Undecimo: non denunciare


Caro direttore,
come potrebbe essere accettata – e non solo dai medici – una legge che li esonera dal segreto professionale nei riguardi di pazienti immigrati privi del permesso di soggiorno?
La norma, che ne consentirebbe (ed anzi, se l’immigrazione clandestina venisse rubricata a reato, ne imporrebbe) la denuncia, oltre che contraddire l’articolo 365 del Codice Penale, snaturerebbe la funzione del medico.
Nel caso, infatti, come sta già accadendo, si propagasse tra questi pazienti il timore di venire segnalati quali irregolari (imputabili di reato), proprio noi medici, noi che assistendo anche un solo malato proteggiamo la salute di tutti, richieremmo una rilevante misura di corresponsabilità per il probabile incrementato diffondersi di patologie incontrollate: molti casi di tubercolosi, di sifilide, di infezione HIV non verrebbero alla luce e – non curati – costituirebbero un ingravescente (perché occulto) pericolo sociale. E quante vaccinazioni eluse o scorrette, quante interruzioni di gravidanza in condizioni inidonee? Quante inappropriate automedicazioni, foriere di effetti avversi?
Esiste, dunque, un rischio concreto di menomare il controllo sanitario del territorio se e quando venisse meno quella fiducia che è presupposto primario nel rapporto medico-paziente. Chi rimetterebbe, infatti, i propri disagi, le proprie sofferenze, le proprie speranze nelle mani di qualcuno della cui riservatezza professionale potesse dubitare?
Noi non siamo meri tecnici riparatori di organi: siamo persone che si prendono cura di altre persone e come primo dovere abbiamo quello di rispettarne l’individualità biologica e biografica. Ed a questo obbligo siamo chiamati a ottemperare, anche a costo di pressioni, blandizie o isolamenti che, c’è da prevederlo, una volta effettiva la legge in questione, non faciliterebbero il nostro agire.
Il richiamo alla nostra coscienza, contenuto nel disegno di legge, ha l’aria di un surrogato pleonastico, se non quello d’una giustificazione di facciata. Ben conosce infatti, il buon medico, i comandamenti ippocratici: «Ordinerò ai malati il regime conveniente secondo i miei lumi e il mio sapere. Li difenderò da ogni nocumento e ingiustizia». Occorre – forse – aggiungere: «E non li denuncerò»?

Maria Luisa Ferrazzi