Le criticità della sanità italiana e il necessario cambiamento di paradigma

Carla Collicelli1

1Cnr Ethics e Sapienza Combiomed; Componente della Consulta scientifica del Cortile dei Gentili.

Pervenuto il 15 giugno 2023. Non sottoposto a revisione critica esterna alla direzione della rivista.

Riassunto. Nel nostro Paese la pandemia da SARS-CoV-2 ha messo a dura prova le conquiste derivanti dall’istituzione di un sistema sanitario nazionale universale evidenziandone le criticità. Questo articolo vuole illustrare in primo luogo come le carenze legate alle risorse economiche, tecnologiche e umane insieme alle disuguaglianze nell’accesso ai servizi sanitari, ma anche il debole impegno nella preparazione e prevenzione delle pandemie unito alle problematiche nella cura delle persone fragili e dei malati cronici, hanno giocato un ruolo cruciale. In secondo luogo, l’articolo delinea il recente processo di revisione del sistema sanitario italiano, innescato dalla pandemia di SARS-CoV-2, che ha dato origine ad alcune importanti proposte di miglioramento che si spera producano i risultati attesi. Tra queste vi sono soprattutto: a) l’integrazione tra servizi sanitari della medicina clinica e di quella pubblica; b) lo sviluppo di politiche economiche, sociali e ambientali quali Health in all policies e One health; c) il rafforzamento qualitativo e quantitativo degli operatori sanitari; d) l’ulteriore sviluppo e diffusione dei supporti tecnologici; e) lo sviluppo di piani sanitari che coinvolgano il settore pubblico e quello privato operando in un rapporto coordinato, tenendo nella dovuta considerazione il principio di sussidiarietà al fine di fornire il miglior servizio alla collettività nel suo insieme.

Parole chiave. Integrazione socio-sanitaria, One health, universalismo sanitario.

Critical issues in the Italian healthcare system: the need of a paradigm shift.

Summary. In our country, the SARS-CoV-2 pandemic has put a strain on the achievements deriving from the establishment of the universal national healthcare system highlighting its critical issues. This article is intended to illustrate firstly how the shortcomings related to the economic, technological and human resources together with the inequalities in access to healthcare services, but also the weak commitment to prepare for and prevent pandemics combined with the issues in caring for frail and chronically ill patients have ended up playing a crucial role. Secondly, the article outlines the recent review process of the Italian healthcare system, triggered by the SARS-CoV-2 pandemic that gave rise to some important improvement proposals which will hopefully lead to the expected outcomes. These include, above all, five key-points: a) the integration between public and clinical health care services; b) the development of economic, social and environmental policies such as Health in all policies and One health; c) the reinforcement both in quality and quantity of the healthcare professionals; d) further spread and development of more advanced technologic supports; e) the development of healthcare plans including the public and private sectors acting in a coordinated relationship, taking duly into account the principle of subsidiarity in view of providing the best service to the community as a whole.

Key words. Health universalism, One health, social and health integration.

Introduzione

L’istituzione di un Servizio sanitario nazionale (Ssn) (pubblico e universale) nel 1978 costituisce uno dei momenti più importanti nella definizione degli assetti e delle politiche della Repubblica italiana, cui va ascritto il merito dei risultati raggiunti dal Paese in termini di prolungamento della vita e di lotta alle malattie. Purtuttavia è già a partire dalla fine degli anni Ottanta che diverse voci critiche hanno richiamato l’attenzione su alcune questioni e incongruenze del sistema riassumibili nei seguenti aspetti:

la difficoltà nel rispondere alla diffusione esponenziale delle patologie croniche;

i carichi crescenti delle famiglie per la cura dei disabili, dei malati cronici, degli anziani non autosufficienti;

la difficoltà a sostenere le spese di produzione dei servizi, per il costo crescente delle tecnologie e dei farmaci e per la crescita continua della domanda di prestazioni;

la difficoltà a raggiungere un equilibrio all’interno del sistema ambientale e societario che eviti il dramma della società “a somma zero”, nella quale da un lato si produce malattia e dall’altro si curano le patologie derivanti dalle cattive politiche;

il persistere, e in molti casi l’aggravarsi, di tante forme di disagio psicofisico, legate in particolare a condizioni di lavoro e di vita negative, cui si collegano anche l’abuso di sostanze psicotrope e la diffusione delle forme di ansia e della depressione;

la mancata realizzazione di un vero universalismo e i grandi squilibri territoriali tra aree diverse in termini di offerta sanitaria;

i ritardi accumulati nel tentativo più volte dichiarato di spostare le risorse impegnate dalla medicina in regime di ricovero a quella del territorio e dell’assistenza domiciliare.

Con il Trattato di Maastricht del 1993 gli obiettivi di salute sono diventati parte integrante delle politiche sociali europee, il che ha prodotto un particolare interesse per i temi della prevenzione, dell’informazione e dell’educazione sanitaria. Ed è a partire dal 2000 che le strategie di sanità pubblica e di prevenzione sanitaria hanno subito un ulteriore rafforzamento in ambito internazionale, specie a seguito delle indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), della Commissione europea, del Consiglio e del Parlamento europei, che hanno sollecitato l’adozione di iniziative, azioni e misure ispirate a principi di evidence-based prevention, di integrazione socio-sanitaria, di salute in tutte le politiche.

Ma un particolare impatto in termini di riflessione sulle criticità e di individuazione di forme più evolute e adeguate alla realtà sociale si è determinato con lo scoppio della pandemia da Covid nel 2020, che ha riproposto con maggiore incisività sfide vecchie e nuove: quella del “doppio carico di malattia” (double burden of disease), e cioè la crescita delle patologie croniche accanto a quelle acute; quella aggiuntiva della recrudescenza delle patologie da virus – di cui SARS-CoV-2 è l’esempio più drammatico; quella delle carenze rispetto alla tutela dei soggetti fragili (anziani, cronici, disabili); quella delle disuguaglianze e delle lacune territoriali; quella della mancata integrazione socio-sanitaria.

La pandemia ci ha costretto in altre parole a riflettere in maniera più approfondita di prima sulle sfide della sanità italiana, e sulla necessità di rivedere gli assetti dell’organizzazione sanitaria, in particolare per quanto riguarda la medicina del territorio. Come hanno scritto i medici dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo il 21 marzo 20201, in epoca di pandemia si è rivelata cruciale la funzione della medicina di comunità, in quanto accanto alle patologie croniche e alle disabilità, le epidemie provocano vere crisi umanitarie, e richiedono un approccio di popolazione e di territorio.

La qualità della sanità italiana e le criticità

Tutte le analisi di tipo valutativo sulle performance della sanità italiana2 concordano negli ultimi anni nel certificare l’alto livello qualitativo del nostro Ssn, e quelle più recenti hanno confermato la notevole capacità di risposta mostrata rispetto all’emergenza pandemica, in particolare per l’adesione della popolazione alle disposizioni e alla campagna vaccinale, e per l’impegno e la dedizione del personale sanitario, specie ospedaliero.

Nonostante l’impatto negativo della pandemia, molti indicatori confermano il buon livello qualitativo della sanità italiana rispetto al panorama internazionale, per durata della vita e condizione degli anziani con malattie croniche, e per gli investimenti realizzati sulla prevenzione, solo in parte oscurati dai dati storici negativi relativi al debole finanziamento pubblico – sotto la media europea – al peso significativo e crescente della spesa privata out of pocket a carico dei cittadini, e al non completo rispetto degli obiettivi di equità e universalismo.

Rispetto al buon livello qualitativo, basti dire che uno degli indicatori più importanti, quello dell’età media della popolazione, ci vede in posizione di punta, con i nostri 48 anni rispetto ai 44,4 dell’Europa a 27. La speranza di vita alla nascita, che era di 81,8 anni nel 2010, toccava gli 83,2 anni nel 2019 e, dopo la flessione del 2020, si attestava nel 2021 su 82,4 anni. L’indicatore di misurazione della salute percepita dagli anziani portatori di patologie croniche mostra invece un miglioramento lento e costante dal 2009 in poi, e un analogo miglioramento si segnala rispetto alla spesa sostenuta per l’indennità di accompagnamento, che solo tra 2011 e 2020 registra un aumento pari all’11,9%.

Per quanto riguarda i dati negativi, il dato più eclatante attiene alla spesa sanitaria in rapporto al prodotto interno lordo (Pil), sulla quale l’Ocse ci conferma, con il suo Rapporto 20213, un posizionamento dell’Italia nel 2020 medio-basso, con un valore complessivo del 9,7%, inferiore di 2 punti percentuali rispetto ai Paesi dell’Unione europea (UE) ante-1995 e superiore di 2,1 punti percentuali rispetto ai Paesi UE post-1995. Nella schiera dei Paesi europei storicamente associati all’Unione, solo Grecia, Lussemburgo e Irlanda registrano un’incidenza della spesa sanitaria nazionale rispetto al Pil inferiore a quella dell’Italia. La stessa fonte conferma anche il peso relativamente alto della spesa sanitaria privata in Italia. Nonostante l’esistenza di un Ssn pubblico e universalistico, la quota di finanziamento pubblico della spesa sanitaria in Italia è pari al 76,3% del totale, ed è tra le più basse d’Europa, la cui media è dell’80,8%, 81,7% per i Paesi ante-1995 e 74,4% per quelli post-1995. Il gap consiste quindi in 5,4 punti percentuali rispetto ai Paesi ante-1995 e in 1,8 punti percentuali rispetto ai Paesi post-1995, e riguarda la cosiddetta spesa di tasca propria (out of pocket) che i cittadini erogano prevalentemente a causa dei tempi di attesa nell’ambito del servizio pubblico, e solo in minima parte per motivi di confort (specie per coloro che possono godere di una assicurazione privata integrativa)4,5.

La debolezza del finanziamento pubblico della sanità italiana rispetto ai Paesi limitrofi si riflette nei comparti più importanti di impegno sanitario pubblico. Per quanto riguarda il settore ospedaliero, il tasso di ospedalizzazione in regime di acuzie era nel 2019 il più basso d’Europa, pari a 100,8 ricoveri per mille abitanti, con una riduzione registrata tra 2010 e 2019 del 18,9%, pari a 23,6 ricoveri per mille abitanti. Lo scarto tra Italia e Paesi dell’Europa continentale è molto accentuato: Svezia, Irlanda e Lussemburgo hanno tassi di circa il 30% superiori a quello italiano, e Germania, Austria e Lituania di più del doppio superiori. Per esempio la Germania registra un tasso del 234,6 ricoveri per mille abitanti.

Altrettanto critica è la situazione ospedaliera per quanto riguarda il rapporto tra posti letto dedicati alla long term care (Ltc, la cura a lungo termine per le patologie croniche) e anziani residenti. Nel 2019 l’Italia registrava meno di 2 posti letto ogni 100 anziani residenti, collocandosi in Europa al di sopra solo di Polonia e Lettonia, e fortemente distanziata da tutti gli altri Paesi, comprese la Lituania e la Spagna.

Particolarmente gravi si presentano le differenze territoriali e sociali nei risultati e nei servizi. Per esempio, per quanto riguarda la speranza di vita alla nascita, al valore medio di 82,4 anni del 2021 corrispondono valori di 82,9 nel Nord, 82,4 nel Centro e 81,3 nel Sud. Altrettanto differenziata risulta la spesa sanitaria pubblica pro-capite rispetto alla popolazione, pari a una media annua nazionale nel 2020 di euro 2.070, e che si differenzia notevolmente a livello regionale con punte massime in PA di Bolzano, PA di Trento, Valle d’Aosta e Liguria. La distanza tra il valore minimo e quello massimo di spesa sanitaria pubblica pro-capite nel 2020 risulta, sulla base dei dati della Ragioneria Generale dello Stato, del 34,8%, pari a euro 681,3. Escludendo le regioni a statuto speciale, la differenza tra minimo e massimo è pari al 14,7% (euro 287,5).

Per quanto riguarda l’assistenza domiciliare, le regioni che nel 2020 offrono una maggiore copertura sono l’Abruzzo, con il 4,4% degli over 65 e il 7% degli over 75, la Sicilia, il Veneto, la Basilicata e l’Emilia-Romagna. Le coperture più basse si registrano in Valle d’Aosta, Calabria, Puglia, Lazio e Bolzano. E lo scarto è davvero molto accentuato6.

Analoghe differenze vengono registrate sul versante dell’accesso alle cure, alla prevenzione e alla spesa farmaceutica pro-capite. Una importante pubblicazione a cura dell’Istituto nazionale della medicina della povertà (Inmp) descrive in maniera dettagliata l’insieme delle disuguaglianze, sia quelle storiche sia quelle indotte dall’epidemia rispetto alla salute e alla sanità in termini di liste di attesa, disturbi psichici, equità di accesso e di percorso, problematiche relative alla componente straniera della popolazione e a quella economicamente più svantaggiata7.

Molti altri dati sarebbe possibile citare a documentazione delle differenze di performance e qualità dei servizi sanitari nelle regioni italiane. Una valutazione sintetica delle differenze regionali è rilevabile dal calcolo dell’Indice sintetico di performance sanitaria regionale prodotto ogni anno da Crea-Sanità8. Rispetto al complesso delle dimensioni analizzate dallo studio (equità, esiti, appropriatezza, innovazione, dimensione economico-finanziaria), nella edizione 2021 Crea-Sanità registra una oscillazione dell’indice tra il 61% del valore massimo (relativo alla PA di Bolzano) e il 21% (relativo alla regione Calabria).

Volendo riportare una indicazione di sintesi rispetto al posizionamento dell’Italia in sanità a livello europeo, risulta particolarmente utile l’indice sintetico calcolato dall’ASviS per l’anno 2019 rispetto all’Obiettivo 3 dell’Agenda Onu per lo sviluppo sostenibile, che colloca il nostro Paese in posizione leggermente al di sopra della media dei Paesi dell’UE (figura 1)9.




L’impatto della pandemia

La pandemia da SARS-CoV-2, con il suo lungo decorso e lo stato di emergenza che ha determinato, ha dato vita a un aumento del finanziamento pubblico e delle borse di specializzazione per medici, secondo molti non del tutto sufficiente. Ma al contempo si sono verificati:

il forte aumento della mortalità, inferiore solo a quella registrata nel secolo scorso nel primo anno della prima guerra mondiale e nel corso della pandemia da “spagnola” del 1918;

un arretramento della speranza di vita alla nascita, che passa dagli 83,2 anni medi del 2019 agli 82,3 del 2020, per poi ricominciare a salire nel 2021;

la riduzione dei posti letto in degenza ordinaria per acuti rispetto alla popolazione, nell’ordine del 13,5%;

il peggioramento degli stili di vita, in particolare per il consumo eccedentario di alcol, che sale dal 15,8% al 16,8%, e il fumo di tabacco, che sale dal 18,7% al 18,9%, ambedue dopo un lungo periodo di trend discendente, e per l’obesità (+ 1% rispetto all’anno precedente), che ha portato l’incidenza dell’eccesso di peso nella popolazione italiana al valore del 45,9%, dopo alcuni anni di sostanziale stabilità;

le conseguenze subite a livello di altre patologie, con il forte aumento di quelle psichiatriche e del disagio psicologico, specie tra gli adolescenti, e il peggioramento dal punto di vista della prevenzione e della tempestività e appropriatezza delle cure per molte patologie importanti, a seguito dell’intasamento delle strutture ospedaliere e del blocco delle prestazioni ordinarie richieste da pazienti non Covid.

Se si guarda al lavoro di sintesi statistica realizzato dall’ASviS a livello nazionale (che fa da pendant a quello europeo del paragrafo precedente), si può verificare come, dopo un andamento complessivo relativamente all’Obiettivo 3 dell’Agenda dell’Onu (Salute e benessere) al 2019 in costante miglioramento, anche se in forma molto rallentata rispetto a quanto necessario (figura 2)9, con il 2020 la curva dell’indice nazionale mostra un’evidente flessione verso il basso, causata da alcuni andamenti negativi che si registrano in quell’anno per gli indicatori considerati dallo studio.




La pandemia ha messo in sostanza a nudo le lacune e le inadempienze del Ssn italiano segnalate anche in precedenza, in particolare per quanto riguarda i posti-letto per abitante, rivelatisi insufficienti, la copertura degli organici, specie infermieristici, la medicina e sanità territoriali ed extra-ospedaliere, l’integrazione socio-sanitaria, la diffusione della telemedicina, le differenze di performance tra regioni e territori. E vi ha aggiunto il carico della nuova complessità epidemiologica e gestionale determinatasi a causa della crisi epidemica. E ciò si è riverberato sull’abbassamento dei livelli di performance e di risposta ai bisogni.

Gli spunti innovativi

La situazione descritta ha fortemente contribuito a stimolare lo sviluppo di un dibattito e di una azione istituzionale, sia a livello mondiale che europeo che italiano, molto più vivace che in passato10. Sulla base dello slogan rapidamente diffusosi tra gli organismi internazionali, e poi ovunque, della necessità di una “resilienza trasformativa” per uscire dalla crisi pandemica migliori di prima, abbiamo assistito e stiamo assistendo ancora oggi a diverse espressioni davvero inedite di interesse e di impegno propositivo rispetto all’individuazione di strumenti e modelli per affrontare le lacune e le criticità dei sistemi di salvaguardia della salute in giro per il mondo. Particolarmente importante a livello europeo è stato ed è il Piano next generation EU (NG EU)11, lanciato dalla Commissione europea a gennaio 2020, e tradotto poi in Italia con le linee progettuali di intervento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)12, approvato nella sua forma definitiva a luglio 2021.

Dal punto di vista dei principi del diritto alla salute, lo stato dell’arte che si è venuto a determinare è caratterizzato dall’indicazione di una serie di spunti innovativi di riflessione per quanto riguarda il governo della salute, che è possibile riassumere nelle seguenti proposizioni.

1. La salute va promossa e sostenuta attraverso una politica del benessere, della qualità della vita, della coesione comunitaria integrata, che si basi sui principi della “Salute in tutte le politiche” – casa, città, scuola, lavoro, ambiente, clima – e di One health. Di particolare interesse a questo proposito risulta il recente schema di decreto del ministro della Salute (ai sensi dell’articolo 27, comma 5 del decreto legge 30 aprile 2022, n. 36) «di individuazione dei compiti dei soggetti che fanno parte del Sistema nazionale prevenzione salute dai rischi ambientali e climatici (Snps)», inviato il 17 maggio 2022 dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per gli Affari regionali e le Autonomie, alle Regioni, con l’intento di istituire Sistemi regionali (Srps) basati sull’approccio One health nella sua evoluzione Planetary health».

2. Rispetto alla situazione delle disuguaglianze e delle differenze territoriali, si sta ragionando sul tema della continuità assistenziale da realizzare sia attraverso forme di collaborazione tra i diversi professionisti integrati in un quadro unitario (lavoro in team, elaborazione e implementazione di percorsi diagnostico-terapeutici condivisi ecc.), sia come continuità tra i diversi livelli di assistenza soprattutto nel delicato rapporto tra ospedale e territorio. Gli interventi necessari prevedono dunque l’investimento in infrastrutture e strutture più sostenibili non tanto economicamente quanto rispetto alle nuove esigenze.

3. Il tema delle connessioni è in questo contesto di fondamentale importanza, e lo sta diventando sempre più, non solo in considerazione delle diverse anime del sistema di welfare e degli apparati di salvaguardia della salute, ma anche rispetto alla separazione tra culture, discipline, ideologie e territori, che mette a dura prova l’intero sviluppo globale. Mentre occorre puntare sulla connessione tra governi e Paesi per la creazione di una piattaforma comune di valori condivisi come punto di riferimento per le decisioni da prendere, in Italia (tra Regioni), in Europa (tra Paesi) e nel mondo (tra continenti e aree geopolitiche). E le connessioni vanno ricercate anche nella collaborazione necessaria fra le tre anime principali della società contemporanea (statualità, socialità e mercato), e nel superamento delle contrapposizioni tra settore pubblico e settore privato, tra vita privata e vita lavorativa, e tra primo, secondo e terzo settore economico, come nel rapporto tra discipline scientifiche e relativi ambiti applicativi.

4. Per quanto riguarda l’organizzazione dei servizi sanitari, dagli obiettivi del Patto per la salute per gli anni 2019-2021, e in particolare, da quelli relativi allo “Sviluppo dei servizi di prevenzione e tutela della salute. Sviluppo delle reti territoriali. Riordino della medicina generale”, strettamente correlati con il Piano nazionale della cronicità, con il Piano di governo delle liste di attesa e con il Piano nazionale della prevenzione, discende l’importanza della «implementazione e integrazione dei flussi informativi necessari per un effettivo monitoraggio dell’assistenza territoriale, completando il sistema con i flussi delle cure primarie, della riabilitazione e degli ospedali di comunità e dei consultori familiari».

Come rimarcato dall’ASviS nel documento “Per un pacchetto di investimenti a favore dello Sviluppo Sostenibile delle città e dei territori”13, le proposte di realizzazione di strutture sanitarie territoriali del tipo di quelle previste dal Pnrr erano già state formulate in passato in termini di funzioni e requisiti derivanti dagli obiettivi di presa in carico sanciti dalle norme e, in particolare, dai decreti legislativi n. 229/1999 e dalla L. n. 328/2000. Case della salute o Presidi territoriali di assistenza (Pta). Ospedali di comunità, Punti unici di accesso sociali e sanitari, Centrali operative distrettuali e Hospice sono tutte realtà di cui si è a lungo dibattuto e che esistono già in forme varie e con nomi differenti in molte realtà regionali. L’interpretazione operata dalle regioni rispetto alle modalità di realizzazione di queste strutture è anzi spesso alla base della variabilità tra regioni e territori di cui abbiamo detto.

Gli obiettivi del Pnrr

Sulla base del NG EU, il Pnrr italiano, basato su uno stanziamento di 191,5 miliardi di euro, prevede un pacchetto di investimenti e riforme articolato in 6 Missioni: Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura (con 40,32 miliardi); Rivoluzione verde e transizione ecologica (59,47 miliardi); Infrastrutture per una mobilità sostenibile (25,40 miliardi; Istruzione e ricerca (30,88 miliardi); Inclusione e coesione (19,81 miliardi); Salute (15,63 miliardi).

Decisamente significativa per l’efficienza e l’efficacia del sistema della sanità italiana è l’azione di realizzazione del Piano per la sua parte dedicata alla sanità e al sociale. Per quanto riguarda salute e sanità, la Missione 6 si articola in due componenti:

1. le Reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina, e in particolare le Case di comunità (CdC) e gli Ospedali di comunità (OdC), il rafforzamento dell’assistenza domiciliare e l’integrazione socio-sanitaria;

2. le azioni di innovazione, ricerca e digitalizzazione del Ssn, con l’ammodernamento delle strutture tecnologiche e digitali, il completamento del Fascicolo sanitario elettronico (Fse), il monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza (Lea), l’aumento degli investimenti in ricerca, il rafforzamento e potenziamento della formazione del personale.

Rispetto a questo impianto, decisamente significativo, rimane in ombra a oggi l’effettiva capacità di attuazione del Piano nel rispetto dei tempi previsti. In particolare molti osservatori hanno notato che gli obiettivi lanciati dalla Missione 6 del Pnrr, e in generale la revisione delle politiche per la salute su una base di One health, hanno bisogno di personale qualificato in numero sufficiente. Secondo il Mef l’effetto del Pnrr sull’occupazione sarà positivo nella misura del 3,2% e secondo il progetto Re-Start del gruppo Adecco si avrà un aumento di occupate donne pari a 38.000 unità e di giovani pari a 4.000. Ma i calcoli relativamente alle carenze degli organici ospedalieri e al fabbisogno di personale infermieristico, sia per le strutture già esistenti sia per le nuove strutture da creare, indicano cifre ben più alte. Per non parlare della necessaria formazione per i nuovi assunti, specie quelli da inserire nel nuovo assetto.

Oltre a ciò, la complessità del sistema di governance della sanità italiana fa temere che la corretta realizzazione del Piano sia messa in difficoltà da: un troppo debole coordinamento tra diverse Missioni all’interno del Pnrr, e soprattutto tra progetti e azioni del Pnrr e altri Piani e Programmi, e di riflesso tra fondi e stanziamenti straordinari e fondi ordinari; una attuazione squilibrata degli obiettivi e delle Missioni tra regioni e territori; la difficoltà della attuazione di un monitoraggio e di una valutazione di impatto delle azioni intraprese, come peraltro richiesto da NG EU; gli intoppi burocratico-amministrativi che potrebbero frapporsi alla attuazione delle misure e degli stanziamenti.

L’urgenza degli investimenti previsti non deve inoltre far passare in seconda linea la questione di un riordino strategico complessivo della sanità italiana, in particolare per quanto riguarda la sanità territoriale, la medicina di base e il ruolo dei medici di medicina generale (Mmg), e il coordinamento con i referenti del mondo del no profit e della sanità privata.

Condizione per una realistica soluzione del problema è che si tenga conto di tutte le forze in gioco e di tutti i soggetti che in qualche modo già contribuiscono alla tenuta del sistema, in particolare per quanto riguarda i tanti aspetti e le diverse esigenze disattese dal sistema pubblico. Non potrà esservi sostenibilità del sistema della salute, infatti, senza la valorizzazione del ruolo del terzo settore, che tanta parte ha nella individuazione di particolari categorie di bisogno e nel sostegno alle famiglie per l’integrazione socio-sanitaria.

E non potrà esservi sostenibilità nella salute se non si valorizzerà la mole ingente di risorse messe in campo dalle famiglie di tasca propria, cui si aggiungono le risorse altrettanto ingenti che provengono dall’Inps. Da cui l’esigenza di immaginare e mettere in campo strumenti e regole nuove, che pongano le basi di una valorizzazione eticamente fondata dell’impegno e delle risorse impiegate dalle famiglie e dei pazienti, attraverso i diversi canali pubblici e privati di finanziamento delle cure. In altre parole è evidente la necessità di procedere verso interventi di riforma che sappiano guardare lontano, con occhi scevri da pregiudizi, e verso soluzioni dalla robusta valenza etica, ma anche dalla chiara praticabilità e sostenibilità, dopo una stagione nella quale abbiamo assistito a un ritardo nell’adeguamento del sistema di welfare alla nuova situazione.

Il problema del personale

La pandemia ha contribuito a confermare il valore del capitale umano in sanità. La risposta pronta e incisiva delle strutture allo scoppio della pandemia e la tenuta del sistema sanitario italiano attraverso le diverse ondate non sarebbero state possibili se non fossero state animate dall’impegno e dalla competenza del personale. Nell’affrontare il tema di un rilancio e di un ripensamento degli assetti del nostro sistema della salute, occorre quindi partire dalla constatazione del valore del capitale umano per la qualità delle cure e per il funzionamento del sistema, e dalla necessità di sostenerlo e rafforzarlo.

In termini di rafforzamento occorre partire dal gap italiano per quanto riguarda la dotazione degli organici sanitari, specie quelli infermieristici, di cui si è già detto. Se infatti il numero di medici sulla popolazione generale è simile a quello della media dei Paesi europei più grandi (Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna), e cioè 4,06 medici per mille abitanti in Italia contro 3,58 per mille, gli infermieri sono in Italia 5,49 per mille abitanti, contro un valore medio del 9,42 per mille dei suddetti Paesi. Se poi confrontiamo l’entità del personale con quella della popolazione anziana, la situazione italiana risulta particolarmente svantaggiata, con 47,45 infermieri per mille abitanti over 75, contro i 97,55 dei 4 Paesi considerati; e 35,06 medici per mille abitanti over 75, contro i 37,52 dei 4 Paesi14.

A questo gap vanno aggiunti la contrazione nel recente passato del personale medico del Ssn, pari a 532 mila unità nel periodo 2017-2018, l’invecchiamento progressivo, che porterà da qui a 10 anni al pensionamento di almeno 133 mila medici, e in generale le previsioni negative sui flussi in uscita negli anni a venire anche al di là di quelli determinati dal pensionamento. Secondo la Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnom), a seguito della pandemia è fortemente aumentato lo stress lavoro-correlato15, e un terzo dei medici dichiara che andrebbe in pensione anche subito. Secondo l’Associazione dei medici dirigenti (Anaao Assomed16) si sono avute nel solo comparto ospedaliero 2-3 mila uscite all’anno tra 2020 e 2021, e si prevede un esodo di 40 mila unità entro il 2024 per pensionamento ma anche per dimissioni a causa di burn-out e stress. Secondo stime recenti, mancherebbero in Italia già da molti anni almeno 63 mila infermieri, la cui carenza sarebbe aumentata ora a seguito dell’emergenza pandemica fino al valore di 100 mila unità.

Senza entrare nel merito delle differenze retributive, che vedono anch’esse medici e operatori sanitari italiani in netto svantaggio rispetto ai colleghi europei, i dati citati sono un segnale chiaro rispetto alla necessità di riconsiderare il ruolo del capitale umano in sanità, vera colonna portante del sistema, indispensabile sia per reggere ulteriormente nel tempo l’impatto delle criticità vecchie e nuove, sia per far fronte ai nuovi servizi e strutture che verranno messi in piedi grazie agli investimenti previsti dalle Missioni 5 e 6 del Pnrr. Ambedue essenziali per un rilancio innovativo del sistema, ma ambedue legati per la loro buona riuscita alla disponibilità di personale sufficiente, motivato e preparato17.

E al di là dei numeri, è importante considerare anche gli aspetti qualitativi delle professioni sanitarie, innanzitutto rispetto ai cambiamenti intervenuti dal punto di vista della clinica e della organizzazione sanitaria, prima fra tutti la interdisciplinarietà necessaria sia tra le diverse specializzazioni mediche sia rispetto alle altre professionalità sanitarie e sociali. Questo tipo di cambiamenti impongono che si intervenga in termini innovativi sul percorso formativo degli operatori della salute, per esempio con l’introduzione della formazione interprofessionale (Fip), da tempo consigliata a livello mondiale e attuabile sia sul posto di lavoro, sia in appositi contesti didattici, sia anche in collegamento con il modello delle reti clinico-assistenziali.

Ed è altrettanto di vitale importanza lavorare sui modelli organizzativi interni alle strutture sanitarie nelle quali opera il personale sanitario. È ormai noto come il passaggio da organizzazioni sanitarie fortemente burocratizzate e basate su una gerarchia di tipo verticale ad aziende basate su un management “diffuso” sia un passaggio assolutamente necessario, se si intende rispondere alle sfide sempre più complesse della salute. Per ciò che attiene alla governance multilevel, le principali criticità espresse dai dirigenti sanitari di medio livello emergono nel rapporto tra management apicale e middle management18 e i problemi più frequentemente additati dal personale sanitario sono relativi all’organizzazione, alla comunicazione, alle relazioni umane e allo lo stress lavoro correlato (60,3%). Le soluzioni indicate dai diretti interessati riguardano soprattutto la necessità di sviluppare forme di leadership costruttiva (riconoscimento delle competenze, chiarezza delle funzioni e dei ruoli, prevenzione dei conflitti) per il 76,1% dei rispondenti.

Conflitto di interessi: l’autrice dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

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