Il potere declinante del tocco umano nel mondo digitale

Giampaolo Collecchia1

1Medico internista, Massa; Ufficio di Presidenza del Comitato per l’Etica Clinica (ComEC), Azienda Usl Toscana Nord Ovest.

Pervenuto il 13 febbraio 2024. Accettato il 22 febbraio 2024.

«L’innovazione più importante che arriverà in medicina

nei prossimi dieci anni sarà il potere della mano umana di

toccare, confortare, diagnosticare e realizzare cure».

Abraham Verghese

Riassunto. Gli esseri umani sono creature sociali e il contatto è la forma più primitiva di relazione. Nel contesto della visita medica tradizionale il tocco, la palpazione, è indispensabile per diagnosticare o sospettare patologie. Ma non è soltanto un problema di semeiotica. La capacità del medico di esaminare un corpo attraverso le proprie mani è il fulcro della relazione medico-paziente. Si assiste peraltro da molti anni al progressivo retrocedere dell’esame obiettivo nella pratica clinica. Prima l’obsolescenza dell’interazione con il malato a causa del richiamo della tecnologia diagnostica, poi il “distanziamento sociale” dovuto al Covid-19 e, infine, l’espansione della telemedicina hanno contribuito ad allontanare i curanti dagli assistiti. La stessa tecnologia che tende ad allontanare medico e paziente mette a disposizione dispositivi indossabili aptici, in grado di digitalizzare il tatto e aprire scenari applicativi ancora largamente inesplorati, ma questi sistemi non possono sostituire l’interazione umana. Cosa possiamo fare per preservare la cultura del contatto fisico nella relazione medico-paziente? Come sempre, la consapevolezza è il primo passo. La tecnologia che ci separa dai pazienti non è il vero problema. È solo quando diventa un fine anziché un mezzo che rischiamo di perdere secoli di tradizione medica. È pertanto necessario trovare un equilibrio tra l’utilizzo della tecnologia e la garanzia che gli operatori sanitari mantengano un ruolo centrale nel fornire supporto emotivo e comprensione ai pazienti. Tali questioni dovrebbero essere introdotte precocemente nella formazione dello studente di medicina. Nel corso degli studi dovrebbero essere insegnati non solo i meccanismi delle malattie, ma anche come affrontare l’assistenza con compassione, empatia e “tocco umano”. In ogni caso, anche se alla fine la cultura digitale dovesse prevalere, è necessario praticare almeno il “tatto” come sensibilità interpersonale, delicatezza, capacità di intercettare lo stato d’animo dell’altro e rispettarlo.

Parole chiave. Dispositivi indossabili aptici, empatia, palpazione, tatto.

The declining power of the human touch in the digital world.

Summary. Humans are social creatures, and touch is the most primitive form of relationship. In the context of the traditional medical examination, touch, palpation, is essential to diagnose or suspect pathology. But it is not only an issue of semeiotics. The physician’s ability to examine a body through his or her hands is at the heart of the doctor-patient relationship. Moreover, we have been witnessing for many years to the progressive downgrading of the objective examination in clinical practice. First, the obsolescence of interaction with the patient due to the lure of diagnostic technology, then the “social distancing” of Covid-19 and, finally, the expansion of telemedicine has contributed to the distancing of caregivers from patients. The same technology that tends to distance doctor and patient provides haptic wearable devices that can digitize touch and open up application scenarios that are still largely unexplored. These, however, cannot replace human interaction. What can we do to preserve the culture of physical contact in the doctor-patient relationship? As always, awareness is the first step. The technology that separates us from patients is not the real problem. It is only when it becomes an end instead of a means that we risk losing centuries of medical tradition. It is therefore necessary to strike a balance between using technology and ensuring that health care professionals maintain a central role in providing emotional support and understanding to patients. Such issues should be introduced early in the medical student’s training. In the course of study, not only the mechanisms of disease should be taught, but also how to approach care with compassion, empathy and “human touch”. In any case, even if digital culture eventually prevails, it is necessary to practice at least “touch” as interpersonal sensitivity, gentleness, and the ability to intercept the other’s state of mind and respect it.

Key words. Empathy, haptic wearable devices,palpation, touch.

Introduzione

La pelle è l’organo più esteso del corpo umano e il tatto è il più interattivo di tutti i sensi. La sensibilità tattile consente di rilevare con straordinaria precisione la presenza di stimoli dovuti al contatto della superficie cutanea con oggetti esterni. Il tatto non può peraltro essere inteso esclusivamente in termini di recettori, gangli dorsali e altri fenomeni neurofisiologici. Gli esseri umani sono creature sociali e il contatto è la forma più primitiva di relazione sociale. Il tatto si sviluppa già durante la vita fetale, e nel periodo neonatale è uno dei canali più importanti di comunicazione1. Il tocco gentile crea connessioni personali ed è una componente essenziale nello sviluppo delle nostre emozioni, una forma di comunicazione umana così benefica che la pelle è stata definita “organo sociale”. Uno studio di alcuni anni fa ha utilizzato la risonanza magnetica funzionale per osservare il cervello di donne sposate sottoposte a stimoli dolorosi. I ricercatori hanno studiato le persone quando erano sole, quando tenevano la mano di uno sconosciuto e quando tenevano la mano del marito. I livelli più alti di attivazione del dolore si manifestavano quando le donne erano sole. Quando tenevano la mano di un estraneo, la risposta al dolore era diminuita. I livelli di attivazione erano i più bassi quando tenevano la mano del marito. Quanto più alta era la qualità dei matrimoni, tanto più attenuate erano le risposte al dolore2. Diversi studi sui neonati hanno dimostrato che il tatto è una componente fondamentale dello sviluppo fisiologico, emotivo e cognitivo. I bambini prematuri aumentano di peso se massaggiati leggermente dalla testa ai piedi mentre la mancanza di contatto può avere conseguenze devastanti.

Il tatto come legame tra medico e paziente

Il tatto è una delle componenti più importanti dell’interazione medico-paziente. Mediante il rilascio di endorfine, serotonina e ossitocina, innesca una serie di eventi che si traducono in rilassamento, fiducia e cooperazione. Il tatto rafforza inoltre il sistema immunitario aumentando le cellule killer naturali, abbassa la pressione arteriosa, diminuisce i livelli di cortisolo indotti dagli ormoni dello stress, riduce l’ansia e, modulando il sistema oppioide endogeno, svolge un effetto antidolorifico3.

L’imposizione delle mani è da sempre una parte essenziale delle arti curative. Le prime forme di medicina si basavano sul bisogno umano di toccare ed essere toccati. Dal papiro Ebers del 1550 a.C. circa ad Asclepio, il dio greco della guarigione, che curava le persone toccandole, ai “guaritori delle mani” della Grecia classica, i kheirourgos – dal greco mano (kheir) e lavoro (ergon) – da cui origina il termine moderno “chirurghi”4. I guaritori dei nativi americani si affidavano al tocco per curare le malattie, e per molto tempo si è creduto che i re e le regine possedessero il “tocco regale” attraverso il quale la semplice imposizione delle mani poteva guarire.

Nel contesto tradizionale della visita medica, il tocco, la palpazione, è indispensabile per diagnosticare o sospettare patologie. Ma non è soltanto un problema di semeiotica. La capacità del medico di esaminare un corpo attraverso le proprie mani è il fulcro della relazione medico-paziente. Si tratta di una sorta di rituale, un messaggio chiaro che i medici trasmettono ai pazienti per creare una connessione da essere umano a essere umano che rassicura e solleva5. Toccare il corpo dell’ammalato significa comprensione, rassicurazione, presa in carico. I malati sanno che il medico si preoccupa di loro e sta facendo tutto ciò che è in suo potere per trattare le loro condizioni di salute in modo efficace. I pazienti apprendono che non sono soli nella loro paura6. Il contatto fisico può essere anche considerato una delle cosiddette “azioni parlanti”, definite come atti solitamente clinici eseguiti con una valenza prevalentemente relazionale, per comunicare qualcosa ma contemporaneamente fornire una prestazione concreta. Tipico esempio è quello della palpazione dell’addome di un paziente affetto da colon irritabile: la visita non è molto importante sul piano diagnostico, ma per il paziente è rassicurante7.

L’assenza di tocco

Si assiste da molti anni al progressivo retrocedere dell’esame obiettivo nella pratica clinica. Prima l’obsolescenza dell’interazione con il malato a causa del richiamo della tecnologia della diagnostica, poi il “distanziamento sociale” del Covid-19 e, infine, l’espansione della telemedicina hanno contribuito ad allontanare i curanti dagli assistiti.

Il periodo pandemico ha bruscamente interrotto tutte le forme di comunicazione che prevedono un contatto diretto con gli altri. Per il rischio di contagio reciproco, i pazienti in molti casi sono stati gestiti senza il contatto fisico. La vicinanza, necessaria alla cura, è stata vissuta come un pericolo. All’indagine clinica legata alla prossimità, si è sostituita la parola pronunciata da lontano, la sola indagine anamnestica, il ricorso al linguaggio come unica risorsa per entrare dentro il corpo e capirne le traversie. Si è sostituito il tatto con una spesso asettica conversazione a distanza o immagine su uno schermo. Nonostante l’etimologia, il concetto di medicina digitale è diventato nell’uso pratico un ossimoro: il tocco umano contro la sua antitesi, il contatto contro il monitoraggio, con un rischio sempre maggiore di perdita della relazione medico-paziente8. Questa privazione del contatto fisico, che prende il nome di skin hunger, cioè “fame di pelle”, è una delle conseguenze più drammatiche dell’isolamento9. La perdita di importanza dell’esame fisico era peraltro già in atto da tempo, il Covid-19 ha solo accelerato il processo. Nell’assistenza sanitaria contemporanea, il tatto sembra infatti in via di estinzione. La tendenza attuale è di preferire l’apparente certezza degli esami alla classica visita diretta. L’assistito per il medico è quasi diventato un’icona digitale del paziente. Rosenthal e Verghese hanno coniato il termine iPatient5. Lo stesso paziente, che per il medico dovrebbe essere ritenuto esperto di stesso, in realtà spesso non si identifica in tale ruolo, ma riconosce una realtà del sapere di sé solo in veste strumentale (“non basta sapere che ho il mal di schiena e aspettare che passi, bisogna dare a ciò un nome… e questo richiede una documentazione credibile… devo fare la risonanza…”). In questo modo pensa di tenere sotto controllo la propria salute sottoponendosi a prelievi, ecografie o risonanze magnetiche e può arrivare a pensare che sia meglio avere a disposizione un buon esame piuttosto che un buon medico.

Il tocco digitale: i dispositivi aptici

La stessa tecnologia che tende ad allontanare medico e paziente mette a disposizione dispositivi indossabili aptici, in grado di digitalizzare il tatto e aprire scenari applicativi ancora largamente inesplorati. I medici forniti di dispositivi indossabili, come per esempio guanti sensorizzati, potranno, in un futuro molto prossimo, palpare a distanza la cute, le mammelle o l’addome, garantendo anche a metodologie come la televisita l’accesso a una fase essenziale dell’esame obiettivo a distanza: la telepalpazione. Prattichizzo e Rossi descrivono diverse possibili applicazioni di tecnologie aptiche in campo medico, per esempio le “carezze aptiche” nei pazienti in “stato vegetativo” (Unresponsive Wakefulness Syndrome), dispositivi che consentono agli utenti di riconoscere e trasferire a distanza la forma, la consistenza di una superficie, le caratteristiche dei materiali e la temperatura di qualsiasi oggetto, per esempio la sensazione del tocco della mano di un interlocutore digitale. Le implicazioni in campo medico possono comprendere il fisioterapista che può provare sulla sua mano le sensazioni esperite dal paziente sottoposto a riabilitazione motoria, il chirurgo che opera con un robot e può percepire la forza con cui sta incidendo un organo, migliorando la precisione della manipolazione rispetto al solo feedback visivo, l’autopalpazione remota di una paziente, per esempio di un linfonodo ingrossato, con la possibilità di trasferire in tempo reale al medico ciò che sente sotto le dita9.

Come preservare il tatto nella cultura digitale

Chi scrive non pensa, come Sanders, che «l’esame obiettivo, quello che era un tempo il nostro strumento più affidabile nel capire e diagnosticare una malattia, è morto e sepolto»10. La mano del medico rimane uno degli strumenti diagnostici più preziosi e la sua fine sarebbe una grande perdita per l’arte della medicina: la privazione della nostra principale possibilità di toccare i pazienti per ottenere preziose informazioni cliniche ma anche per utilizzare la sua rilevanza affettivo-emozionale. La ricerca più avanzata e i dispositivi ad alta tecnologia non possono sostituire l’interazione umana. I pazienti sono per esempio diffidenti nei confronti dell’intelligenza artificiale e di altre tecnologie digitali. Secondo uno studio della Harvard Business Review11 i malati credono che i loro bisogni medici siano unici e non possano essere adeguatamente affrontati dagli algoritmi. Gli esseri umani, almeno per ora, preferiscono l’assistenza di altri esseri umani. Anche se lo stesso paziente tende sempre più spesso a sentirsi rappresentato dalle immagini della diagnostica, l’esame fisico rappresenta ancora un rituale centrale nella relazione medico-paziente. La vera domanda non è quindi se la scomparsa del contatto fisico possa danneggiare la relazione medico-paziente ma cosa possiamo fare per preservarlo. Come sempre, la consapevolezza è il primo passo: la tecnologia ci separa dai pazienti ma non è il vero problema. È solo quando diventa un fine anziché un mezzo che rischiamo di perdere secoli di tradizione medica, il che sarebbe dannoso non solo per i pazienti ma anche per noi4. È pertanto necessario trovare un equilibrio tra l’utilizzo della tecnologia e la garanzia che gli operatori sanitari umani mantengano un ruolo centrale nel fornire supporto emotivo e comprensione ai pazienti, che l’interazione umana rimanga una parte essenziale della professione sanitaria, ripensando l’interfaccia uomo-macchina e integrando il paziente reale con l’iPatient.
L’esame fisico non è uno strumento a basso costo: richiede tempo, pazienza, professionalità. Un recente editoriale ha suggerito che modi più “coinvolti” di praticare la medicina potrebbero essere emotivamente faticosi, ma in definitiva più gratificanti12. Tali questioni dovrebbero essere introdotte precocemente nella formazione dello studente di medicina. Nel corso degli studi dovrebbero essere insegnati non solo i meccanismi delle malattie, ma anche come affrontare l’assistenza con compassione, empatia e “tocco umano”. Si può iniziare ricordando l’originale scopo dei medici: essere testimoni della sofferenza degli altri, dare conforto e offrire cura. Quello rimane il vero privilegio della professione medica5. In ogni caso, anche se alla fine la medicina digitale, nel senso “ossimorico” del termine, dovesse prevalere, è necessario praticare almeno il “tatto” come sensibilità interpersonale, delicatezza, capacità di intercettare lo stato d’animo dell’altro e rispettarlo.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

1. Rossi S, Prattichizzo D. Il corpo artificiale. Neuroscienze e robot da indossare. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2023.

2. Coan JA, Schaefer HS, Davidson RJ. Lending a hand: social regulation of the neural response to threat. Psychological Science 2006; 17: 1032-9.

3. Kerr F, Wiechula R, Feo R, Schultz T, Kitson A. Neurophysiology of human touch and eye gaze in therapeutic relationships and healing: a scoping review. JBI Database System Rev Implement Rep 2019; 17: 209-47.

4. Mangione S, Basile M, Post SG. Out of touch. JAMA 2024; Feb 9.

5. Rosenthal DI, Verghese A. Meaning and the nature of physicians’ work. N Engl J Med 2016; 375: 1813-5.

6. Spivack SD. Human touch: an essential connection between patients and doctors. 2023; 20 aprile. Disponibile su: https://lc.cx/JcqNDK [ultimo accesso 22 febbraio 2024].

7. Parisi G. Comunicazione e relazione. In: Caimi V, Tombesi M (a cura di). Medicina generale. Torino: UTET, 2003.

8. Collecchia G, De Gobbi R. Intelligenza artificiale e medicina digitale. Una guida critica. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2020.

9. Prattichizzo D. Fame di pelle e digitalizzazione del tatto. La Repubblica 2021; 26 maggio.

10. Sanders L. Ogni paziente racconta la sua storia. L’arte della diagnosi. Torino: Einaudi, 2009.

11. Longoni C, Morewedge CK. AI can outperform doctors. So why don’t patients trust it? Harvard Business Review 2019; 30 ottobre. Disponibile su: https://lc.cx/N73TQr [ultimo accesso 22 febbraio 2024].

12. Berman N. A reason to retire? N Engl J Med 2023; 389: 1354-5.