Diritto alla salute e alla sua tutela:
principi fondamentali del sistema sanitario universalistico

Giuseppe R. Gristina1

1Medico, anestesista-rianimatore, Componente della Consulta scientifica del Cortile dei Gentili.

Pervenuto il 15 giugno 2023. Non sottoposto a revisione critica esterna alla direzione della rivista.

Riassunto. Premessa. La pandemia da SARS-CoV-2 ha costretto il mondo occidentale a considerare incerti molti dei principi dati ormai per acquisiti. Tra questi, più di altri sono stati messi alla prova i princìpi alla base del diritto di ogni essere umano alla salute e alla sua tutela. Scopo. Lo scopo di questo articolo è fornire una rilettura post-pandemia dei princìpi fondamentali di uguaglianza ed equità che stanno alla base del diritto alla tutela della salute e dei sistemi sanitari universalistici. Contenuti. Concepire la salute come benessere fisico, psichico e sociale, non solo come assenza di malattia/disabilità, significa promuovere la dignità dell’essere umano intesa come libertà di compiere scelte che attengono alla qualità di vita desiderata integrando la biologia e la biografia di ognuno secondo un progetto di realizzazione individuale. Il raggiungimento di quest’obiettivo richiede un nuovo modello di assistenza sanitaria in grado di identificare e trattare i problemi clinici, ma anche di agire sui determinanti economici, sociali, culturali e ambientali della malattia e della salute. Questa nuova visione è supportata dagli approcci One health, Planetary health e Health in all policies che promuovono una salute più equa e migliore volta a riconoscere, intercettare e soddisfare i bisogni di salute di ciascuno secondo le sue caratteristiche socio-sanitarie. La tutela della salute richiede che i governi di tutti gli Stati assumano impegni giuridici ed economici concreti per garantire l’accessibilità universale a un’assistenza sanitaria efficace, equamente distribuita e gratuita e per promuovere il miglioramento del benessere psico-fisico delle popolazioni. Attuare politiche economiche di definanziamento della sanità significa mettere in discussione il concetto di sanità equa ed egualitaria, compromettere la salute e la dignità delle persone, svuotare di significato le norme del diritto nazionale e internazionale che le tutelano. La sostenibilità di un sistema sanitario è anche un problema culturale che riguarda i medici. Essi dovrebbero riflettere sul loro ruolo e sulla loro funzione nella società, ricomponendo la dicotomia tra medicina clinica e sanità pubblica e rivedendo il concetto di medicina alla luce dei bisogni di salute sopra menzionati. Conclusioni. Affinché il diritto alla salute sia considerato come primario e sia incorporato nei sistemi giuridici di tutti gli stati, sono necessarie azioni politiche, giuridiche, economiche e culturali. L’approccio One health focalizzato su ecologia, giustizia sociale, equità e uso appropriato dell’innovazione scientifica e delle risorse umane, tecnologiche ed economiche dovrebbe rappresentare la risposta.

Parole chiave. Diritto alla salute, pandemia da SARS-CoV-2, sistemi sanitari universalistici, tutela della salute.

Right to health and its protection: the general principles of the universal healthcare systems.

Summary. Background. The SARS-CoV-2 pandemic has compelled the western world to consider as uncertain many principles considered definitively acquired. Among them, the right of every human being to health and its protection has been put to the test more than others. Purpose. The purpose of this article is to provide a post-pandemic re-reading of the fundamental principles of equality and equity that underlie the right to health protection and the safeguard of universalistic healthcare systems. Contents. Conceiving health as physical, mental and social well-being, not only as the absence of disease/disability, means promoting the human beings dignity understood as the freedom to make choices that pertain to the desired quality of life integrating biology and biography of everyone, according to a project of individual realization. This goal requires a new model of healthcare not only able to solve the clinical problems, but also to act on all the economic, social, cultural and environmental determinants of the diseases and health. This new vision is supported by the One health, the Planetary health and the Health in all policies approaches promoting a more equitable healthcare system aimed to recognize, intercept and satisfy the health and social needs of everyone. The protection of health requires all governments make concrete juridical and economic commitments to ensure universal accessibility to effective, equitably distributed healthcare and to promote, through adequate funds, the enhancement of the psycho-physical well-being of human beings. By contrast, implementing economic policies aimed to reduce funding for healthcare means not only questioning the concept of fair and egalitarian healthcare system, compromising the health and dignity of people, undermining the national and international rules of law protecting them. The sustainability of this new health understanding represents also a cultural challenge concerning physicians. They should reconsider their social role and function by reconciling the dichotomy between clinical medicine and public health, and reviewing the concept of medicine in light of the needs of health determinants above mentioned. Conclusions. Political, legal, economic and cultural actions have to be implemented so that the right to health is considered as a primary right incorporated in the legal systems of all states. In this sense the One health approach focused on healthy ecosystems, sustainable development, social justice, equity and the appropriate use of scientific innovation and human, technological and economic resources should represent the answer.

Key words. Healthcare protection, right to health, SARS-CoV-2 pandemic, universalistic healthcare systems.

Introduzione

La pandemia da SARS-CoV-2 ha causato una crisi sanitaria di dimensioni planetarie con perduranti ripercussioni sociali ed economiche in tutto il mondo.

Milioni di vite sono andate perdute, con un prezzo altissimo pagato soprattutto dai più poveri, dai più anziani, dai più fragili1. Le generazioni più giovani hanno sperimentato una complessiva riduzione della qualità della vita e un rilevante disagio psicologico2.

L’assistenza ospedaliera e territoriale, ovunque sottoposta a una pressione eccezionale, ha evidenziato limiti derivanti sia dall’incontrollata diffusione del contagio, sia dall’insufficiente implementazione di misure di sicurezza sanitaria globale.

In molti ospedali europei e americani, l’emergenza generata dal continuo afflusso di malati affetti da Covid ha obbligato, nel corso delle diverse ondate, i professionisti sanitari a riorganizzare continuamente le aree di ricovero e a rielaborare, nei momenti di massima criticità, i criteri di allocazione delle risorse3. La qualità dell’assistenza erogata ai malati affetti da patologie diverse da Covid – soprattutto cardiovascolari e neoplastiche – ha subito un drammatico peggioramento di cui si potranno conoscere già nel prossimo futuro gli esiti in termini di incremento di mortalità e invalidità4. I medici, gli infermieri e i ricercatori sono stati, a loro volta, vittime di un disagio psicologico, morale e fisico mai provati.

La sfida lanciata dalla pandemia ha riguardato anche la scienza.

Grazie all’impulso impresso alle scienze biologiche dall’innovazione tecnologica, ma anche all’impressionante mole di lavoro svolto in sinergia dalle più importanti istituzioni scientifiche di ricerca, si è potuto, in tempi brevissimi, isolare e tipizzare il virus, comprendere i meccanismi patogenetici della malattia, mettere a disposizione dei clinici i migliori protocolli di trattamento sulla base delle conoscenze disponibili e, infine, produrre e commercializzare un vaccino d’indiscussa efficacia5. Si è così resa possibile una campagna di immunizzazione di massa che ha permesso di prevenire le forme più gravi di Covid e superare finalmente la fase più critica della pandemia. Tuttavia, il traguardo della sua completa risoluzione è ancora lontano.

Tutte le comunità si sono quindi avviate a una sorta di “nuova normalità” caratterizzata dall’incertezza del futuro e dalla precarietà del presente con cui l’intero genere umano deve imparare a convivere.

A questo tema la Consulta scientifica del Cortile dei Gentili ha già offerto il proprio contributo con il volume “Pandemia e resilienza. Persona, comunità e modelli di sviluppo dopo la Covid-19”6, con riflessioni sugli aspetti più critici di questa epoca straordinariamente difficile e sulle nostre speranze.

In esso, partendo dall’assunto per cui «non si può uscire oggi da un’apocalisse del genere ritornando alla vita di prima e mettendosi alle spalle quello che abbiamo vissuto»6, si riconosce la necessità di meditare sulle cause della pandemia e si propongono alcune tracce di riflessione per il cambiamento.

Tra queste, una tiene conto dell’intima e delicata relazione tra la salute dell’uomo e gli equilibri ecologici del pianeta, profondamente alterati dallo sfruttamento eccessivo delle risorse ambientali, che si sintetizza nella formula dello sviluppo sostenibile, propugnato nell’enciclica Laudato Si7.

Un’altra riconosce il valore dei determinanti sociali, economici e culturali della salute e fa riferimento alla necessità di assicurare maggiore protezione ai più deboli, reale eguaglianza tra i cittadini e tra le diverse comunità, e una effettiva equità nella distribuzione delle risorse. In sintesi, una sostenibilità sociale oltre che ambientale.

La scienza, d’altra parte, richiama con insistenza l’attenzione di tutti, cittadini e istituzioni, circa l’esigenza di un cambiamento radicale di sensibilità, in particolare nell’ambito della sanità pubblica, per integrare una nuova visione di governance per la protezione e promozione della salute non più centrata esclusivamente sulla salute solo umana. Questo nuovo approccio al concetto di salute come risultato dell’integrazione tra biologia umana, ambiente, stili di vita e organizzazione sanitaria – il cosiddetto “sistema circolare e integrato” deve dunque divenire patrimonio di tutti8; senza di esso è altamente probabile che in futuro altre pandemie possano verificarsi, sempre meno distanziate nel tempo e forse anche peggiori di quella da SARS-CoV-29.

In linea con questi contenuti, la Consulta scientifica del Cortile dei Gentili ha ritenuto doveroso dedicare un ulteriore spazio di indagine e riflessione ai principi che costituiscono l’architrave del diritto alla salute alla luce dell’esperienza della pandemia, nella prospettiva dell’approccio One health10 che, pur avendo ispirato celebri documenti di strategia sanitaria (Alma Ata 1978, Ottawa 1986, Salute 2012 e 2020, Shanghai 2016) proposti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), è stato raramente implementato dalle politiche dei vari Stati.

Diritto alla tutela della salute e principi fondamentali

Nonostante l’attuale definizione di salute formulata dall’Oms non sia più ritenuta da molti adeguata ad affrontare la complessità delle nuove sfide che i sistemi sanitari sono chiamati a sostenere, nessuna ipotesi alternativa ha raggiunto a oggi lo stesso ampio livello di consenso11.

L’Oms definisce la salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non soltanto come assenza di malattia o di invalidità12.

La promozione della salute non è dunque da intendersi esclusivamente come lotta alle malattie, ma, in un senso più ampio, come promozione della dignità di ogni essere umano e, quindi, come libertà di compiere scelte che attengono alla qualità desiderata della propria vita, secondo un progetto di realizzazione individuale, in un’ottica di integrazione tra biologia e biografia11.

In linea con questa interpretazione, l’Oms e, successivamente, l’Unesco con la Dichiarazione universale di bioetica e diritti umani (2005) includono la salute nel novero dei diritti fondamentali di ogni essere umano senza distinzioni di sorta13.

Questo approccio pone immediatamente il tema del riconoscimento della salute come diritto umano fondamentale da parte di tutti gli Stati tramite propri specifici strumenti giuridici. La conseguenza diretta di questo riconoscimento dovrebbe consistere nell’assunzione di un impegno concreto dei governi a garantire l’accessibilità universale a un’assistenza sanitaria per quanto possibile efficace, equamente distribuita e gratuita.

Peraltro, mentre oggi la tutela della salute delle popolazioni avviene a livello nazionale con un insieme di leggi e regolamenti che disciplinano i servizi sanitari, la prevenzione delle malattie e la promozione della salute, in un mondo globalizzato in cui i patogeni e i rischi connessi agli stili di vita superano i confini degli Stati, è sempre più avvertita la necessità di un’azione collettiva anche eventualmente regolata da trattati internazionali.

Nondimeno, le norme emanate finora sul diritto alla salute a livello internazionale presentano limiti rilevanti quando si considerino le loro ricadute pratiche sulle singole realtà nazionali.

I governi nazionali sono infatti per lo più restii ad accettare normative vincolanti (hard law), mentre sono più propensi ad aderire a strumenti di soft law. Inoltre, i Paesi ad alto reddito contribuiscono al finanziamento dei programmi di sviluppo dei sistemi sanitari nei Paesi a medio o basso reddito preferibilmente se possono controllarne lo sviluppo e verificarne l’esito. In ultimo, i meccanismi che definiscono a livello nazionale la conformità alle leggi internazionali sono spesso deboli o inesistenti14.

D’altra parte, la mancata realizzazione di un’assistenza sanitaria pienamente efficace e universale dovrebbe indurre ad approfondite analisi sia degli ostacoli che in ciascuno Stato si frappongono all’ottenimento dell’obiettivo, sia di come e con quale intensità questi influiscano sullo stato di salute dei diversi strati sociali, richiedendo specifiche decisioni politiche e un’adeguata riconsiderazione delle misure legislative di protezione per i più vulnerabili.

È importante sottolineare a questo riguardo che gli stanziamenti economici per garantire il diritto alla salute sono, dalla stessa Oms, condizionati al «più alto standard di salute raggiungibile»13. Si prende così atto della possibilità dei singoli governi di relativizzare, in autonomia, il diritto alla salute in rapporto ai vincoli della finanza pubblica. Sia che ciò avvenga in una forma “debole”, bilanciando la tutela del diritto alla salute con le risorse economiche disponibili, oppure in una forma “forte”, condizionandolo più decisamente a esse, entrambi gli approcci finiranno comunque per influire sulla quantità e la qualità delle cure15. Si comprende quindi come la sostenibilità di un sistema sanitario e il correlato godimento di un pieno diritto alla salute da parte di tutti i cittadini saranno innanzitutto connessi alle scelte politiche che scaturiscono dalla più ampia problematica riguardante il ripensamento del modello di welfare16welfare state vs welfare society vs welfare capitalism – in corso in molti ambiti politici ed economici. In altre parole, il diritto alla salute sarà tanto più pienamente godibile e la sanità tanto più sostenibile quanto più si vorrà che lo siano.

Il dramma della pandemia da SARS-CoV-2 ha focalizzato l’attenzione sull’esigenza di non reiterare gli errori commessi e segnatamente quello di considerare le cause di questo evento come uno shock “esogeno” anziché “endogeno” al modello di sviluppo vigente. È quindi urgente comprendere che la sostenibilità di un sistema sanitario e la concreta attuazione dei principi di equità, universalità e uguaglianza che sottendono il diritto alla salute richiedono una sua reinterpretazione culturale.

Sarebbe allora necessario costruire un modello innovativo di sanità che definisca le sue prio­rità in base ai reali bisogni di salute dell’intera popolazione – incluse le categorie di persone che possono risultare dimenticate e invisibili ai sistemi sanitari17,18 – e non solo sulla domanda di prestazioni (attività cliniche di diagnosi e cura) e sulla capacità del sistema di erogare servizi in risposta. Questo potrà essere però possibile se anche la medicina sarà in grado di aprirsi a una riflessione critica sul proprio ruolo e sulla propria funzione nella società contemporanea, ricomponendo la dicotomia tra clinica e sanità pubblica per affrontare le sfide post-pandemiche di tipo scientifico, etico ed economico che la modernità lancia alla medicina stessa19,20.

Soddisfare un bisogno di salute significa certamente individuare e trattare un problema clinico, ma anche intervenire in modo sistematico sulle variabili sociali, ambientali, economiche, nonché sui loro nessi di complementarietà e di sostituibilità, che fungono da determinanti della malattia come del benessere21-26, che ruotano attorno al concetto di One health e di Planetary health27-29, e che fanno riferimento a quella che chiamiamo, più in generale, qualità della vita. Per conseguenza, se il metro per valutare l’efficacia di un sistema sanitario universalista è l’equità nella produzione e nella distribuzione della salute piuttosto che la sua efficienza tout court – equità intesa quindi come assenza di disparità sociali sistematiche non solo nello stato di salute ma anche nei suoi principali determinanti sociali30,31 – allora questo sistema non potrà garantire un’effettiva efficacia fintanto che la promozione stessa della salute non sarà messa in rapporto a un programma organico e complessivo di sostenibilità sociale e ambientale.

Ai fini di un pieno e concreto esercizio del diritto alla salute su scala globale, la nuova prospettiva olistica offerta dall’approccio One health, supportata dall’innovazione tecnologica – pensiamo all’uso dell’intelligenza artificiale e alle analisi sui Big data32-34 sempre più utilizzati nei processi decisionali –, dovrebbe poter prevedere anche la rimodulazione dei presupposti teorici che sostengono i modelli di sviluppo economico della società occidentale. In particolare, dovrebbe essere perseguita la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando la libertà e l’uguaglianza delle persone, ne impediscono la piena realizzazione e ne offendono la dignità (Alma Ata 197835, ASviS Agenda 203036). L’approccio Salute in tutte le politiche - Health in all policies – una strategia decisionale collaborativa in cui decisori di settori diversi valutano congiuntamente problematiche attinenti alla salute, alla sostenibilità e all’equità prima di adottare qualsiasi politica o intervento37,38 – è ampiamente riconosciuto e condiviso sul piano internazionale39 e trova in Italia rilevanti connessioni con gli altri diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti40.

Oltre che ripensare il concetto di salute, la governance, le politiche e le modalità di finanziamento dei sistemi sanitari alla luce del principio di equità, in questa fase post-pandemica è apparsa poi più che evidente la necessità di arrivare, a livello globale, allo sviluppo di sistemi sanitari veramente universali. La pandemia da SARS-CoV-2 ha dimostrato infatti che, pur con macroscopiche criticità, i sistemi sanitari universalistici, finanziati dalla fiscalità generale, che hanno mantenuto allineate le politiche di sicurezza sanitaria globale (Global health security - Ghs) desunta dalle International health regulations (Ihr) dell’Oms41 con quelle di copertura sanitaria universale42 (Universal health coverage - Uhc)a, come accaduto in Corea del Sud, a Singapore, in Thailandia, Taiwan e Vietnam, hanno anche garantito nella maniera più efficace il diritto alla salute e alle cure43. Questo nuovo modello di salute globale, in cui si fondono sicurezza e universalità di cure, si basa sulla collaborazione tra le discipline mediche all’interno dei sistemi sanitari nazionali, sull’inversione del processo di definanziamento dei sistemi sanitari in corso in tutto il mondo e sulla garanzia di accesso gratuito alle cure primarie per tutti i cittadini, sulla preparedness e capacità di resilienza di sanitari, istituzioni e popolazioni per prepararsi e rispondere alle crisi44, e su un’adeguata considerazione dei determinanti sociali di salute.

Sarebbe quindi auspicabile trarre dall’esperienza della pandemia una raccomandazione a tutelare e implementare i modelli di sanità pubblica universalista finanziata dalla fiscalità generale.

In questa prospettiva, compito delle autorità competenti, della società civile organizzata e di tutte le comunità di vita dovrebbe essere quello di adottare un punto di vista globale e strategie interconnesse, basate sui comuni valori di uguaglianza, equità e universalismo, per garantire il diritto alla salute tramite un modello di sanità pubblica ispirato a questi principi.

Linee propositive per un diritto alla salute nei sistemi sanitari

Sulla base delle precedenti considerazioni e senza alcun intento prescrittivo, è utile provare a collegare i nuovi contenuti ideali scaturiti dalla riflessione su quanto l’esperienza della pandemia ha insegnato attraverso la definizione di ipotetiche linee di sviluppo teorico sulle quali ripensare il diritto alla tutela della salute e i sistemi sanitari che dovrebbero garantirne la concreta attuazione.

In questa prospettiva, un primo punto essenziale dovrebbe consistere nel riconoscimento da parte di tutti gli Stati (in particolare quelli in cui difetta un’adeguata protezione giuridica quale quella offerta dall’art. 32 della Costituzione italiana e un efficace sviluppo della relativa giurisprudenza costituzionale) del diritto alla salute non solo attraverso il suo riconoscimento nel proprio sistema legislativo, ma anche accettando una vincolatività forte derivante dalla ratificazione di tutti i trattati internazionali disponibili. Vale la pena qui ricordare che in alcuni Stati, in forza di questi trattati, il diritto al più elevato standard di salute è stato assicurato da alcune Corti che, nelle loro sentenze, si sono richiamate alle norme di quei trattati. Al fine di bilanciare l’inevitabile genericità delle formulazioni legislative, sarebbe poi opportuno definire con più dettagliate previsioni cosa la società può realisticamente aspettarsi dai sistemi sanitari. A tale proposito, le istituzioni dovrebbero informare sia le persone sane sia quelle malate circa l’efficacia e la sicurezza degli interventi sanitari realmente utili educando al contenimento dei desideri al fine di arginare le aspettative irrealistiche nei confronti di una sanità infallibile.

Poiché è dimostrato ormai da un robusto corpo di evidenze che la partecipazione migliora tutti gli indicatori di esito45, i sistemi sanitari dovrebbero anche prevedere soluzioni istituzionali per permettere una partecipazione attiva di tutte le parti interessate alle strategie di sviluppo di nuove politiche di sanità pubblica. In questo senso, la trasparenza rappresenta un ulteriore strumento per garantire concretamente il diritto alla salute ed è del massimo interesse l’insegnamento impartito dalla pandemia sul ruolo dell’etica tra la scienza e la politica in merito alle scelte riguardanti la salute. Tra queste, oltre a quelle di micro-allocazione che competono ai professionisti sanitari, particolare importanza hanno le scelte attinenti alla macro-allocazione delle risorse economiche destinate dai decisori al finanziamento e all’organizzazione dei sistemi sanitari. È rilevante a questo proposito l’identificazione di una “spesa costituzionalmente necessaria” che nella giurisprudenza costituzionale italiana ha rappresentato un passaggio importante consentendo di garantire «il rispetto dei principi di eguaglianza e solidarietà nel bilanciamento con gli altri valori costituzionali»46. Se infatti i processi di micro-allocazione delle risorse di pertinenza dei professionisti sanitari devono essere sempre improntati, per ogni malato, ai principi di appropriatezza clinica, proporzionalità delle cure, non rivalità e non escludibilità, i decisori, per parte loro, devono adottare politiche pubbliche trasparenti ponendo una vigile attenzione alle modalità e ai processi di macro-allocazione utilizzati, nella consapevolezza sia delle inevitabili interconnessioni tra i due livelli di allocazione, sia del modo in cui questi possono interferire nei processi decisionali riguardanti la cura del singolo malato. Pertanto, tutti i cittadini e le comunità dovrebbero avere la possibilità di sapere come i decisori e i responsabili hanno assolto e assolvono i loro doveri, mentre essi dovrebbero avere la possibilità di spiegare come e perché hanno preso o meno certe decisioni.

Peraltro, l’allocazione di risorse eventualmente limitate deve essere affrontata da tutte le parti interessate esplorando in modo onesto le cause della limitazione per avviarne la rimozione, promuovendo così il rinnovamento del sistema sanitario. In tal senso si pronunciano anche le recenti linee guida emanate dal Consiglio dei ministri dell’Unione europea47 che sottolineano la necessità di un accesso equo alla salute per tutti e di strategie di preparazione, trasparenza, inclusività e non discriminazione.

La trasparenza non riguarda soltanto le decisioni politiche. Nel Regno Unito l’Alleanza per la trasparenza dei dati (Medicines transparency alliance - MeTA) – un’associazione di tutti gli stakeholder della sanità – tutela la comunità assicurando la trasparenza dell’informazione sulla qualità, la disponibilità e il prezzo di farmaci essenziali48. Sulla stessa linea si muove il Programma internazionale per la trasparenza sui farmaci e la sanità (Transparency international pharmaceuticals and healtcare programme)49, poiché la mancata trasparenza dei risultati dei trial clinici può aumentare il rischio di influenze indebite, di manipolazione dei dati e di distorsione delle evidenze.

Come si è considerato in precedenza, i principi di uguaglianza e di non discriminazione, quando declinati in tema di salute, si collegano al concetto di equità e tutti richiamano il tema della giustizia sociale. Inoltre, i principi di uguaglianza e non discriminazione, trovando riscontri in norme di legge, possono essere anche più cogenti del principio di equità. È particolarmente importante in questo contesto che i professionisti sanitari siano stimolati con adeguate campagne di sensibilizzazione e con specifici interventi a individuare e modificare comportamenti discriminatori. I bias di comportamento, impliciti ed espliciti, sono infatti tra i fattori che contribuiscono maggiormente alle disparità di trattamento nel settore sanitario. In particolare i bias impliciti, quali le convinzioni riguardo alle diverse etnie, all’età, al genere, alle differenze culturali e alle abilità che agiscono inconsciamente, influenzando in modo automatico il giudizio e l’operato dei professionisti, sono appresi e interiorizzati attraverso una prolungata esposizione a modelli culturali deteriori e contribuiscono a determinare comportamenti discriminatori difficilmente eradicabili50.

Tutti i settori e i servizi collegati alla salute dovrebbero essere della migliore qualità possibile.

Non ci si riferisce qui soltanto alla qualità delle prestazioni di diagnosi e cura, ma anche a tutte quelle attività connesse all’individuazione, all’intercettazione e al soddisfacimento dei bisogni di salute. La qualità quindi è un attributo non solo delle attività cliniche, ma anche di quelle di sanità pubblica51. Vale la pena ricordare che il diritto al più alto standard di salute definito nell’articolo 12-a del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (International covenant on economic, social and cultural rights - Icescr)52 fa esplicito riferimento ai determinanti fondamentali della salute definiti dall’Oms quali: l’acqua potabile, le adeguate strutture igienico-sanitarie, l’istruzione, l’accessibilità alle informazioni riguardanti la salute, agli ospedali e a ogni altro edificio sanitario, la disponibilità di medici e infermieri qualificati e di farmaci essenziali. È opportuno sottolineare che l’accesso alle informazioni riguardanti la salute dovrebbe prevedere una vera e propria campagna continua di educazione scientifica dei cittadini, condotta a cominciare dalla scuola, che, oltre a renderli criticamente consapevoli e responsabili delle loro scelte, dovrebbe poter consentire loro di valutare la qualità delle informazioni per distinguere quelle scientificamente validate da quelle prive di fondamento (la carenza di alfabetizzazione sanitaria è stata evidente durante la pandemia). L’alfabetizzazione sanitaria è inoltre uno strumento importante per garantire l’equità nella salute: i più fragili sono proprio coloro che non hanno accesso alle informazioni53.

In ultimo, la qualità conferisce valore all’appropriatezza clinica, permettendo agli operatori sanitari di usarla come risorsa professionale, ai decisori di comprendere che migliorarla non significa ridurre i costi ma ottimizzare le risorse, a entrambi di eliminare interventi inutili sovrautilizzati e offrire interventi efficaci sottoutilizzati54. L’ottimizzazione delle risorse, resa possibile da questa diversa concezione della qualità per un approccio rinnovato al diritto alla salute, permette di valorizzare il capitale umano costituito da tutti i professionisti della salute8. Alcune importanti implicazioni per il diritto alla salute nascono poi dalla pianificazione della sua progressiva realizzazione. Secondo la Dichiarazione di Alma Ata, gli Stati devono avere piani nazionali, basati su prove di efficacia, per lo sviluppo dei sistemi sanitari. I piani sanitari dei sistemi che includono il settore pubblico e quello privato devono prevedere che i due settori agiscano in un rapporto coordinato, governato da un’ottica di sussidiarietà55 e di servizio all’intera comunità56. È importante chiarire che “progressiva realizzazione” non può significare che ciascun governo è libero di scegliere qualsiasi misura da attuare in tempi da stabilire; si tratta invece di porre in atto definiti percorsi con specifici obiettivi per assicurare l’ottenimento del risultato efficacemente e rapidamente. Ancora va sottolineato che alcune Corti57, a proposito della “progressiva realizzazione”, hanno considerato a tal punto rilevanti alcune responsabilità correlate al diritto alla salute che esse non possono essere soggette né alla temporizzazione della pianificazione né all’entità delle risorse disponibili.

Altre fondamentali implicazioni scaturiscono poi dal complesso problema della disponibilità delle risorse economiche e dalle forme di finanziamento.

Ovunque, in Europa come nel resto del mondo, si va registrando un costante aumento dei costi sanitari e una crescita della spesa sanitaria in valore nominale che fatica però a tenere il passo della domanda di cure di qualità58,59. Di conseguenza, l’efficienza e l’efficacia dei sistemi sanitari sono giudicate rispetto alla sfida del triple aim: migliorare lo stato di salute del singolo malato; ridurre la spesa sanitaria pro capite; migliorare la salute di una data popolazione60.

Esistono quattro approcci generali per affrontare il problema:

1. aumentare le entrate fiscali fino al punto in cui gli obblighi del sistema sanitario possono essere soddisfatti;

2. ridurre tali obblighi al punto in cui possono essere soddisfatti dalle entrate esistenti, aumentando però la dipendenza dei sistemi sanitari dalla finanza privata;

3. migliorare la capacità del sistema sanitario di convertire le risorse in valore;

4. integrare in un’unica prassi medica, attraverso l’uso di banche-dati, l’assistenza clinica al singolo malato, il perseguimento degli obiettivi di salute della popolazione e la riduzione, da parte dei sistemi sanitari, delle disuguaglianze attraverso il miglioramento degli accessi, la promozione della salute e la prevenzione delle malattie, agendo sui determinanti sociali delle malattie (Medicina clinica di popolazione - Clinical population medicine61,62).

Al di là dei metodi prescelti è importante qui ribadire che, come stabilito dal Consiglio dell’Unione europea63, i sistemi sanitari devono garantire l’equità attraverso la copertura universale, la solidarietà tramite il finanziamento dalla fiscalità generale e l’erogazione di un’assistenza sanitaria di alta qualità che tuttavia non sembra essere assicurata dal supporto dei sistemi sanitari for profit o misti (pubblico/privato)64.

Affinché i sistemi sanitari garantiscano effettivamente il diritto alla salute, i diversi settori di attività dovrebbero essere coordinati efficacemente, sia sul piano nazionale sia internazionale, da interventi pubblici o privati o di cooperazione internazionale. Le attività svolte da questi diversi soggetti dovrebbero attuarsi in un sistema operativo costituito da servizi sanitari di comunità, di distretto e specialistici per assicurare un continuum di prevenzione e cura. In tal senso, la Medicina clinica di popolazione sembra costituire l’approccio più ricco di potenzialità65.

La cooperazione internazionale tra i sistemi sanitari dei diversi Stati è un cardine irrinunciabile nella lotta alle malattie infettive, alla trasmissione dei risultati della ricerca e alla diffusione delle iniziative regolatorie. I Paesi ad alto reddito dovrebbero garantire assistenza e cooperazione a tutti gli altri che, di converso, dovrebbero sentire l’obbligo di richiedere l’assistenza e la cooperazione necessarie a rafforzare i loro sistemi sanitari.

Conclusioni

A settantacinque anni dalla pubblicazione della Dichiarazione universale dei diritti umani, il diritto alla salute è, in molte parti del mondo, un obiettivo remoto, in altre solo parzialmente raggiunto, in altre ancora una conquista in larga parte consolidata, seppure con una serie di rilevanti criticità.

La percezione della salute come un “bene” a tal punto inestimabile da farla assurgere al rango di diritto umano fondamentale, non corrisponde quindi a un universale e uniforme corso di azioni politiche e sociali di tutti i governi, globalmente orientate alla sua valorizzazione.

Il ruolo svolto dai determinanti sociali, economici, politici e culturali nell’ostacolare in diversa misura il conseguimento della migliore condizione raggiungibile di salute, per gli individui come per le comunità, è noto da tempo. Esso rende ragione delle disuguaglianze, delle iniquità e, in definitiva, dell’ingiustizia che le differenze nella considerazione del concetto di salute, in alcuni casi drammatiche, generano nel mondo.

Potrebbero esservi dunque argomenti apparentemente solidi a sostegno della convinzione di alcuni secondo i quali la concezione della salute come diritto costituisca una prospettiva difficilmente praticabile quando non illusoria.

Ci si potrebbe infatti interrogare su come sia possibile considerare l’essere in buona salute un diritto se non è possibile far sì che ognuno possa godere di una buona salute. Ancora ci si potrebbe chiedere perché considerare un diritto la salute invece che la cura, quando è proprio su questa che si può agire più direttamente con leggi specifiche e politiche appropriate. Un’ultima considerazione è di natura giuridica: come si può prevedere un diritto alla salute se non esiste una legislazione vincolante in proposito.

Come sostiene il filosofo ed economista Amartya Sen66, la prima questione implica stabilire preliminarmente cosa può o non può essere considerato un diritto: se la sua attuabilità è posta come precondizione necessaria, allora neppure la libertà potrebbe essere considerata un diritto perché anch’essa non è garantita a tutti come non lo è l’inviolabilità della persona o il voto.

In secondo luogo, se lo stato di salute dipende dalla qualità delle cure erogate, su cui è effettivamente possibile legiferare, è vero anche che esso è correlato ad altri fattori quali gli stili di vita, il grado di istruzione, il reddito. In questo senso il diritto alla salute non dipende solo dalla sua considerazione giuridica, ma anche dal livello di progresso raggiunto in ogni comunità, di cui il diritto alla cura è una parte e, allo stesso tempo, un indicatore fondamentale.

Riguardo alla terza questione, vi è una consolidata tradizione del pensiero occidentale per la quale l’etica sociale basata sui principi morali e sui valori di riferimento deve contribuire a guidare l’azione del legislatore; ne sono un esempio la Dichiarazione dei diritti dell’uomo in Francia, la Dichiarazione di indipendenza in America, le Carte costituzionali dei più evoluti tra i Paesi europei, prima fra tutte quella italiana. È altresì innegabile che mentre può esistere un dovere morale di rispettare e proteggere il diritto alla salute, la sua inclusione in un definito ordinamento giuridico rappresenta a sua volta il punto di partenza per sancirne il riconoscimento attraverso specifiche norme che consentono di identificare i soggetti di quel diritto, i portatori dei doveri e le autorità necessarie per farlo rispettare. Il diritto sanitario internazionale, nonostante i suoi limiti, rimane una risorsa essenziale per raggiungere la salute globale con equità e giustizia.

In sintesi, affinché il diritto alla salute possa godere di un pieno riconoscimento, sono necessari approcci sinergici che richiedono azioni politiche, giuridiche, sociali, economiche, scientifiche e culturali miranti a far sì che esso possa essere stabilmente collocato nel novero dei diritti primari che coinvolgono le libertà personali e incorporato nei sistemi giuridici di tutti gli Stati.

Lo sviluppo di questo processo è tanto più urgente se consideriamo le drammatiche congiunture che stiamo attraversando. L’incombente minaccia costituita dai cambiamenti climatici in atto, l’esperienza pandemica non ancora del tutto risolta, la lunga teoria di conflitti armati che non hanno mai cessato di accendersi in tutti i continenti dal secondo dopoguerra – l’ultimo è a oggi il più pericoloso a causa delle sue possibili conseguenze per l’intero genere umano – rappresentano, infatti, le sfide formidabili che ci interrogano in modo ultimativo sulle scelte che intendiamo compiere per il nostro futuro.

In quest’ottica, lo sviluppo sostenibile, l’approccio One health, la giustizia sociale, l’equità e l’uso appropriato dell’innovazione scientifica e delle risorse umane, tecnologiche ed economiche dovrebbero rappresentare le risposte.

Il diritto alla salute globale è parte integrante di ciascuna di esse e richiede sforzi convergenti e volontà politiche certe e condivise da parte di tutti i governi perché esso possa essere considerato non solo un obiettivo concretamente raggiungibile, ma anche lo strumento necessario per riattivare quel cammino di costruzione di vera pace e vero progresso che, a oggi, sembra essere sempre più impervio.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

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Note

a La Ghs è incentrata sulla prevenzione, la rilevazione e la risposta alle minacce alla salute pubblica ed è desunta dalle International health regulations (Ihr) dell’Oms che forniscono lo strumento giuridico di diritto internazionale legalmente vincolante per i Paesi aderenti all’Oms che definisce diritti e obblighi nella gestione di eventi di salute pubblica internazionale. La Uhc, promossa dall’Onu nel 2012, si poneva l’obiettivo di garantire a tutti l’accesso senza discriminazioni ai farmaci essenziali e all’insieme dei servizi di prevenzione, cura e riabilitazione in modo sicuro, economico, efficace, con la garanzia che l’uso di questi servizi non esponesse i gruppi più poveri e vulnerabili sofferenza economica. L’Oms ha sposato entrambe le strategie, assegnandogli il medesimo livello alto di priorità.