Recensioni.

“Sul pubblicare in medicina”

di Stefano Cagliano




Finalmente è arrivato in libreria Sul pubblicare in medicina, libro di Luca De Fiore, un’opera che si sofferma su disgrazie varie nell’ambiente prossimo a quello editoriale. La prima cosa da dire è, però, che all’autore mi lega un’amicizia che può aver condizionato il mio giudizio. Ciò premesso, in poco più di 180 pagine è un mini-capolavoro da tenere tra le mani non fosse altro che per la magnifica immagine in copertina, opera para-simbiotica di Argenis Ibáñez e dell’intelligenza artificiale di Midjourney. Che quanto scrive Luca nel libro sia sul serio preoccupante lo dimostrano i commenti in apertura di Victor Montori della Mayo Clinic, di Jerome Kassirer, former editor del Nejm, di Steven Woloshin, del Center for Medicine and Media della Dormouth University, e di Jeremy Grimshaw, del Centre for Implementation Research di Ottawa. E poco più avanti la “Prefazione” firmata da Richard Smith, geniale direttore del Bmj.

La seconda cosa da dire è che se per qualcuno la parola “editoria” «evoca una professione fatta di cultura e profumo di carta – sostiene Luca nel capitolo dedicato a “Le cifre dell’editoria scientifica” – guardando alla scienza e alla medicina scopriremo di avere a che fare con qualcosa di diverso: più simile all’attività di agenzie di comunicazione che al mestiere degli editori novecenteschi». La terza è che non è una novità. Undici anni fa, in un numero di Politiche sanitarie del 2013, proprio Luca e il compianto Gianfranco Domenighetti scrissero che «l’informazione medico-scientifica è nelle mani di un’editoria specializzata che in oltre il 65 per cento dei casi ha finalità di profitto. Se la salute non è una merce – aggiungevano – il sapere utile a mantenere sane le persone o a curare i malati lo è: eccome se lo è»1. Sono passati anni ma rispetto al Luca di allora o a quello “intermedio” del 2018 co-autore di Conflitti di interessi e salute2, con l’odierno si trova un autore più maturo. Se prima scrivevano in due o in tre, oggi altri autori figurano come truppe d’appoggio.

Le cose con cui intende allarmarci Luca nell’Indice le riassumo proponendo in ordine alfabetico. Oltre al capitolo di apertura “Le cifre dell’editoria” – ne abbiamo parlato – troviamo i determinanti commerciali della cattiva condotta, la disseminazione della ricerca, la fabbricazione di articoli, l’impact factor, l’intelligenza artificiale, il narcisismo bibliometrico, l’open access, la peer review, le riviste predatorie. C’è molto altro però: il capitolo conclusivo dedicato a “Ripensare il sistema dell’informazione scientifica”. Il testo è chiarissimo, aggiornato, con tabelle utili, sempre con bibliografia esemplare. Forse l’unica sorpresa è non trovare il suo stile usuale – morbido e ironico – ma uno rapace, una sorta di “grido documentato”.

Tra i diversi cambiamenti che hanno mutato il mondo editoriale – trasformandosi in parte in un imbroglio – De Fiore cita le promesse annunciate dalle biblioteche pubbliche digitali e dall’open access: il movimento per l’accesso aperto come modello alternativo agli abbonamenti «è stato uno dei grandi cambiamenti dell’editoria scientifica degli ultimi decenni». Nonostante gli ottimi auspici, però, il capitolo si chiude sottolineando come «il movimento […] oggi è caratterizzato da luci e ombre: […] i profitti giganteschi dei grandi player dell’editoria scientifica pesano sempre e comunque sui conti pubblici».

Naturalmente, bisogna fare i conti con il nuovo che avanza, e nel libro si parla anche di intelligenza artificiale. Di fronte a certe metamorfosi culturali che reazioni possiamo avere? È possibile qualche critica? Il futuro lo abbiamo e «il ricorso alla intelligenza artificiale [o IA] nella comunicazione scientifica ha un potenziale enorme» scrive l’autore. Non so se siano altrettanto diffuse le riserve sull’impiego, fatto che in qualche modo mi preoccupa. Ma le riserve son rimaste, condivise anche da chi scrive, e sono state espresse sul periodico Nature a marzo del 2024: «La proliferazione degli strumenti di IA nella scienza rischia di introdurre una fase di ricerca scientifica in cui produciamo di più ma comprendiamo di meno»3.

Ripeto: quelle di questo libro sono pagine problematicamente esplosive. Anche per i nostri pensieri lenti e veloci è una provocazione continua. Non è da poco che anche Smith sottolinei come «questo libro importante fornisce una base da cui partire per il cambiamento».

Bibliografia

1. De Fiore L, Domenighetti G. La manipolazione della ricerca e dell’informazione scientifica. Politiche Sanitarie 2013; 14: 127-33.

2. Dirindin N, Rivoiro C, De Fiore L. Conflitti di interessi e salute. Bologna: Il Mulino, 2018; p. 184.

3. Messeri  L, Crockett MJ. Artificial intelligence and illusions of understanding in scientific research. Nature 2024; 627: 49-58.

“Franco Basaglia. Società, movimenti, istituzione, follia, corpo”

di Domenico Ribatti




In questo anno di celebrazioni per il centenario centenario della nascita di Franco Basaglia bene ha fatto la casa editrice Feltrinelli a pubblicare il saggio dal titolo “Franco Basaglia. Società, movimenti, istituzione, follia, corpo”. Ne sono autori lo psichiatra Mario Colucci, che lavora presso il Dipartimento di salute mentale di Trieste, psicoanalista, redattore della rivista “Aut Aut”, e Pierangelo Di Vittorio, operatore nei servizi di salute mentale di Trieste.

Gli autori scrivono che «avvicinarsi all’esperienza di Basaglia non è un’impresa facile. Bisogna fare i conti con la sua irriducibile complessità. La formazione scientifica e il pathos filosofico, l’attenzione ai saperi critici e l’impegno pratico e politico formano una fitta trama che non trova immediato riscontro in una cultura sempre più caratterizzata dallo specialismo e dal pragmatismo». Colucci e Di Vittorio ripercorrono le tappe più significative dell’esperienza di Basaglia e ne ricostruiscono il complesso profilo umano e intellettuale, l’intreccio di passione filosofica e impegno politico, di riflessione teorica e sperimentazione medica e istituzionale. Dal precoce interesse per le correnti psichiatriche d’impronta fenomenologica ed esistenzialistica alla prima comunità terapeutica di Gorizia; dal movimento antistituzionale ispirato alle analisi di Foucault e Goffman alla creazione di “Psichiatria democratica”; fino all’esperienza più emblematica, quella di Trieste, in cui furono poste le basi per il definitivo superamento dei manicomi e per la legge 180 del 1978, che introdusse la revisione ordinamentale degli ospedali psichiatrici in Italia promuovendo trasformazioni nel trattamento sul territorio dei pazienti psichiatrici.

Basaglia vedeva la malattia come un prodotto sociale, i manicomi servivano a confinare le devianze dei poveri, a emarginare chi era già escluso dalla società, chi non era produttivo in una società basata sulla produttività. L’obiettivo era quello di considerarlo non più solo malato ma una persona con la quale entrare in relazione, per dare risposte reali alle sue necessità, considerandolo una persona alla stregua di tutte le altre. Per ottenere questo era necessario abolire le misure coercitive; ricostruire la storia della biografia del paziente; favorire la restituzione della sua autonomia materiale ed economica attraverso la creazione di una rete sociale per consentire la partecipazione attiva allo scambio di relazioni sociali e di servizi di supporto.

Al termine di questa passeggiata narrativa nella vita e nel pensiero di Basaglia, ci si domanda che cosa ne è stato di questo magnifico progetto. Ancora una volta gli autori ci vengono in soccorso: «Non ha molto senso oggi, a più di quarant’anni dalla sua morte, fare un consuntivo di questa esperienza. Tutto ciò che si può dire è che la sua avventura spirituale e politica può avere ancora un valore per noi. Non il valore di un monumento da celebrare ma quello di una cassetta degli attrezzi da usare. Insieme alla possibilità di intrecciare i saperi critici con le pratiche di trasformazione e l’impegno politico, la possibilità di articolare la dimensione soggettiva e spirituale con quella sociale e politica costituisce uno dei lasciti più preziosi dell’esperienza di Basaglia. Un “possibile” che oggi più che mai merita di essere trasmesso e magari sperimentato in altre fome».