Sacituzumab govitecan come seconda linea nell’algoritmo terapeutico delle pazienti ricadute precocemente dal termine della terapia neoadiuvante

Marta Perachino1,2,3, Matteo Lambertini1,2

1UO Clinica di Oncologia medica, Irccs Ospedale Policlinico San Martino, Genova; 2Dipartimento di Medicina interna e specialità mediche (DiMI), Scuola di Medicina e chirurgia, Università di Genova; 3Medical oncology service, Vall d’Hebron University Hospital and Vall d’Hebron Institute of Oncology, Barcellona, Spagna.

Pervenuto su invito il 24 maggio 2024. Non sottoposto a revisione critica esterna alla redazione della rivista.

Introduzione

Il tumore mammario è la diagnosi oncologica più comune nella popolazione femminile, interessando circa 1 donna su 8 nel corso della loro vita1. Un quinto dei casi di tumore mammario si presenta con fenotipo triplo negativo2, caratterizzato dalla negatività dei recettori ormonali (<1% di espressione del recettore degli estrogeni e quello del progesterone)3 e del recettore 2 del fattore di crescita epidermico umano (HER2/c-erb-B2), valutato mediante immunoistochimica o ibridazione in situ. Questa caratteristica ha reso la gestione clinica del carcinoma mammario triplo negativo (TNBC) molto difficoltosa per lungo tempo, con nessun’altra opzione terapeutica specifica oltre alla chemioterapia classica in considerazione dell’assenza di target specifici. In particolare, nonostante il trattamento con chemioterapia neoadiuvante, le pazienti con TNBC in stadio precoce hanno un rischio più elevato di recidiva e di morte entro i primi tre anni rispetto a quelle con altri sottotipi di tumore mammario4.

Il panorama terapeutico, tuttavia, è stato recentemente ampliato grazie all’introduzione di nuove molecole, in particolare l’immunoterapia e gli anticorpi farmaco coniugati (antibody-drug conjugates - ADC).

Dal 2022, l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha approvato l’ADC sacituzumab govitecan (SG), con la componente anticorpale diretta contro l’antigene di superficie cellulare trofoblastico 2 (anti-Trop-2), nel trattamento del TNBC avanzato/metastatico pretrattato con almeno due linee di terapia sistemica, di cui almeno una per la malattia metastatica. Il farmaco è stato approvato sulle scorte dei risultati dello studio di fase III ASCENT5, che ha dimostrato la superiorità di SG rispetto alla chemioterapia classica a scelta dello sperimentatore (eribulina, vinorelbina, capecitabina o gemcitabina) in questa popolazione. Nello studio sono state randomizzate un totale di 529 pazienti in un rapporto 1:1. Le pazienti trattate con SG hanno dimostrato un più lungo tempo a progressione di malattia (progression-free survival - PFS) e migliore sopravvivenza globale (overall survival - OS) rispetto alle pazienti incluse nel gruppo di controllo: rispettivamente, la PFS mediana è risultata di 4,8 vs 1,7 mesi (hazard ratio [HR] 0,41; 95% CI 0,33-0,52) e l’OS mediana di 11,8 vs 6,9 mesi (HR 0,51; 95% CI 0,42-0,63).

Una delle popolazioni maggiormente resistenti alla terapia, e inclusa nello studio ASCENT, è rappresentata dalle pazienti recidivate precocemente dal termine del trattamento neoadiuvante: tali pazienti, notoriamente, rappresentano una sfida per il clinico in quanto caratterizzate da refrattarietà ai trattamenti classici e, conseguentemente, da prognosi più infausta. In particolare, le pazienti che recidivano entro 12 mesi dal completamento del trattamento neo­adiuvante presentano una resistenza intrinseca alla chemioterapia citotossica classica e di conseguenza anche una minore probabilità di rispondere alle successive linee di terapia6. Tale popolazione di pazienti risulta pertanto quella con la maggiore necessità di terapie efficaci e verso la quale il clinico deve porre particolare attenzione alla scelta del trattamento più corretto.

Diversi studi hanno dimostrato che una risposta patologica completa (pathologic complete response - pCR) dopo terapia neoadiuvante è associata a un miglioramento della sopravvivenza libera da recidiva (event-free survival - EFS) e della OS7-9. L’entità di questo effetto varia a seconda del sottotipo biologico e assume particolare importanza soprattutto nel caso della malattia triplo negativa (oltre che in quella HER2 positiva). Al contrario, EFS e OS delle pazienti senza pCR sono generalmente più infauste. Allo scopo di migliorare la sopravvivenza di queste pazienti, sono stati disegnati diversi trial di terapia post-neoadiuvante che hanno dimostrato di migliorare la sopravvivenza libera da malattia (disease-free survival - DFS) e la OS delle pazienti in assenza di pCR10,11. Nonostante la diversa prognosi, le recidive sono possibili in tutte le pazienti: secondo un’ampia pooled analisi, la EFS a 5 anni è di circa il 90% per le pazienti con pCR7, mentre in quelle senza pCR è inferiore al 60%12.

L’introduzione dell’immunoterapia nel setting precoce ha contribuito a migliorare la prognosi delle pazienti con neoplasia triplo negativa: nel trial KEYNOTE-522, l’aggiunta di pembrolizumab alla chemioterapia neoadiuvante standard (paclitaxel, carboplatino, ciclofosfamide e antraciclina) ha portato a un miglioramento della EFS a cinque anni da 72,3% (95% CI 67,5-76,5) a 81,3% (95% CI 78,4-83,9). Anche in questo caso è stato confermato il ruolo fortemente prognostico della pCR: tra le pazienti con pCR, il 92,2% nel braccio sperimentale e l’88,2% nel braccio di controllo erano libere da eventi di EFS a cinque anni (HR 0,65; 95% CI 0,39-1,08); mentre tra le pazienti senza pCR, il 37,4% nel gruppo pembrolizumab-chemioterapia e il 47,7% nel gruppo placebo-chemioterapia hanno avuto un evento di EFS (HR 0,72; 95% CI, 0,54-0,96)13-15.

Nonostante il miglioramento della prognosi oncologica delle pazienti con neoplasia triplo negativa in stadio precoce grazie all’implementazione del trattamento neoadiuvante e il contributo dell’immunoterapia, come mostrato recentemente nel trial KEYNOTE-522, una quota non trascurabile di pazienti sviluppa una recidiva di malattia. Tra queste, coloro che hanno un intervallo libero da malattia inferiore a 1 anno hanno prognosi particolarmente sfavorevole e limitate opzioni terapeutiche. Un recente studio, condotto su quasi 2.000 pazienti, ha rivelato come la giovane età (età mediana 51 vs 56 anni, p<0,001) e il mancato riscontro di varianti patogenetiche a carico dei geni BRCA1/2 alla diagnosi metastatica (5,6% vs 7,6%, p<0,001 non aggiustato) fossero caratteristiche peculiari delle pazienti con recidiva precoce (≤12 mesi dal termine della neoadiuvante) rispetto a quelle con recidiva tardiva16. La recidiva precoce, inoltre, si è osservata con maggiore frequenza nei casi di tumore primario con stadio clinico avanzato (T3/T4, coinvolgimento linfonodale N2/N3). Sebbene le pazienti con recidiva precoce avessero un numero di siti metastatici alla diagnosi di malattia avanzata inferiore rispetto a quelle con recidiva tardiva, il tipo di sedi coinvolte era sovrapponibile (17% di metastasi cerebrali, 51-54% di metastasi viscerali escluso il coinvolgimento del sistema nervoso centrale). Anche in questo caso è stata confermata una minore OS mediana nel gruppo di pazienti con recidiva precoce rispetto a quelle con recidiva tardiva (10,1 mesi vs 17,1 mesi; HR 1,70; 95% CI 1,54-1,88). Allo stesso modo, le PFS al primo e al successivo trattamento sistemico (PFS2) sono risultate inferiori nel gruppo con recidiva precoce rispetto a quello con recidiva tardiva: la PFS mediana è stata di 3,1 mesi (95% CI 2,9-3,4) vs 5,3 mesi (95% CI 5,1-5,8) mentre la PFS2 mediana è stata di 6,3 mesi (95% CI 6,0-6,7) vs 10,1 mesi (95% CI 9,4-10,8), rispettivamente.

Il trial ASCENT ha previsto la possibilità di arruolamento delle pazienti con recidiva precoce, considerando il trattamento ricevuto in neoadiuvante come una delle due linee di chemioterapia necessarie per l’inclusione, con l’obiettivo di definire il reale beneficio dell’impiego di un ADC con payload citotossico (SN-38, inibitore delle topoisomerasi) rispetto alla chemioterapia citotossica classica. È stata condotta un’analisi esploratoria su questa specifica popolazione di pazienti arruolata all’interno dello studio ASCENT allo scopo di meglio comprendere il beneficio generato dalla terapia con SG17. Questa analisi ha incluso 33/235 e 32/233 pazienti randomizzate nei bracci SG e controllo, rispettivamente (in entrambi i casi corrispondenti al 14% della popolazione totale inclusa nel trial), che hanno avuto una recidiva di malattia ≤12 mesi dopo la fine della chemioterapia neoadiuvante e hanno ricevuto una prima linea di terapia nel contesto della malattia metastatica. La maggior parte di esse presentava un sottotipo triplo negativo alla diagnosi e aveva ricevuto nel setting precoce chemioterapia a base di ciclofosfamide, paclitaxel, carboplatino e antracicline; meno del 15% delle pazienti aveva ricevuto inibitori dei checkpoint immunitari (pembrolizumab). Come terapia di prima linea, la maggior parte delle pazienti aveva ricevuto carboplatino, gemcitabina e capecitabina. Per quanto riguarda i risultati di sopravvivenza, la PFS in questo sottogruppo di pazienti trattate con SG è risultata maggiore in maniera statisticamente significativa rispetto a quella delle pazienti nel braccio di controllo (mediana 5,7 mesi vs 1,5 mesi; HR 0,41; 95% CI 0,22-0,76) così come la OS (mediana 10,9 mesi vs 4,9 mesi; HR 0,51; 95%CI 0,28-0,91). La maggior parte delle pazienti in trattamento con SG ha avuto una riduzione nelle dimensioni del tumore, al contrario delle pazienti nel braccio di controllo con un tasso di risposta (objective response rate - ORR) del 30% vs 3%, rispettivamente; 1 paziente nel braccio SG ha presentato una risposta completa e 9 una risposta parziale. Il profilo di sicurezza di SG nel braccio sperimentale è risultato simile a quello della popolazione complessiva dello studio, con neutropenia, leucopenia e diarrea come eventi avversi principali per SG. Tali risultati hanno contribuito all’approvazione del farmaco e supportano il suo ruolo come trattamento di seconda linea da preferire in questo sottogruppo di pazienti.

Casi clinici

Tra gli aspetti più importanti da considerare in questa popolazione di pazienti, vi è la necessità di definire il corretto algoritmo terapeutico da proporre, considerato il precoce fallimento della terapia nel setting neoadiuvante. Nel numero di giugno 2024 di Recenti Progressi in Medicina, vengono presentati tre casi clinici che illustrano con dati di “real-life” l’efficacia e il profilo di tossicità di SG nelle pazienti con TNBC e ricaduta precoce (entro 12 mesi dal completamento del trattamento neoadiuvante).

Il primo caso (Beano)18 riporta la storia clinica di una giovane paziente diagnosticata a 37 anni con un tumore mammario con bassa espressione dei recettori ormonali, interessamento linfonodale, trattato upfront con chemioterapia neoadiuvante a base di antracicline, taxani e carboplatino nel 2021. In assenza di pCR (focolaio residuo di 2 mm di carcinoma infiltrante e 2/8 linfonodi asportati patologici - ypT1a ypN1a), la paziente veniva trattata con chemioterapia post-neoadiuvante a base di capecitabina, riportando tuttavia una ricaduta precoce di malattia con localizzazioni cutanee (DFS 5 mesi dal termine dell’ultimo trattamento sistemico). La paziente, dopo aver eseguito biopsia delle lesioni cutanee che confermava l’origine mammaria dei reperti con profilo biologico triplo negativo e positività per PD-L1, veniva avviata a una prima linea di chemio-immunoterapia secondo lo schema atezolizumab + nab-paclitaxel. Dopo soli tre cicli di trattamento, per progressione locale di malattia, veniva candidata a una seconda linea con SG (ancora in corso), con importante risposta di malattia.

Il secondo caso (Carlino, Feliciano)19 presenta la storia clinica di una giovane paziente (di 40 anni alla diagnosi), diagnosticata nel 2021 con un TNBC, esordito con stadio localmente avanzato trattato con chemioterapia neoadiuvante. Al contrario della prima paziente, in questo caso all’esame istologico definitivo si riscontrava una pCR, pertanto la paziente proseguiva con follow-up clinico strumentale. Tuttavia, in seguito a rialzo dei marcatori tumorali CEA e CA 15-3, aveva eseguito approfondimenti strumentali con il riscontro di recidiva di malattia linfonodale polidistrettuale. La paziente veniva quindi trattata con una chemio-immunoterapia di prima linea secondo lo schema dello studio IMpassion130 (atezolizumab e nab-paclitaxel)20, in considerazione della positività immunoistochimica per PD-L1 (assay VENTANA) eseguito su metastasi linfonodale. Per progressione linfonodale di malattia dopo 7 mesi dall’inizio del trattamento, è stato avviato il trattamento con SG, terapia tuttora in corso dopo 6 mesi con ottima risposta e profilo di tolleranza.

L’ultimo caso clinico (Di Lauro)21 riguarda una paziente con diagnosi di malattia triplo negativa con interessamento linfonodale, dapprima sottoposta a trattamento chemioterapico neoadiuvante senza conseguimento di pCR nel 2021, e ricaduta a livello cerebrale tre mesi dopo il termine della terapia post-neoadiuvante con capecitabina (di cui ha eseguito un solo ciclo per intolleranza). La paziente si presentava all’attenzione medica per ipostenia dell’emilato sinistro: gli accertamenti eseguiti confermavano la presenza di una lesione frontale a destra, in assenza di altre lesioni secondarie extra-craniche. La paziente veniva trattata con radioterapia stereotassica sulla singola lesione cerebrale e avviata a chemioterapia di prima linea con carboplatino + gemcitabina, in considerazione della negatività dell’espressione di PD-L1 sul tumore primitivo. A seguito di progressione linfonodale ed epatica di malattia (PFS 8 mesi), la paziente è stata avviata a una seconda linea di trattamento sistemico con SG, che ha proseguito per 10 mesi con ottima tolleranza.

Conclusioni

Nel corso della discussione di ciascun caso clinico vengono affrontati l’inquadramento, la gestione e l’algoritmo terapeutico scelto, commentati e contestualizzati alla luce delle recenti autorizzazioni prescrittive, enfatizzando il contributo in termini di efficacia e tollerabilità della nuova terapia con SG. Come elucidato nei casi clinici, SG rappresenta oggi un trattamento di seconda linea efficace nell’armamentario terapeutico delle pazienti con TNBC ricadute entro 12 mesi dal termine della terapia sistemica neoadiuvante, a fallimento da una prima linea di chemioterapia o chemio-immunoterapia (in caso di PD-L1 positività).

Conflitto di interessi: MP non riporta alcun conflitto d’interessi. ML riporta advisory role per Roche, Lilly, Novartis, AstraZeneca, Pfizer, Seagen, Gilead, MSD, Menarini ed Exact Sciences; speaker honoraria da Roche, Lilly, Novartis, Pfizer, Sandoz, Libbs, Daiichi Sankyo, Knight, Menarini e Takeda; travel grant da Gilead, Daiichi Sankyo e Roche; research support (al suo Istituto) da Gilead; ha inoltre percepito diritti d’autore da Il Pensiero Scientifico Editore – soggetto portatore di interessi commerciali in ambito medico scientifico..

Dichiarazioni: l’open access del documento è stato reso possibile grazie al contributo non condizionante di Gilead.

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