Grattando ghiaccio dalla macchina d’inverno

Vittorio Fontana1

1Medico geriatra, Ospedale Bassini, Cinisello Balsamo (Milano).

La macchina nel parcheggio dell’ospedale si è trasformata in un igloo, completamente coperta di uno strato spesso di ghiaccio che gratto via con le ultime forze. È stata una notte buia e tempestosa, avrebbe detto Snoopy. Barba lunga, cappuccio calato sulla testa perché mi si gelano le orecchie, scaldacollo, guanti e doppie calze. Invecchiando sono diventato freddoloso. Ma farebbe freddo davvero anche se fossi più giovane.

Sono invecchiato così, grattando ghiaccio dalla macchina d’inverno, anno dopo anno, Natale dopo Natale. Salgo in macchina e accendo l’aria calda al massimo. Ho sempre paura che per lo shock termico il parabrezza vada in frantumi, ma non è mai successo: quindi lo rifaccio fidandomi dell’esperienza accumulata. E anche questa volta non succede.

Cosa altro ho imparato in tutti questi anni? Oltre che il parabrezza non si frantuma anche se gli soffi sopra aria calda a tutta manetta? Ma poi sarà così per sempre? Che certezza ne ho, anche dopo tutti questi anni? Sono domande da non farsi. Tutto sommato la macchina si accende e va, sono solo pochi chilometri da qui a casa, giusto il tempo di non pensare a niente, accendere la radio e parcheggiare sotto casa se ci fosse un parcheggio. Non c’è quasi mai naturalmente.

La mia vita sta tra un posto dove non vorrei stare più ma almeno c’è parcheggio e un posto in cui vorrei rimanere rintanato più a lungo possibile se solo riuscissi a parcheggiare. È il viaggio che conta sento dire, come se potessi rimanere sospeso nel tragitto senza arrivare mai dall’una o dall’altra parte. Questo è il viaggio che mi posso permettere, mentre le luci di Natale dondolano sotto un po’ di vento freddo. Spero solo che le abbiano fissate bene.

Bussano al finestrino mentre riparto, c’è un tizio che dice che non ho risposto alla domanda che mi sono fatto: cosa ho imparato in tutti questi anni? Tiro giù il finestrino e gli do due euro, così per abitudine. Gli chiedo se possa continuare a farsi i cazzi suoi come ha sempre fatto. Dice che è la mia coscienza e che devo farla salire in macchina. Schiaccio il pulsante di chiusura delle portiere e mi allontano. Ci manca solo la coscienza che ha voglia di parlare, che poi finisce che torno a casa e non riesco a dormire, poi domani ho un altro turno e passo a riprenderla.

Il barbone ubriaco che ha chiesto un posto al caldo per dormire si è tirato su, ha dormito tutta la notte, si è pure tolto le scarpe e l’aria era davvero irrespirabile ma passando vedevo il suo torace salire e scendere, mi bastava capire che fosse vivo. Ora sta raccogliendo dei cartoni e ha rimesso le scarpe, due grosse sneaker senza lacci e si incammina sul viale che sto percorrendo prima del semaforo. Al triage ha detto di essere Babbo Natale e che le cose non stavano andando benissimo. Come dargli torto? Ha anche detto di essere Karl Marx e che il capitalismo aveva mostrato tutti i suoi limiti. Gli abbiamo preso i parametri vitali, a Karl Marx, e andavano bene, anche la glicemia era in ordine. Gli abbiamo messo un codice bianco tanto poi non paga lo stesso, è indigente. Ora sta lì a parlare con la mia coscienza, li vedo dallo specchietto, chissà cosa hanno da dirsi. Fatti loro.

Oh ragazzi, c’è un’altra cosa che volevo dirvi. Hamed, invece, aveva 500 di glicemia che non lo avremmo mai detto, parlava poco italiano, alto nero grossissimo, sembrava un po’ stanchino come alla fine di una lunga corsa, così c’è venuto il dubbio, grosso com’era, e il suo pH non scherzava stava sui 7, uno più piccolo e bianco come me sarebbe già morto, lui no, lo portava bene. Con la flebo di insulina ha ripreso piano piano a sorridere e ha ringraziato, vedi un po’.

Poi c’erano tante altre persone, ricordo solo questo, gente che non stava bene, e altre che non sapevano cosa fare. Una ragazza aveva un labbro gonfio per un herpes labialis, solo diciannove anni e una gravidanza alla settima settimana. Era venuta in pronto soccorso di notte per un herpes labialis, io questa volta non mi sono chiesto perché. Dispnee buttate lì come al discount, non tutte da ricoverare.
A un certo punto abbiamo tagliato un panettone e bevuto lo spumante e mi è venuta un po’ di acidità. Babbo Natale e Karl Marx, che poi erano la stessa persona, ha brindato da lontano con un bicchiere immaginario alzato verso di noi e ha detto “la sanità pubblica è finita”. Gli ho chiuso il verbale perché non avevo voglia di pipponi ideologici. Ho dimesso lui e la sua critica al capitalismo, le sovrastrutture, il plusvalore (a proposito devo ripassare quel capitolo che mi sfugge sempre). Ho chiuso tutti i verbali e mi sono dato al privato.

Buon Natale, caro vecchio Servizio sanitario nazionale.