Dalla letteratura

Apixaban vs aspirina nei pazienti con ictus criptogenico e cardiopatia atriale

Nei pazienti con ictus criptogenico ed evidenza di cardiopatia atriale (senza fibrillazione atriale), un trattamento con apixaban non riduce il rischio di ictus ricorrente rispetto all’aspirina.

Sono stati pubblicati sul JAMA i risultati del trial randomizzato multicentrico di fase III ARCADIA, discussi nel corso dell’International Stroke Conference 2024 (ISC24)1. L’analisi ha incluso 1.015 partecipanti (età media: 68 anni; 54,3% donne) con ictus criptogenico ed evidenza di cardiopatia atriale, definita dalla presenza di almeno un criterio tra: una forza terminale dell’onda P superiore a 5000 μV × ms nella derivazione V1, un NT-proBNP superiore a 250 pg/mL o un indice del diametro atriale sinistro di 3 cm/m2 o superiore all’ecocardiogramma. I partecipanti, i quali non mostravano segni di fibrillazione atriale al momento della randomizzazione, sono stati assegnati a un trattamento con apixaban 5 mg o 2,5 mg, due volte al giorno (n=507), o a uno con aspirina, 81 mg, una volta al giorno (n=508).

L’endpoint primario di efficacia era costituito dall’evidenza di un ictus ricorrente a un’analisi time-to-event. Tutti i partecipanti, compresi i 149 che hanno ricevuto una diagnosi di fibrillazione atriale dopo la randomizzazione, sono stati analizzati in base ai gruppi a cui erano stati assegnati. In termini di sicurezza, gli outcome principali erano costituiti dal riscontro di un’emorragia intracranica sintomatica, da quello di altre emorragie gravi e dalla mortalità totale.




A un follow-up medio di 1,8 anni lo studio è stato interrotto per futilità (il numero totale di partecipanti doveva essere di 1.100, con almeno 150 eventi relativi all’endpoint primario) in seguito ai risultati di un’interim analysis pre-specificata. A quel punto, un ictus ricorrente si era verificato in 40 pazienti nel gruppo apixaban (tasso annuo: 4,4%) e in 40 pazienti nel gruppo aspirina (tasso annuo: 4,4%) (HR 1,00 [95% CI: 0,64-1,55]; P per il test log-rank= 0,99). Il numero di ictus ricorrenti è risultato paragonabile tra i due gruppi anche considerando solo i soggetti a cui era stata diagnosticata una fibrillazione atriale dopo la randomizzazione (tasso annuo del gruppo apixaban: 1,8%; tasso annuo del gruppo aspirina: 2,2%; HR 0,84 [95% CI: 0,19-3,74]).

In termini di sicurezza, un’emorragia intracranica sintomatica si è verificata in 0 pazienti che assumevano apixaban e in 7 pazienti che assumevano aspirina (tasso annuo: 1,1%). Non sono emerse differenze, invece, per quanto riguarda le altre emorragie gravi, riscontrate in 5 pazienti che assumevano apixaban (tasso annuo: 0,7%) e in 5 pazienti che assumevano aspirina (tasso annuo: 0,8%) (HR 1,02 [95% CI: 0,29-3,52]), e la mortalità totale, avvenuta in 12 pazienti del gruppo apixaban e in 8 del gruppo aspirina (HR: 1,53 [95% CI: 0,63-3,75]).

«I risultati dello studio ARCADIA chiudono il capitolo sulla promessa di trattare i pazienti in base alla presenza di cardiopatia atriale (indipendentemente dall’evidenza di fibrillazione atriale)? Riteniamo che affermarlo sarebbe prematuro», hanno commentato Gregory M. Marcus e Bruce Ovbiagele, rispettivamente cardiologo e neurologo dell’University of California, in un editoriale pubblicato sul JAMA2. «In particolare, il criterio NT-proBNP, utilizzato per l’arruolamento di oltre la metà di tutti i partecipanti allo studio, potrebbe non essere sufficientemente specifico rispetto alla fisiopatologia prevista».

Bibliografia

1. Kamel H, Longstreth WT, Tirschwell DL, et al. Apixaban to prevent recurrence after cryptogenic stroke in patients with atrial cardiopathy: The ARCADIA Randomized Clinical Trial. JAMA 2024; 7 febbraio.

2. Marcus GM, Ovbiagele B. Anticoagulation for atrial cardiopathy in cryptogenic stroke. JAMA 2024; 7 febbraio.

In collaborazione con Neuroinfo.it

Gestione dell’ictus ischemico acuto, outcome migliori con l’intelligenza artificiale?

In uno studio presentato nel corso dell’International Stroke Conference 2024 (ISC24)1, i pazienti sopravvissuti a un ictus ischemico acuto gestiti secondo le indicazioni di un sistema di intelligenza artificiale sono andati incontro, rispetto a quelli sottoposti ad assistenza standard, a un numero minore di ictus ricorrenti, infarti miocardici o decessi per cause vascolari nei tre mesi successivi.

Nell’ambito del trial randomizzato Golden Bridge II, 77 ospedali cinesi sono stati randomizzati per fornire assistenza (diagnosi e trattamento) ai pazienti con ictus ischemico acuto secondo le raccomandazioni di un sistema di intelligenza artificiale (n=11.054 pazienti) o sulla base delle valutazioni e raccomandazioni dei neurologi della stroke unit del centro (n=10.549 pazienti).

Il sistema basato sull’intelligenza artificiale integrava gli esami di imaging cerebrale dei partecipanti con nozioni consolidate sulla diagnosi dell’ictus, la sua classificazione, il trattamento raccomandato dalle linee guida e le strategie utilizzabili per prevenire le eventi ricorrenti.




I ricercatori hanno quindi analizzato il numero di eventi vascolari (ictus ischemici, ictus emorragici, infarti miocardici o morte per cause vascolari) tra tutti i partecipanti allo studio nei tre mesi successivi il primo ictus ischemico.

L’utilizzo del sistema di supporto decisionale basato sull’intelligenza artificiale è risultato associato a una riduzione del 25,6% del rischio di nuovi eventi vascolari, aumentando anche il numero di pazienti trattati con terapie mediche raccomandate dalle linee guida.

A tre mesi, i partecipanti trattati negli ospedali in cui era stato implementato il sistema di intelligenza artificiale hanno sperimentato meno eventi vascolari totali rispetto a quelli sottoposti a valutazione e trattamento standard (2,9% vs 3,9%). Non sono invece emerse differenze significative tra i due gruppi per quanto riguarda i livelli di disabilità fisica, valutati mediante la Modified Rankin Scale Score.

«La riduzione dei nuovi eventi vascolari è una scoperta significativa – ha commentato Xiao Li, ricercatore del China National Clinical Research Center for Neurological Diseases e responsabile dello studio – perché dimostra che l’intelligenza artificiale potrebbe avere un impatto reale nell’assistenza post-ictus e portare benefici per la vasta popolazione di sopravvissuti a ictus»1.




Bibliografia

1. Li Z, Zhang X, Ding L, et al. Rationale and design of the GOLDEN BRIDGE II: a cluster-randomised multifaceted intervention trial of an artificial intelligence-based cerebrovascular disease clinical decision support system to improve stroke outcomes and care quality in China. Stroke Vascular Neurol 2023: svn-2023.

Una nuova prospettiva per i pazienti con sindrome di Brugada

La dimensione del substrato aritmogenico è un fattore prognostico cruciale per gli eventi di fibrillazione ventricolare nei pazienti con sindrome di Brugada sintomatica. E l’ablazione epicardica con radiofrequenza guidata dall’ajmalina rappresenta, in questo setting, un approccio terapeutico estremamente promettente. Sono queste le principali conclusioni a cui è giunto uno studio dell’Irccs Policlinico San Donato i cui risultati – appena pubblicati su EP Europace – potrebbero aprire a nuove prospettive in termini terapeutici e prognostici per questa patologia1.

I ricercatori del centro di San Donato Milanese hanno condotto uno studio prospettico a lungo termine su 257 pazienti con sindrome di Brugada sintomatici a cui era stato precedentemente impiantato un defibrillatore (Icd). Duecentosei di questi sono stati sottoposti a un’ablazione con radiofrequenza – con i substrati mappati sulla superficie epicardica del ventricolo mediante somministrazione di ajmalina – e monitorati per oltre 5 anni. I restanti 51 pazienti, invece, hanno rifiutato di sottoporsi alla procedura ablativa e sono stati sottoposti solo all’impianto di Icd. Gli obiettivi primari includevano l’identificazione dei fattori di rischio per gli eventi di fibrillazione ventricolare nel periodo precedente l’ablazione e la valutazione dell’efficacia della procedura in termini di libertà da eventi di fibrillazione ventricolare nel periodo post-ablazione.

Durante il periodo di follow-up pre-ablazione (mediana di 27 mesi) si sono verificati episodi di fibrillazione ventricolare e storm aritmico in 53 pazienti. I fattori di rischio indipendenti per questi eventi sono risultati essere: l’estensione del substrato aritmogenico (p<0,001), un arresto cardiaco risolto (p<0,001) e la presenza di varianti SCN5A (p=0,017). Nel periodo di follow-up post-ablazione (mediana di 40 mesi) il gruppo sottoposto alla procedura ha mostrato risultati nettamente migliori rispetto al gruppo non sottoposto ad ablazione in termini di libertà da eventi di fibrillazione ventricolare (p<0,001) e con una normalizzazione “sostanziale e consistente” del pattern Ecg di tipo 1. Il tutto senza importanti complicazioni correlate alla procedura.

«Considerando questi risultati convincenti – scrivono gli autori dello studio – è consigliabile prendere in considerazione l’ablazione epicardica aggiuntiva guidata dalla somministrazione di ajmalina come strategia sicura e più efficace per prevenire gli eventi di fibrillazione ventricolare e storm aritmico, riducendo così la necessità di ablazioni multiple». I risultati pongono le basi per future indagini su metodi non invasivi utili a determinare con precisione le dimensioni del substrato aritmico e a prendere decisioni cliniche informate. L’approccio dovrà ora essere valutato mediante uno studio randomizzato finalizzato a definire l’efficacia dell’approccio in termini di riduzione degli episodi di morte cardiaca improvvisa.




Bibliografia

1. Santinelli V, Ciconte G, Manguso F, et al. High-risk Brugada syndrome: factors associated with arrhythmia recurrence and benefits of epicardial ablation in addition to implantable cardioverter defibrillator implantation. EP Europace 2024; euae019.

Fabio Ambrosino,
in collaborazione con Cardioinfo

World Cancer Day: un impegno per l’equità nell’accesso alle cure

Per il terzo anno di fila, la parola d’ordine del World Cancer Day, il 4 febbraio, è “Close the Gap”: prima di ogni altra cosa, occorre colmare il divario nell’accesso alle cure oncologiche a livello mondiale. Permane infatti un’iniquità di fondo nell’approccio alla malattia oncologica, per l’assenza di una volontà politica condivisa capace di mettere in campo politiche di salute pubblica efficaci che consentano a tutti i pazienti oncologici, potenzialmente, di accedere alle migliori cure. Un editoriale sul Lancet si chiede se almeno la ricerca sia in grado di rispondere meglio alle esigenze dei pazienti affetti da tumore in tutto il mondo1.

Di fatto, nonostante i continui progressi dell’oncofarmacologia, a livello globale il numero di morti per cancro in poco più di un decennio è aumentato del 40%. Secondo le ultime stime, nel 2050 sono previsti oltre 35 milioni di nuovi casi di cancro (un aumento del 77% rispetto ai 20 milioni del 2022), soprattutto nei Paesi con un indice di sviluppo basso o medio. Oltretutto, le guerre in corso costituiscono un vulnus ulteriore: si pensi soltanto alle migliaia di pazienti oncologici privi di cure nella Striscia di Gaza.

Nessuno nega l’importanza decisiva nella scoperta e nell’acquisizione di nuove molecole e di nuove terapie cellulari o genetiche. Ma – a detta del Lancet – il problema si pone a monte, dal momento che «le aziende farmaceutiche che dominano l’agenda della ricerca sono incentivate a concentrarsi su nuovi farmaci e terapie sofisticate (come le terapie cellulari e geniche) che non sono né accessibili né sostenibili per la maggior parte dei pazienti, a livello globale. Ciò non significa che sia necessario garantire a tutti l’accesso alle cure più efficaci in tutti i contesti. L’equità nella salute richiede equità nell’accesso alla migliore gestione del cancro. Ma la struttura dell’ecosistema della ricerca in oncologia fa sì che si trascuri lo studio di innovazioni semplici in grado però di cambiare la pratica clinica e che potrebbero portare grandi benefici ai pazienti, come la de-escalation del trattamento o la riproposizione di farmaci già autorizzati»2.

Una delle storture da correggere è il privilegio accordato dal sistema alle terapie farmacologiche rispetto alla chirurgia e alla radioterapia, capaci di curare potenzialmente molti più pazienti rispetto ai farmaci antitumorali (data la loro importanza nel trattamento dei tumori solidi), ma che ricevono molti meno fondi di ricerca. Ovvio che politiche di screening e di prevenzione sono condotte con molta maggiore difficoltà nei Paesi a basso reddito. Ad esempio, considerando l’Africa nel suo complesso, dove la maggior parte dei tumori della prostata viene diagnosticata in fase avanzata, non è mai stata valutata l’efficacia del test dell’antigene prostatico specifico basato sulla popolazione. Le popolazioni degli studi di ricerca sono in gran parte costituite da pazienti caucasici e che vivono in Paesi ad alto reddito, ragion per cui i risultati potrebbero non essere sempre generalizzabili o trasferibili senza un’attenta considerazione delle differenze biologiche, culturali o ambientali. Mentre per adattare gli strumenti di controllo del cancro ai contesti locali sarebbero necessarie competenze e conoscenze locali. Gruppi di collaborazione internazionale possono fornire le risorse per sperimentazioni avviate dai ricercatori per affrontare questioni clinicamente importanti ma non necessariamente di primario interesse per le aziende. Il numero crescente di studi clinici internazionali e di gruppi di ricerca cooperativi, come l’Organizzazione europea per la ricerca e la cura del cancro e il gruppo cooperativo del National Cancer Institute, è un segnale incoraggiante.

Tuttavia, la strada da percorrere è ancora lunga. Forse, occorre addirittura riformulare l’idea stessa di ricerca oncologica: un’innovazione incentrata sulla massimizzazione dei benefici degli interventi già esistenti potrebbe sortire probabilmente un effetto molto maggiore sull’assistenza ai pazienti, rispetto al concentrarsi soltanto sullo sviluppo di nuovi, costosi farmaci, magari per ottenere l’indicazione per una patologia che ha già un ragionevole standard di cura. Speriamo che negli anni a venire si risponda sempre meglio e più concretamente a quest’esigenza di equità nell’accesso, così da ottenere condizioni paritetiche su scala internazionale per tutti i pazienti oncologici.




Bibliografia

1. Lancet. Cancer research equity: innovations for the many, not the few. Lancet 2024; 403: 409.

2. Leary A, Besse B, André F. The need for pragmatic, affordable, and practice-changing real-life clinical trials in oncology. Lancet 2024

In collaborazione con Oncoinfo.it

Pillola abortiva e conflitto d’interessi

Una rivista e un’importante casa editrice hanno ritirato tre articoli sull’aborto, tra cui uno che è stato usato in cause giudiziarie per sostenere la sospensione dell’approvazione della Food and Drug Administration per il mifepristone, noto come “pillola abortiva”. Parliamo di Sage, l’editore di Health Services Research and Managerial Epidemiology.

Per uno di questi articoli, dopo la segnalazione di un lettore, un revisore indipendente esperto in analisi statistiche ha confermato che la presentazione dei dati in due figure porti a una conclusione imprecisa e che la composizione della coorte studiata presenti problemi che potrebbero influenzare le conclusioni dell’articolo. La casa editrice Sage ha confermato che tutti gli autori dell’articolo, tranne uno, erano affiliati a una o più tra le organizzazioni Charlotte Lozier Institute, Elliot Institute e American Association of Pro-Life Obstetricians and Gynecologists, enti schierati col movimento Pro Life, nonostante avessero dichiarato di non avere conflitti di interesse quando hanno presentato l’articolo per la pubblicazione o nell’articolo stesso.

La decisione di Sage e della rivista è interessante perché sembra andare nella direzione di considerare le proprie personali convinzioni religiose o politiche alla stregua di veri e propri conflitti d’interesse. Infatti, James Studnicki, primo autore principale dei tre articoli, ha dichiarato a Retraction Watch che le decisioni della redazione e della casa editrice sono state «un palese tentativo di screditare un’eccellente ricerca che non va nella stessa direzione della narrativa abortista»1. Sull’argomento conviene segnalare l’interessante articolo di Angelica Salvadori uscito sul progetto ilpunto.it dell’Ordine dei medici di Torino2.

Bibliografia

1. Oransky I. Papers used by judge to justify abortion pill suspension retracted. Retraction Watch 2024; 6 febbraio.

2. Salvadori A. Obiezione di coscienza: possibile conflitto d’interessi? Il Punto 2023; 18 dicembre.