Ritratto di Giuseppe Di Pasquale:
l’ascolto del paziente




Lavoro e formazione professionale

Quali persone hanno più influenzato il suo modo di fare il medico o il ricercatore?

Per quanto riguarda il modo di svolgere la professione di medico sicuramente la persona dalla quale ho tratto gli insegnamenti che ho cercato di trasferire nella mia pratica clinica è stato il prof. Bruno Magnani, direttore dell’Istituto di Cardiologia dell’Università di Bologna. Un vero maestro che ho avuto la fortuna di incontrare a metà degli anni ’70 durante il corso di laurea in Medicina. Rimasi affascinato dalle sue lezioni e iniziai a frequentare da studente il suo reparto, entrando subito dopo la laurea nel 1976 nella sua scuola di specializzazione in Cardiologia, che nasceva a Bologna proprio in quell’anno.

Già negli ultimi anni del liceo avevo maturato la decisione di fare il medico; il fatto di avere scelto di fare il cardiologo è stato in relazione all’incontro con il prof. Magnani. Da lui ho imparato il metodo, il rigore della precisione e dell’organizzazione, l’importanza della clinica, il rispetto e la capacità di ascolto del paziente. Tutto questo ho cercato di metterlo in pratica nella mia lunga e felice vita quarantennale di cardiologo ospedaliero.

Pur avendo fatto una carriera tutta ospedaliera, ho sempre dedicato tempo alla ricerca clinica finalizzata al miglioramento della qualità delle cure. Per questa attività ho avuto l’opportunità di entrare all’inizio degli anni ’80 nell’Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri (Anmco), che mi ha consentito di essere coinvolto in importanti studi clinici come i GISSI – del Gruppo italiano per lo studio della sopravvivenza nell’infarto miocardico –, che hanno cambiato il modo di fare ricerca in Italia.

Come è cambiata la Medicina dai tempi in cui lei scelse questa professione?
O, meglio: qual è il cambiamento (o i cambiamenti) più radicale?

Quando ho iniziato la professione molti dei trattamenti che venivano utilizzati non erano basati su solide evidenze scientifiche ma sull’opinione dei cosiddetti “esperti” spesso autoreferenziali. Era l’era della “eminence-based medicine”. L’avvento dei trial clinici e delle linee guida ha introdotto profondi cambiamenti nel modo di praticare la medicina. Questo, insieme alla crescente disponibilità delle tecnologie diagnostiche, è stato un grande avanzamento ma nello stesso tempo rischia purtroppo di rendere obsoleta la figura artigianale del “bravo dottore” capace di fare una buona anamnesi e un accurato esame clinico del paziente.

E – se dovesse indicarne uno – quale cambiamento del servizio sanitario e della sua organizzazione ritiene sia stato il più importante?

Dal punto di vista organizzativo, il cambiamento più importante dall’istituzione nel 1978 del Servizio sanitario nazionale (Ssn) è stato l’aziendalizzazione del sistema sanitario pubblico italiano avvenuta nel 1992. Sarebbe lungo discutere i punti di forza e di debolezza di questa riforma che ha introdotto criteri di maggiore efficienza e funzionalità delle strutture sanitarie, ma nello stesso tempo ha esasperato l’attenzione verso gli aspetti economicistici troppo spesso prevalenti su quelli sanitari.

È evidente che la differenza la fanno le persone chiamate ad amministrare le aziende sanitarie. Personalmente nella mia realtà bolognese ho avuto la fortuna di incontrare manager di altissima competenza e capacità di relazione con i professionisti. È stato per me un sollievo lasciare alle spalle gli anni grigi dei comitati di gestione lottizzati dalla politica.

“Dietro ogni caso clinico c’è una storia”: è d’accordo?
Quanto è importante per il medico saper cogliere, comprendere e raccontare queste storie?

Purtroppo oggi il rischio è quello di non dedicare tempo sufficiente ad ascoltare le storie dei pazienti. È stato calcolato che durante una visita medica il medico interrompe il paziente dopo meno di trenta secondi da quando ha iniziato a raccontare la sua storia. Si dice che il tempo di ascolto è tempo di cura, ma nella pratica l’ascolto viene spesso considerato tempo sottratto ad altri compiti medici che si ritengono più importanti. È vero che il medico è pressato da troppi impegni anche burocratici, ma spesso la mancanza di tempo è un alibi per non ascoltare il paziente. Penso che debba essere recuperata questo aspetto “sacrale” della nostra professione. La maggior parte dei contenziosi medico-legali sollevati dai pazienti avvengono non per una malpractice, ma perché il paziente non si è sentito ascoltato. L’attenzione per le storie dei pazienti è alla base della medicina narrativa che anche i medici giovani dovrebbero imparare a conoscere.

Nella mia vita professionale ho compreso l’importanza non solo dell’ascolto del paziente ma anche dei suoi familiari. Il colloquio con i familiari viene invece spesso vissuto in ospedale come un dispendio di tempo da ridurre al minimo richiesto

C’è un’enfasi crescente sulle storie dei pazienti: crede che un’attenzione simile sui vissuti dei medici, degli infermieri, dei ricercatori potrebbe essere utile, per esempio per avvicinare i cittadini al sistema sanitario?

Durante la pandemia di Covid le storie dei medici e degli infermieri hanno richiamato l’attenzione e l’empatia dei cittadini che si sono sentiti vicini al servizio sanitario, apprezzando il grande e faticoso lavoro dei suoi operatori. Tutto questo purtroppo è improvvisamente svanito quando siamo usciti dalla pandemia e il livello di fiducia dei cittadini nei confronti del medico si è gradualmente affievolito. Penso che una parte di responsabilità sia anche dei media, che dedicano grande spazio agli episodi, per fortuna sporadici, di malasanità, perché le storie belle non fanno notizia. In questo ci dovrebbe essere una maggiore attenzione delle istituzioni e degli uffici stampa delle aziende sanitarie a dare visibilità alle buone pratiche in sanità.

Qual è la parte del suo lavoro più gratificante? E quella più noiosa?

La parte più gratificante del lavoro per me è sempre stata il rapporto quotidiano con i pazienti in terapia intensiva, in reparto o in ambulatorio e anche il confronto quotidiano con i colleghi.

La parte più noiosa è stata invece quella di dovermi occupare di compiti che al mio posto avrebbe potuto fare il personale amministrativo, purtroppo oggi carente nell’organizzazione sanitaria. Scherzando ho spesso detto ai miei superiori che forse ero pagato troppo per le ore spese a battere al computer lettere e relazioni di attività che meglio di me avrebbe potuto fare una segretaria.

Qual è stato il suo primo “esame”, non intendendo con questo gli impegni scolastici?

La prima prova di esame è stata la mia prima notte di guardia in ospedale. Ero già specializzato in cardiologia, ma in attesa di concorsi avevo accettato un incarico nella Medicina Interna di un piccolo ospedale nel quale, oltre al reparto, si veniva chiamati anche in pronto soccorso. Ricordo di non essere riuscito a chiudere occhio per l’ansia di non essere in grado di gestire tutte le urgenze, soprattutto quelle non cardiologiche. Per fortuna andò tutto bene e riuscii dopo la prima notte di guardia a rompere il ghiaccio.

Qual è il suo più grande rammarico?

Non avere avuto la possibilità da giovane di fare esperienze all’estero di lunga durata. Il mio primario purtroppo non riteneva che questo fosse importante per la mia crescita professionale. Quando poi sono diventato primario ho sempre cercato di facilitare stage all’estero ai miei giovani collaboratori.

Lettura, scrittura, aggiornamento

Quale forma di aggiornamento le sembra più utile?

Sicuramente la lettura delle riviste scientifiche, in particolare rassegne di qualità su specifici argomenti. La partecipazione ai congressi è anch’essa una forma di aggiornamento utile, ma andrebbero accuratamente selezionati i congressi che hanno veramente una forte valenza formativa.

Qual è la sua rivista scientifica preferita?

Il Journal of American College of Cardiology, del quale apprezzo in particolare le rassegne, e il Giornale Italiano di Cardiologia, che leggo da oltre 40 anni e del quale oggi ho il privilegio e l’onere di essere editor. Per essere aggiornato anche sugli argomenti non cardiologici senza dubbio il New England Journal of Medicine.

Che tipo di “informazione scientifica preferisce?

Articoli brevi e rassegne di elevata qualità che consentono un aggiornamento valido per chi non ha molto tempo a disposizione.

Se il suo lavoro prevede di prendere decisioni cliniche, le sono utili – e usa – strumenti come Dynamed o UpToDate?

Se devo prendere decisioni cliniche difficili, in particolare in contesti dei quali non ho una specifica esperienza, preferisco consultare colleghi esperti di riferimento per quella determinata patologia.

Pensa sia corretto considerare le revisioni sistematiche il riferimento più affidabile?

Costituiscono un riferimento di grande utilità perché per chi è molto impegnato nell’attività clinica è difficile stare dietro a tutti i lavori scientifici che ogni giorno vengono pubblicati e selezionare quelli che veramente apportano nuove conoscenze.

Come potrebbe cambiare in meglio la letteratura scientifica?

Esiste a mio parere un problema emergente che è quello delle cosiddette “riviste predatorie”, che a pagamento pubblicano di tutto, sostenendo che gli articoli sono stati sottoposti a regolare peer review. È una seria minaccia per l’integrità dell’informazione scientifica e sarebbe auspicabile una presa di posizione degli editor delle più importanti riviste scientifiche. Purtroppo la smania di pubblicare a tutti i costi spinge molti ricercatori ad accogliere gli inviti, che anch’io ricevo giornalmente per mail, a sottomettere con la garanzia di pubblicazione qualsiasi lavoro su queste riviste, che spesso vantano anche un impact factor.

Le capita ancora di sfogliare l’edizione cartacea di una rivista o consulta la letteratura solo su internet?

Probabilmente anche per motivi anagrafici sono ancora affezionato al cartaceo, che riesco a leggere meglio, come avviene anche per i libri. Molte riviste scientifiche anche per ridurre i costi sono oggi online only, ma ad esempio, in un sondaggio condotto qualche anno fa tra i cardiologi italiani, è emerso che la maggioranza gradisce ricevere ancora in forma cartacea il Giornale Italiano di Cardiologia. Penso pertanto di essere in buona compagnia.

Utilizzo ovviamente internet quando devo fare una rapida ricerca bibliografica, spesso per preparare relazioni congressuali.

Riceve newsletter di riviste come Lancet o BMJ o riviste specialistiche come JACC o Circulation?

Sì, giornalmente, e le ritengo molto utili per essere aggiornato in tempo reale sulla letteratura scientifica attraverso la segnalazione degli articoli appena pubblicati ahed of print.

Legge articoli scientifici sullo smartphone?

Leggo a volte i titoli e gli abstract, ma se l’argomento mi interessa preferisco poi leggere l’articolo stampandolo e magari anche sottolineando le parti importanti con la matita rosso-blu.

La medicina basata sulle evidenze è ancora attuale?

La medicina basata sull’evidenza costituisce il grande progresso rispetto all’autorenferenzialità del passato e le linee guida costituiscono un utile strumento per la pratica clinica. Tuttavia molte raccomandazioni anche forti delle linee guida sono basate su bassi livelli di evidenza, ed esistono grey zones della medicina dove le decisioni devono essere prese sulla base dell’esperienza clinica del medico e la condivisione delle scelte con il paziente correttamente informato. È lo shared decision making del quale oggi molto si parla.

Chi è un “esperto” in campo medico?

Un esperto è chi, oltre a una vasta cultura scientifica, ha una grande esperienza clinica maturata sul campo.

Internet e la disponibilità di mille e intelligenti pareri mettono in crisi l’utilità degli “esperti”?

Penso che l’intelligenza artificiale se utilizzata in modo “intelligente” potrà costituire un grande aiuto per il medico, ma non potrà mai sostituirlo perché soltanto attraverso l’esperienza clinica e l’attenzione per i particolari è possibile, nei casi difficili, giungere a una diagnosi corretta e fare le migliori scelte terapeutiche.

Ricordi passioni e…

Parlando della vita fuori dal lavoro, può dirci una cosa che la appassiona veramente?

Viaggiare e vedere altre culture, anche se purtroppo il Covid ha rallentato per qualche anno la possibilità di fare viaggi all’estero.

In cucina preferisce stare ai fornelli o a tavola?

Preferisco stare a tavola anche perché mia moglie è particolarmente brava a cucinare e sarebbe difficile competere con lei.

Quale ricetta suggerirebbe ai nostri lettori?

Spaghetti in bianco con carciofi e bottarga grattugiata, un piatto invernale semplice da preparare ma molto gustoso.

Qual è il suo romanzo preferito?

Uno dei romanzi più belli letti negli ultimi anni è “Come vento cucito alla terra” di Ilaria Tuti, la storia delle prime donne chirurgo all’epoca della Prima Guerra mondiale.

Ha libri sul comodino?

No, perché rischierei di addormentarmi con gli occhiali e il libro in faccia come qualche volta mi è successo con il giornale.

Legge e-book?

No, preferisco avere in mano il libro cartaceo da sfogliare e sentire l’odore della carta stampata.

Ricorda l’ultimo libro che ha regalato?

A un’amica ricoverata in ospedale ho regalato l’ultimo libro di Andrea Vitali, uno scrittore medico di Bellano che scrive storie molto leggere e divertenti ambientate sul lago di Como nel periodo buio del fascismo.

Usa Whatsapp anche come mezzo per comunicazione di lavoro?

Sì, ma con moderazione e solo per comunicazioni brevi e sintetiche.

Frequenta i social network come Facebook o Twitter?

Non ho mai frequentato i social media perché non ho molto tempo e vedo che per molti sta diventando un’ossessione e una dipendenza.

Col computer ha un rapporto complice o conflittuale?

Lo utilizzo abitualmente per quello che mi serve ma non ne sono dipendente.

Curiosità

Qual è l’ultimo film che ha visto?

“Io capitano” di Matteo Garrone, un film che consiglio a tutti.

Se dovesse scegliere un romanzo e un film che un giovane medico dovrebbe sicuramente conoscere, quali sarebbero?

Un libro che consiglierei vivamente di leggere a un giovane medico è “L’arte perduta di guarire” di Bernard Lown che affronta una delle principali criticità della medicina moderna ipertecnologica che è quella dell’indebolimento delle relazioni umane medico-paziente.

Un film che dovrebbe essere visto da un giovane medico è “Patch Adams” con Robin Williams, del 1998, che insegna l’importanza di curare la persona piuttosto che la malattia.

Qual è la città italiana dove va più volentieri?

Sicuramente Roma dove ogni volta c’è la possibilità di visitare cose diverse.