Ritratto di Giuseppe Micieli:
il rapporto con il paziente innanzitutto




Lavoro e formazione professionale

Quali persone hanno più influenzato il suo modo di fare il medico?

È una domanda complicata che richiederebbe una lunga risposta. Credo sia difficile elencare tutte le persone che hanno influenzato il modo con il quale ho realizzato, nel tempo, le modalità con le quali svolgo la mia professione, ovvero interagire con colleghi, professionisti diversi, personale e tecnici sanitari, ma soprattutto pazienti. Senz’altro i colleghi con i quali ho fatto i primi passi dopo la laurea mi hanno orientato verso uno modello di lavoro che mi ha visto impegnato sia a livello assistenziale che in vari ambiti della ricerca scientifica con dedizione, curiosità e passione.

Ritengo comunque che il maggiore contributo alla mia formazione sia stato fornito dal quotidiano rapporto con i pazienti, in guardia medica, in reparto, nell’ambulatorio. Da questo punto di vista, la conoscenza di molteplici, diverse “vite” mi ha permesso di superare tante difficoltà e problematiche nell’approccio a ciascuno, fornendomi gli strumenti grazie ai quali posso dire di essere stato sempre (o quasi) sempre ben accolto da quanti, in difficoltà per la loro condizione, hanno potuto ricevere una accoglienza spero adeguata in un contesto così complicato come sa essere l’Ospedale.

Infine, un supporto alla mia formazione di medico è senza dubbio venuto da colleghi non neurologi, ovvero da esperti di ambiti diversi dalla medicina, grazie ai quali mi pare che il sipario che spesso edifichiamo tra noi ed il mondo “altro” sia stato rimosso, con effetti indubbiamente benefici e gratificanti.

Come è cambiata la medicina dai tempi in cui lei scelse di lavorare in questo ambito?

O, meglio: qual è il cambiamento (o i cambiamenti) più radicale?

Credo che la medicina (e con essa la neurologia) sia cambiata moltissimo. Da un approccio scarsamente dotato di strumenti diagnostici e quindi basato prevalentemente su raccolta anamnestica e ricerca nell’esame obiettivo (con il canonico uso del martelletto e della punta) di segni orientati verso una patologia neurologica centrale o periferica, si è gradualmente passati ad indagini sempre più sofisticate (di neuroimaging, neurobiologia, neurofarmacologia, neurogenetica) che hanno reso complesso, ma sicuramente più gratificante l’approccio anche ai casi più difficili, per maggiore facilità diagnostica (fatto salvo l’uso degli strumenti sopra citati) ed il sempre più nuovo ed efficace approccio terapeutico a patologie per le quali in passato non esisteva alcun trattamento.

A sua volta, anche l’uso di una medicina basata sulle evidenze ed il successivo sviluppo di Linee Guida in tutti gli ambiti della medicina hanno comportato significativi cambiamenti migliorativi, più critici ma anche più appropriati, nelle scelte mediche in ogni campo.

E – se dovesse indicarne uno –
quale cambiamento del Servizio sanitario e della sua organizzazione ritiene sia stato il più importante?

Forse un cambiamento importante può essere considerato quello legato all’introduzione del concetto di prestazione medica con l’introduzione dei DGR nei lontani anni ’80. Il pagamento a prestazione ha sicuramente rimosso parte delle problematiche specie economiche dell’approccio “romantico” precedente alla medicina ed ha cominciato a valorizzare le singole prestazioni mediche in ambito ospedaliero, introducendo il concetto di budget e quindi impegnando i sanitari a valutazioni che hanno reso più complesso il lavoro di tutti i giorni. Lo stesso, come ben sappiamo, ha comportato anche fenomeni di abuso e di coercizione nella prestazione medica talora limitandola al di là dell’etica a beneficio della rendicontazione economica.

Qual è la parte del lavoro
di un medico più gratificante?
E quella più noiosa?

Mi pare non ci siano dubbi: il lavoro più gratificante è quello che viene svolto con e per il paziente (ed i suoi familiari), direi a prescindere dal successo o meno dell’intervento stesso. Come già sottolineato, il rapporto con paziente e familiari arricchisce le conoscenze e gratifica l’attività del medico, naturalmente se lo stesso crea condizioni empatiche e si mette in discussione.

La parte più noiosa della mia attività, lo confesso, è stata sempre rappresentata dallo studio di leggi e decreti ed altri elementi informativi e formativi la cui conoscenza, in ambito ospedaliero, è divenuta obbligatoria. Allo stesso tempo, è noiosa la compilazione (adeguatamente accurata) delle schede di dimissione ospedaliera (Sdo) specie considerando le problematiche del pagamento a prestazione (e quindi correlato a quanto riportato nella Sdo) di cui si è detto.

Qual è stato il suo primo “esame”, non intendendo con questo
gli impegni scolastici?

Credo sia stato il primo caso clinico veramente grave da me trattato durante una guardia notturna in ospedale riguardante un giovane di 32 anni colpito da una devastante emorragia cerebrale, della quale ineluttabilità ho dovuto prendere atto. È stato un momento per me molto difficile specie nel confronto con la giovane moglie di lui e dei suoi due bambini piccoli. Sono esperienze che ti segnano, specie se le affronti senza l’aiuto che sarebbe potuto provenire da uno stato esperienziale diverso. Allo stesso tempo, ti formano e ti permettono una relazione migliore in casi analoghi o anche diversi come accaduto chissà quante volte negli anni a venire.

Qual è il suo più grande rammarico?

Non avere colto i segnali di un cambiamento che mi avrebbe dato, nel lavoro, una serenità e una libertà che non ho più vissuto.

Lettura, scrittura, aggiornamento

Quale forma di aggiornamento
le sembra più utile? Leggere
le riviste scientifiche? Andare
ai congressi?

Nella mia esperienza è forse più interessante la consultazione di materiale scientifico. Tuttavia, i congressi di settore, e ce ne accorgiamo in particolare dopo la pandemia, non si può negare abbiano un ruolo significativo nella relazione con i colleghi e nella discussione di temi originali ed innovativi. C’è da dire, però che anche i costi di organizzazione del congresso e la necessità di ridurre tempi e spese di trasferte e soggiorno nella sede congressuale collochino seminari e congressi online tra le soluzioni ottimali per un adeguato aggiornamento.

Accettare consigli da colleghi
è utile o rischioso?

Reputo sia sempre utile accettare consigli, specie dai colleghi. Ciò vuol dire anche ascoltare le ragioni altrui, eliminando i preconcetti e gli errori di “fissazione”, così frequenti in medicina.

Quale caratteristica personale
è più utile per coordinare il lavoro
di un gruppo di colleghi?

Sono necessari più elementi insieme: la conoscenza del problema da trattare, l’empatia verso il collega o il gruppo di colleghi da coordinare e, non ultimo, una minima dose di decisionismo.

Riceve newsletter di riviste generaliste come Lancet o BMJ o di neurologia?

Ne ricevo dal BMJ, dal NEJM e da Medscape (oltre che da una serie di altre fonti che forniscono sommari di evidenze della letteratura nei campi più diversi).

Qual è la sua rivista scientifica preferita?

Senz’altro il New England Journal of Medicine, sempre all’avanguardia nel proporre le novità in ambito medico per tutte le specialità. Il format della rivista, inoltre, con i casi clinici, l’uso di interessanti strumenti informatici, la completezza e la serietà dei paper selezionati si può considerare unico, anche se riviste di grande interesse non mancano. Tra queste il BMJ, Lancet, Lancet Neurology e JAMA.

Che tipo di informazione scientifica preferisce? Articoli brevi con molti rimandi esterni e ricca bibliografia? Le rassegne narrative hanno ancora una loro utilità?

Pensa sia corretto considerare le revisioni sistematiche il riferimento più affidabile per prendere decisioni di politica sanitaria? Come potrebbe cambiare in meglio la letteratura scientifica?

Il tipo di informazione scientifica mi pare fortemente legato alla sua qualità, più che al formato. Le due opzioni (articoli brevi e rassegne narrative) sono interessanti soprattutto se trattano capitoli di interesse nella disciplina considerata. Certamente il format dell’articolo breve con rimandi esterni e bibliografia esaustiva ha un suo appeal legato alla fretta che caratterizza le nostre giornate e che talora (ma solo talora) ci impedisce di aggiornarci con strumenti più tradizionali.

Penso che le revisioni sistematiche siano indispensabili per la programmazione sanitaria. Troppe ipotesi di lavoro o progetti già definiti nei dettagli, se non hanno forti basi di evidenza sono destinate a far fallire i progetti da applicare alla pratica sanitaria. Ne abbiamo molti esempi a livelli locali e, in taluni casi, anche regionali o nazionali, quando uno “studio di fattibilità” di un progetto in ambito sanitario è incredibilmente assente o gravemente carente.

Gli esiti, qualora si riesca a portare a termine lo studio, rischiano di essere già obsoleti o piuttosto non in grado di modificare l’organizzazione del lavoro in ospedale, nella medicina territoriale come nella ricerca scientifica.

La letteratura scientifica credo debba essere migliorata, ad esempio confrontando le ipotesi di lavoro dei medici (operatori sul campo) con quelle degli amministratori (ospedale, azienda sanitaria locale, assessorati regionali, ministero della salute) in un dialogo basato sulle evidenze e non sulle opinioni personali. Quindi le riviste dovrebbero ospitare più frequentemente studi che vedano realizzati, o anche solo ipotizzati, modelli gestionali interessanti per tutta la comunità scientifica ed amministrativa.

Le capita ancora di sfogliare l’edizione cartacea di una rivista o consulta la letteratura solo su internet?

È sempre un piacere usare il materiale cartaceo, anche se è assolutamente vero che la consultazione della letteratura su internet è non solo più rapida, ma anche più varia, permettendo di cogliere sfumature in partenza non ipotizzate ed evidenze non ancora note.

Legge articoli scientifici
sullo smartphone?

In linea di massima, no. Mi fermo al PC.

La medicina basata sulle prove ritiene sia ancora attuale? Cosa rende difficile che sia la base della didattica nelle facoltà di medicina?

Chi è un “esperto” in ambito politico-sanitario?

Decisamente sì. Le evidenze scientifiche sono indispensabili per uscire da quell’ambito “provinciale” nel quale la medicina ha vissuto per anni. È necessario insegnare soprattutto a studenti e specializzandi che non esiste niente di più attendibile delle evidenze basate su modelli scientificamente provati. Direi che si tratta delle fondamenta di tutte le discipline scientifiche, che in ambito medico, anche se sempre meno spesso, va detto, vengono in qualche modo ricondotte alle esperienze del docente.

Esperto in ambito politico-sanitario credo si possa definire chi ha sufficiente esperienza in entrambi i campi. È difficile trovare esperti di questo tipo: di solito il politico si appoggia ad esperti di settore che, con le loro evidenze, gli forniscono le basi del suo lavoro di amministratore.

Ricordi, passioni e…

Parlando della vita fuori dal lavoro, può confessarci una sua “passione”?

Direi senz’altro la lettura, che spazia, talora in modo non necessariamente ordinato, dal romanzo al saggio, passando per la poesia e la documentazione scientifica.

Qual è il suo romanzo preferito?

Difficile da dire, sono tanti i libri che ho amato in questo campo: “La strada” di Cormack McCarthy, “Ripetizioni” di McEwan, “Pastorale americana” di Philip Roth, “La guerra della fine del mondo” di Vargas Llosa e tanti altri.

Ha libri sul comodino?

Al momento: “Abbecedario siciliano” di Roberto Alajmo, “Storia di Napoli” di Antonio Ghirelli, “Gelo” di Thomas Bernhard.

Legge e-book?

Sì, per risparmiare spazio vista la dimensione non infinita della mia libreria.

Ricorda l’ultimo libro che ha regalato?

“Il disastro di Pavia” di Jean Giono.

Usa Whatsapp anche come mezzo per comunicazione di lavoro?

Con qualche difficoltà, viste le difficoltà di collocare adeguatamente le informazioni che vengono inviate con discreta frequenza. Anche con la mail, però, vedo gli stessi problemi.

Curiosità

Se le piace andare al cinema
o vederli in tv, qual è l’ultimo film che ha visto?

Vado poco al cinema, che pure è stata una abitudine nei miei anni di liceo ed università. Amo rivedere i classici, come “Blade Runner”, “Le Crociate”, “Il Gladiatore”; insomma, cose d’altri tempi.

Se dovesse scegliere un romanzo e un film che un giovane medico dovrebbe sicuramente conoscere, quali sarebbero?

Un libro interessante è senz’altro “Curarsi con i libri: rimedi letterari per ogni malanno”, di Ella Berthoud e Susan Elderkin; come film “Risvegli”, scritto da un medico (Oliver Sacks) e diretto da Penny Marshall.

Qual è la città italiana dove va più volentieri?

Sicuramente Firenze. Credo che sia una città meravigliosa non solo per le opere d’arte ma anche per le tradizioni che ancora pervadono di passato il tessuto sociale della città.