale del 19/9/1992 n. 384 si prevedeva la cessazione dell’assistenza medica di base, dell’assistenza farmaceutica e della diagnostica per coloro che avevano un reddito superiore a 40 milioni. Sospesa la norma in sede di conversione in legge, fu ripresa in forma più attenuata e sperimentale nell’art. 9 della 502.

b Per un raffronto basti tenere presente che la Synlab dichiara 1,5 milioni di prestazioni ambulatoriali e l’UNISalute ha in convenzione, nella sola area milanese, 646 centri specialistici e studi medici.

c I dati della Rmi su 1.000 abitanti sono desunti da: Oecd, Health at a glance Europe, 2022, p. 189. Per il numero di Rmi per milione di abitanti da https://www.theglobaleconomy.com/rankings/magnetic_resonance_imaging_units/Europe/