Libri
Arte e politica della scienza
«Voglio che tutto ciò che mira
a stabilire rapporti intellettuali
e a liberare le menti,
si diffonda nelle moltitudini
e passi dall’una all’altra bocca»
Francesco Bacone
Il presidente USA ha recentemente restituito al mondo scientifico la possibilità di sperare nell’impiego terapeutico di cellule staminali. Un autorevole sostenitore degli studi in tale ambito è stato, e continua ad essere, Harold Varmus, poliedrica figura di scienziato-umanista, Nobel per la medicina 1989, chiamato, a suo tempo, dall’amministrazione Clinton alla direzione dei National Institutes of Health; successivamente, alla presidenza del Memorial Sloan-Kettering Cancer Institute e divenuto co-presidente – su nomina di Barak Obama – del Council of Advisors on Science and Technology. Jeffrey D. Sachs, direttore di Earth Institute, lo ha definito «scienziato e politico globale, costruttore di ponti tra scienza e società, ponti idonei a traghettare soluzioni storiche per i più gravi problemi del pianeta». È, peraltro, singolare che  Varmus abbia deciso di dedicarsi alla medicina assecondando una vocazione successiva ad una eccellente laurea e specializzazione in letteratura inglese, a riprova del superamento delle “due culture” di snowiana memoria. Ci sintetizza, egli stesso, tale itinerario, in un capitolo introduttivo del volume: Harold Varmus. The art and politics of sciences. Pagine 316.  Norton & Co., New York-London 2009. Sterline 16.99. ISBN 978-03-93-061-284. Sono pagine che, coniugando elegantemente scienza e biografia, illustrano temi e schiudono orizzonti di grande importanza per la salute umana. Quindici capitoli distribuiti in quattro sezioni: dagli studi sui retrovirus e sul loro ciclo di replicazione, al ruolo dei proto-oncogeni nell’origine dei tumori, dalla terapia mirata della leucemia mieloide cronica alla esperienza di direzione dei NIH, con quell’imbarazzantissimo invito alla Casa Bianca, fine gennaio 1998, fianco a fianco di Hillary Clinton, mentre il presidente-marito (nel corso del discorso sull’Unione) andava arrampicandosi per gli impervi sentieri dell’affare Lewinsky.



Eventi, fatti, aneddoti, fino – nella sezione conclusiva – alle pagine sulle promettenti prospettive della clonazione embrionale, sulle staminali, su scienza globale e salute per tutti. Grande merito di Varmus è, infatti, anche quello di aver sensibilizzato e promosso provvidenziali interventi per affrontare riemergenti calamità epidemiche (quali la malaria) in numerosi paesi del terzo mondo. Egli si è sempre impegnato in sfide tanto ardue quanto nobili, sfide che richiedono, sì, ingenti risorse umane e finanziarie, ma che non possono, a monte, prescindere da motivazioni di respiro planetario e di lungimirante coraggio. A tale passione, l’Autore aggiunge il pregio di una scrittura ammaliante per pudica semplicità: qualità tipiche di un protagonista della scienza contemporanea. Varmus lo è, pure per la sua capacità di grande divulgatore, che gli consente di trasmettere gli aspetti non solo nozionistici, ma soprattutto concettuali della scienza, cioè la visione del mondo che ne è sottesa, non confondendola ed evitando di farla confondere troppo spesso con le sue singole, specifiche applicazioni biotecnologiche.
Consapevole della distanza che permane tra scienza e opinione pubblica, distanza cui non sono estranei, talvolta, atteggiamenti paternalistici o classisti di medici e ricercatori, il nostro ha, al contrario, improntato pensieri ed opere a principî di condivisione e di informazione continua per il bene comune. Ne è esempio paradigmatico l’impegno per l’“open access” alle fonti bibliografiche online, ed ancor prima il biasimo per l’occhiuto e speculatorio monopolio editoriale nel mercato dei periodici scientifici. Si legga, al proposito, nella pagina 253: «È chiaro che questo tipo di protezionismo è un ottimo affare per aziende editoriali multinazionali, come la Reed-Elsevier, le quali hanno il potere di far infuriare me e, come me, altri – non pochi – studiosi. Elsevier possiede centinaia di testate nelle diverse aree scientifiche, alcune eccellenti (come “Cell”), altre meno; ma combinando pacchetti preconfezionati di abbonamento, strategie di scala, astronomici canoni per sottoscrizioni istituzionali, riesce a chiudere i bilanci con profitti assai remunerativi per i propri azionisti, ma con vantaggi molto minori – dal punto di vista culturale – per i lettori». Infatti – prosegue a pagina 254 – «al di fuori del mondo industrializzato è quasi impossibile accedere a tali periodici, ad eccezione di quelle scarse (e quasi sempre arretrate) copie che arrivano, in ritardo e senza regolarità, a pochi fortunati leader».
Da tale rammarico e da questi propositi nacque ed ebbe florido impulso – agli inizi del terzo millennio – la Public Library of Science (PLoS), istituzione di libera e liberale diffusione biblio-scientifica.
Soci fondatori: Harold Varmus, Pat Brown e Mike Eisen; principio fondativo: nessuna collaborazione autoriale o commerciale con riviste che non abbiano consentito a depositare i propri contenuti su PubMed Central. L’open access prevede, infatti, che l’accesso ai contenuti di una rivista sia possibile gratuitamente da parte di qualsiasi utente. Inoltre, nella interpretazione più rigorosa, prevede che il copyright dei contenuti pubblicati sia regolato dalle norme del manifesto dei Creative Commons: il diritto sui contenuti resta all’autore, ma chiunque può utilizzare testi e immagini a patto di citare correttamente e in modo esaustivo la fonte. Questo significa che saremo liberi di riprendere – traducendolo o meno – un contributo pubblicato, per esempio, su PLoS Medicine o su una delle oltre 150 riviste del gruppo Bio Med Central: basterà citare la fonte, non alterarne il contenuto e citare in modo evidente chi è l’autore. Un grande passo per la libera circolazione dell’informazione biomedica e per il progresso dell’interscambio culturale.
Punto d’arrivo e, insieme, punto di partenza. Ben opportuna suona, dunque, l’epigrafe – di Antonio Panizzi, il primo bibliotecario del British Museum – posta in esergo dell’ultimo capitolo “Science publishing and sciences libraries in the internet age” (pagina 242): «Vorrei che anche uno studente povero e senza protezioni privilegiate avesse l’opportunità di appagare i suoi interessi di lettore, di perseguire obiettivi, di accedere ad autori, di approfondire problemi in misura uguale a quella di cui può disporre la persona più ricca del nostro regno».

Alice Morgan
Per un mondo che invecchia
«La nostra filosofia è che le persone anziane
vogliono restare a casa loro,
tra le loro cose ed i loro ricordi.
Noi riteniamo che è lì che devono stare,
è lì che si sentono tranquilli e a loro agio»
Ministero Britannico della Sanità, anno 1969
Sta verificandosi una crescita esponenziale della popolazione planetaria ultrasessantenne, soprattutto nelle regioni maggiormente vulnerabili da catastrofi naturali o afflitte da guerre o guerriglie. Tuttora sono tangibili le conseguenze dell’ondata di caldo che ha fiaccato l’Europa nel 2003 e dell’uragano Katrina che ha devastato New Orleans nel 2005. Meno nota, ma non meno grave, è la situazione dei paesi in via di sviluppo. Tuttavia, si manifestano segnali di migliore attenzione nei confronti della loro povertà e dei loro bisogni. Così come era stato raccomandato dal Piano d’azione internazionale di Madrid a favore della popolazione anziana (2002). Esso sanciva un’intesa atta a garantire adeguati livelli di alimentazione, di assistenza igienico-sanitaria, di abitazioni e di servizi primari, in occasione di, e successivamente a, calamità atmosferiche o eventi devastanti per la comunità.



Sulla scorta di tali principî, a partire dal 2009, organismi intergovernativi e anche organizzazioni non governative, mobilitati nel quadro di un’attività internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite, cominceranno a formulare direttive concrete per l’elaborazione di politiche ed interventi specificamente a favore dell’età avanzata. Sono iniziative imposte da evidenze ingravescenti. “Help Age International” viene fornendo copiosa documentazione di indigenza estrema, e la Croce Rossa financo di pratiche discriminatorie, nei confronti di soggetti poco più che sessantenni (World disaster report. Genève: International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies, 2007). Analoghe informazioni sono state recentemente diffuse dall’OMS. Un ultimo rapporto della stessa Organizzazione torna sull’argomento per incrementare l’approfondimento di questo problema globale:
Les personnes âgées et les urgences dans la perspective d’un vieillissement actif. Pagine 50. Genève: Organisation Mondiale de la Santé 2008. In collaborazione con l’Agenzia di Sanità pubblica canadese e con l’inglese “Help the Aged”, l’OMS ha commissionato (nel biennio 2006-2007) studi osservazionali per conoscere la condizione delle popolazioni anziane dei diversi paesi, industrializzati e non, funestati da emergenze belliche o naturali: siccità, carestie, inondazioni, terremoti, uragani, incendi, incidenti nucleari. I risultati di questi studi sono stati successivamente sintetizzati ed interpretati da un gruppo di esperti al fine di individuare le carenze più gravi e le priorità degli interventi. Il presente Rapporto ne riassume le conclusioni. Al fine di orientare le politiche decisionali, presenta una strategia integrata di pianificazione e di interventi d’urgenza, secondo le linee-guida messe a punto dal programma “Viellir en restant actif” (www.who.int/ageing/publications/active/en/index.html). È una strategia che si fonda su una prospettiva globale di vita, la quale tiene conto della diversità di bisogni e capacità delle persone nel corso dell’invecchiamento. Imperniata sulle determinanti di un invecchiamento attivo che entrano in gioco nelle situazioni di crisi, essa indica come promuovere la salute, la partecipazione e la sicurezza dell’anziano durante e dopo una emergenza collettiva. È un tipo di approccio utile, da una parte, a distinguere e ad integrare soggetti più deboli in uno scenario di emergenza globale e, dall’altra, ad incardinare la gestione di tali emergenze nelle politiche socio-sanitarie generali. Il libro è diviso in quattro parti: la prima espone le varie problematiche; la seconda descrive gli elementi fondamentali della pianificazione degli interventi e ne riassume i risultati; la terza ribadisce l’attualità e l’efficacia del progetto “Vieillir en restant actif” e, infine, l’ultima presenta la risposta strategica in numerose, reali, circostanze, riaffermando le categorie che potrebbero definirsi la “trinità salvifica” per l’anziano: salute, sicurezza, partecipazione.

Gaia de Bouvigny