Melanoma avanzato con malattia a basso carico e a basso rischio: un caso clinico

Melissa Bersanelli1

1Unità Operativa di Oncologia Medica, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma.

Riassunto. La gestione dei pazienti affetti da melanoma avanzato sta diventando sempre più complessa rispetto al passato, principalmente grazie alle innovazioni introdotte nello scenario terapeutico attuale. Nuove opzioni di trattamento, come l’immunoterapia combinata con ipilimumab e nivolumab, e inibitori di BRAF e MEK di nuova introduzione, quali encorafenib e binimetinib, sono state recentemente approvate dalle autorità regolatorie italiane, arricchendo l’armamentario di terapia sistemica per questa malattia. In questo contesto, la personalizzazione del trattamento in base alle caratteristiche del paziente è ancora più cruciale per migliorare l’outcome clinico. I pazienti con malattia a basso carico organico e a basso rischio (per es., con livelli normali di LDH), la cui prognosi e il cui outcome al trattamento sistemico sono migliori, rappresentano una sfida clinica per l’oncologo, meritando il tentativo di perseguire risposte complete a lungo termine. Il caso di seguito riportato è rappresentativo di questa situazione clinica.

Parole chiave. Basso carico, basso rischio, BRAF inibitore, melanoma, MEK inibitore, mutazione BRAF.

Advanced melanoma with low-burden and low-risk disease: a clinical case.

Summary. The management of patients with advanced melanoma is becoming more complex than in past years, due to the recent innovations in the therapeutic scenario. New treatment options, such as the immunotherapeutic combination of ipilimumab and nivolumab, and new BRAF and MEK inhibitors recently introduced, namely encorafenib and binimetinib, were recently approved by the Italian regulatory entities, enriching the systemic therapy armamentarium. In this context, tailoring the therapeutic strategy basing on the patient’s characteristics is even more crucial to improve the clinical outcome. Patients with low tumor burden and low-risk disease (i.e., with normal LDH levels), having higher survival rates and probability of good outcome to systemic therapy, represent a challenge for the clinician, deserving the attempt to reach long-term complete responses. The following case report is quite representative of the above-mentioned clinical situation.

Key words. BRAF inhibitor, BRAF mutation, low-burden, low-risk, MEK inhibitor, melanoma.

Introduzione

La gestione dei pazienti affetti da melanoma avanzato sta diventando sempre più complessa rispetto al passato, principalmente grazie alle innovazioni introdotte nello scenario terapeutico attuale. Nuove opzioni di trattamento, come l’immunoterapia combinata con ipilimumab e nivolumab, e inibitori di BRAF e MEK di nuova introduzione, quali encorafenib e binimetinib, sono state recentemente approvate dalle autorità regolatorie italiane, arricchendo l’armamentario della terapia sistemica per questa malattia1,2.

In questo contesto, la personalizzazione del trattamento in base alle caratteristiche del paziente è ancora più cruciale per migliorare l’outcome clinico. I pazienti con malattia a basso carico organico e a basso rischio (per es., con livelli normali di LDH), la cui prognosi e il cui outcome al trattamento sistemico sono migliori, rappresentano una sfida clinica per l’oncologo, meritando il tentativo di perseguire risposte complete a lungo termine3-7.

Il caso di seguito riportato è rappresentativo di questa situazione clinica.

Caso clinico

Anamnesi fisiologica e patologica remota

La paziente è una donna di 44 anni, di professione impiegata, che presenta fototipo 4, cute moderatamente foto-esposta, body mass index di 34.

Non presenta familiarità per melanoma, né per altre neoplasie.

Nella storia clinica si riportano tonsillectomia e appendicectomia durante l’adolescenza, salpingectomia a intento contraccettivo all’età di 40 anni, stato di buona salute e assenza di terapie concomitanti.

Anamnesi oncologica: diagnosi e stadiazione

Nel giugno 2018 la paziente nota la comparsa di una lesione cutanea sanguinante, non pigmentata, al gluteo sinistro, alla quale non attribuisce significato patologico, dilazionandone la segnalazione al medico di alcuni mesi.

Nel dicembre 2018 si sottopone a visita dermatologica, e lo specialista dopo l’esame dermatoscopico pone indicazione alla biopsia escissionale della lesione.

All’esame istologico si evince la diagnosi di melanoma a diffusione superficiale, ulcerato, scarsamente pigmentato, in fase di crescita verticale, infiltrante il derma reticolare, IV livello di Clark, Breslow 1,8 mm (pT2b). I margini e il fondo del prelievo risultano indenni.

Nel gennaio 2019, in seguito alla definizione diagnostica, la paziente viene sottoposta dal dermatologo a esami di stadiazione radiologica prima di procedere alla linfoscintigrafia per la ricerca del linfonodo sentinella.

L’ecografia linfonodale inguinale risulta negativa per linfoadenopatie patologiche, riscontrando solo alcuni linfonodi di aspetto reattivo bilateralmente. La tomografia computerizzata (TC) total body con mezzo di contrasto (mdc) risulta negativa oncologicamente, confermando i linfonodi inguinali bilaterali di aspetto reattivo, di dimensioni subcentimetriche. La tomografia a emissione di positroni (PET) con 18FDG effettuata per completamento della stadiazione non evidenzia lesioni a elevata attività metabolica.

La paziente viene quindi avviata, alla fine di gennaio 2019, a intervento di allargamento della cicatrice chirurgica con margine di 1 cm (negativo per residui di melanoma) e asportazione del linfonodo sentinella a livello inguinale sinistro, identificato con linfoscintigrafia.

L’esame istologico definitivo risulta positivo per metastasi linfonodale di melanoma, con multipli foci subcapsulari e intraparenchimali in tutte le sezioni esaminate, diametro massimo 4 mm, senza estensione extracapsulare. All’analisi molecolare con reazione polimerasica a catena (polymerase chain reaction - PCR) la neoplasia risulta positiva per mutazione BRAF V600E.

Terapia chirurgica

La paziente, informata dal chirurgo plastico della possibilità di dissezione linfonodale inguinale profilattica, resa edotta del dubbio beneficio atteso dalla procedura chirurgica sul rischio di recidiva e sulla sopravvivenza melanoma-specifica a lungo termine8-10, a fronte del rischio di linfedema cronico11, decide di sottoporsi all’intervento prima di accedere a consulto oncologico.

Nel febbraio 2019 la paziente viene dunque sottoposta a linfoadenectomia inguinale sinistra, senza complicanze post-operatorie. L’esame istologico definitivo riporta 18 linfonodi indenni da metastasi. A distanza di alcune settimane dall’intervento esita linfedema di grado moderato, con necessità di calza elastocompressiva in uso continuo.

Considerato lo stadio IIIB per pT2bN1a cM0, la paziente viene infine affidata all’oncologo per valutare una terapia sistemica a intento adiuvante.

Terapia adiuvante

Al momento della prima visita oncologica nel marzo 2019, la paziente si presenta in buone condizioni generali, con performance status di 0 secondo la scala ECOG, nonostante parziale limitazione funzionale per linfedema G2 all’arto inferiore sinistro, gestito con uso di calza elastocompressiva a permanenza.

Informata dall’oncologo delle possibilità terapeutiche adiuvanti, e dei relativi rischi e benefici attesi in base allo stadio di malattia, opta per un trattamento immunoterapico12-14. Da aprile 2019 a marzo 2020 riceve 24 somministrazioni di terapia adiuvante con nivolumab alla dose di 240 mg ogni 2 settimane, senza sviluppare eventi avversi e mantenendo qualità di vita (QoL) ottimale. I controlli radiologici con TC total body con mdc ed ecografie eseguiti ogni 3-4 mesi durante il trattamento non mostrano ripresa di malattia.

Nell’aprile 2020, al termine del trattamento adiuvante, la TC total body con mdc di ristadiazione risulta negativa. Nel luglio 2020 l’ecografia segnala alcuni linfonodi centimetrici da monitorare in sede inguinale destra.

Recidiva di malattia

Nel dicembre 2020 la paziente viene sottoposta a TC/PET con 18FDG, con dubbie captazioni a carico di un linfonodo iliaco-comune sinistro (SUV 4.1) e piccoli linfonodi inguinali omolaterali (SUV 1.2), ancora di significato flogistico per intensità e morfologia. Il linfonodo più sospetto è in sede profonda, non raggiungibile per agoaspirato con metodiche mininvasive; si opta pertanto per uno stretto controllo evolutivo.

Nel febbraio 2021 viene sottoposta a nuova PET con 18FDG, che risulta positiva per linfoadenopatie a elevata attività metabolica (SUV 7.8) a livello linfonodale iliaco comune sinistro (figura 1), confermando il pregresso reperto linfonodale profondo come francamente patologico.




Il quadro clinico, completato dalla TC total body con mdc (figura 2), è quello di una recidiva oligometastatica di malattia a livello linfonodale profondo (stadio IV), in assenza di ulteriori lesioni a distanza.




La situazione della paziente viene condivisa nell’ambito del percorso diagnostico-terapeutico assistenziale (PDTA) dedicato al melanoma escludendo in prima istanza l’intervento chirurgico per la sede difficilmente reperibile del linfonodo. Opzioni di terapia loco-regionale alternative, quali radiochirurgia o radioterapia stereotassica, vengono escluse per contiguità diretta della lesione con le anse intestinali, con il rischio di perforazione conseguente.

Si opta dunque per una terapia sistemica esclusiva, discutendo con la paziente le opzioni di trattamento a disposizione.

Il setting di recidiva dopo precedente terapia sistemica adiuvante è di difficile gestione, poiché basato su scarse evidenze pertinenti, costituite essenzialmente da un singolo studio retrospettivo con popolazione limitata e caratterizzata da bias di selezione negativa15. L’outcome riportato dallo studio citato per rechallenge con immunoterapia risulta inferiore rispetto all’opzione di trattamento con terapia target, perseguibile nei pazienti con mutazione di BRAF. Considerando la nota presenza di mutazione BRAF V600E nel caso della nostra paziente, tenuto conto dell’occorrenza della recidiva a distanza di meno di un anno dal termine dell’immunoterapia adiuvante con anti-PD-1, del basso carico di malattia e delle caratteristiche a basso rischio, vista l’assenza di comorbilità, si propone una terapia di I linea con encorafenib e binimetinib, a somministrazione orale, alle dosi standard rispettivamente di 450 mg/die e 45 mg BD16.

Terapia sistemica di I linea

Prima di iniziare il trattamento, la paziente viene sottoposta a screening cardiologico con elettrocardiogramma (ECG) ed eco-color-Doppler cardiaco, e a screening oculistico, che non evidenziano elementi patologici né controindicazioni alla terapia oncologica con BRAF e MEK inibitori. Gli esami ematici sono nei limiti di norma, incluso il valore di LDH. Le condizioni cliniche sono ottimali: la paziente è asintomatica, presenta ECOG PS 0, e in seguito a una dieta ipocalorica seguita nel 2020 con calo ponderale ha un BMI di 29.

Nel febbraio 2021 inizia la terapia orale con encorafenib e binimetinib a dosi standard. Consigliamo alla paziente idratazione cutanea frequente con emollienti, uso abituale di sapone all’urea, foto-protezione, monitoraggio pressorio domiciliare quotidiano e uso di probiotici e sintomatici in caso di alterazioni dell’alvo. La paziente viene edotta in particolare sulla possibilità di insorgenza di iperpiressia, da gestire attentamente consultando l’oncologo, anche considerato il contesto pandemico covid-19.

La prima rivalutazione radiologica con PET 18FDG viene programmata nell’aprile 2021, dopo due mesi di trattamento con encorafenib e binimetinib. L’esame mostra risposta metabolica completa alla terapia (figura 3).




Tollerabilità del trattamento

La paziente tollera complessivamente bene la terapia, non riportando soggettivamente eventi avversi durante il primo ciclo di somministrazione. Nel corso del primo mese di trattamento, agli esami ematici periodici si riscontra rialzo di grado 2 delle transaminasi, con AST 77 U/L e ALT 191 U/L.

Si propone dunque una pausa di 7 giorni dalla terapia, e al successivo controllo degli esami si apprezza il rientro delle transaminasi nei valori normali.

Durante il secondo mese di terapia la paziente riferisce prurito e xerosi cutanea di grado 1, gestita con prodotti topici emollienti. Si assiste a remissione spontanea e completa di tali lievi eventi avversi dal 3° mese di trattamento.

La terapia viene proseguita regolarmente senza ulteriori sospensioni né modificazioni di dose dei farmaci. La paziente si mantiene asintomatica, e non presenta ulteriori eventi avversi.

Outcome a lungo termine

La paziente prosegue la terapia con encorafenib e binimetinib a dose piena e viene sottoposta a TC total body con mdc nel settembre 2021: il reperto linfonodale noto risulta ridotto a dimensioni di 6 mm, senza contrast-enhancement; non compaiono secondarismi in altre sedi (figura 4).




La paziente prosegue il trattamento, mantenendo risposta metabolica completa di malattia alle successive indagini TC/PET, l’ultima delle quali effettuata nell’aprile 2022, e ottime condizioni generali con esami ematici nei limiti di norma a 14 mesi dall’inizio della terapia di I linea (figura 5).




Conclusioni

Il caso descritto è rappresentativo di un setting clinico di nuova generazione, in cui la paziente con malattia in stadio IV ha già ricevuto precedente terapia sistemica adiuvante, e allo stesso tempo è esemplificativo dell’iter ideale di un paziente a buona prognosi per basso carico di malattia e valori normali di LDH. Per queste motivazioni, si presta a considerazioni cliniche complesse, che tengano conto non solo delle caratteristiche della malattia e dell’individuo al momento della recidiva, ma anche della storia farmacologica pregressa e delle tempistiche della recidiva.

I pazienti con recidiva oltre 6 mesi dal termine dell’adiuvante hanno probabilmente una prognosi migliore rispetto ai casi, riportati dalla letteratura, con recidiva durante trattamento adiuvante o entro 6 mesi dal completamento dello stesso15.

In questa paziente il pattern di ripresa della malattia, con basso volume organico, interessamento solo linfonodale anche se di pertinenza profonda e quindi in stadio IV, e valori normali di LDH alla diagnosi di malattia metastatica, costituiscono elementi predittivi di buona prognosi, oltre che di elevate probabilità di risposta ottimale al trattamento sistemico con BRAF e MEK inibitori3,4.

La strategia terapeutica offerta, a fronte di eventi avversi lievi e risolti spontaneamente nel corso dei primi mesi di terapia, ha permesso il raggiungimento di un completo controllo a lungo termine della malattia, consentendo peraltro di mantenere una QoL ottimale per la paziente.

Conflitto di interessi: l’autrice dichiara di avere ricevuto fondi per attività di ricerca (tramite l’istituzione promotrice della ricerca) da Roche, Pfizer, Seqirus UK, Novartis, Bristol Myers Squibb (BMS), AstraZeneca, Sanofi Genzyme; dichiara inoltre di avere percepito onorari personali come consulente e come relatore a eventi scientifici da BMS, MSD, Novartis, AstraZeneca, Pierre Fabre, Pfizer, IPSEN, e compensi per cessione diritti d’autore da MSD, IPSEN, Novartis, Pfizer, Pierre Fabre, Sciclone Pharmaceuticals, Sanofi Genzyme.

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