Paziente affetta da TNBC con ricaduta precoce entro 12 mesi dal trattamento adiuvante

Alessandra Beano1

1Ssd Oncologia senologica, Dipartimento di Oncologia, Aou Città della Salute e della Scienza di Torino.

Pervenuto il 22 aprile 2024. Accettato il 6 maggio 2024.

Riassunto. La malattia triplo negativa, ovvero l’assenza di espressione dei recettori ormonali e di HER2, resta a oggi il sottotipo a peggiore prognosi nell’ambito dei tumori mammari, e soprattutto in fase metastatica rimane un bisogno clinico irrisolto. Tuttavia anche in questo setting possiamo avvalerci di nuovi farmaci quali l’immunoterapia e gli anticorpi coniugati per poter ottenere un miglioramento della prognosi. In particolare, sacituzumab govitecan è il primo Ab coniugato che ha dimostrato un vantaggio in termini di sopravvivenza globale e libera da progressione in pazienti affette da carcinoma mammario triplo negativo metastatico pretrattate con 2-3 linee di terapia precedenti.

Parole chiave. Carcinoma della mammella triplo negativo metastatico, sacituzumab govitecan.

Patient with TNBC with early relapse within 12 months from adjuvant treatment.

Summary. Triple negative disease, defined by a lack of tumor cell expression of estrogen receptor, progesterone receptor and HER2, remains to date the worst prognosis subtype and especially in metastatic disease triple negative breast cancer is still un unmet clinical need. However, even in this setting, now we can use new drugs such as immunotherapy and antibodies drug conjugated to improve outcome. Particularly, sacituzumab govitecan is the first Ab drug conjugated demonstrating a significant improvement in terms of overall and progression free survival in patients affected by metastatic TNBC pretreated with 2-3 previous lines of therapy.

Key words. Sacituzumab govitecan, triple negative breast cancer.

Introduzione

Nel 2020 in Italia sono stati diagnosticati circa 55.000 nuovi casi di tumore della mammella (includendo circa 500 casi di tumori della mammella maschile); si tratta della neoplasia più frequente nelle donne, rappresentando all’incirca un terzo dei tumori femminili. Anche in Italia il tumore della mammella, a oggi, resta la prima causa di morte femminile per tumore, rappresentando il 28% delle morti per causa oncologica prima dei 50 anni, il 21% tra i 50 e i 69 anni e il 14% oltre i 70 anni. La mortalità appare in calo in tutte le classi di età, con una sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi di circa l’87%; tale riduzione della mortalità può essere riconducibile all’anticipazione diagnostica, ma anche ai progressi terapeutici1.

Il carcinoma mammario triplo negativo (TNBC), inteso come l’assenza dell’espressione dei recettori ormonali per estrogeni e progesterone (ER e PgR) e del recettore 2 del fattore di crescita epidermico umano (HER2), ha purtroppo una prognosi infausta. Anche se l’immunoterapia ha dimostrato una attività promettente in prima linea, per le pazienti con iperespressione del PD-L1, lo standard per le pazienti non candidate a immunoterapia e anche per queste nelle linee successive resta la monochemioterapia, per quanto però essa si associ a un basso tasso di risposta e a una breve sopravvivenza libera da progressione (PFS)2.

Caso clinico

Si descrive il caso di una giovane paziente affetta da metastasi cutanee da carcinoma mammario, trattata in seconda linea con sacituzumab govitecan (SG) (figura 1).




A settembre del 2020 giunge alla nostra attenzione una giovane donna cubana, di 37 anni, la quale in seguito ad autoriscontro di nodo mammario destro si è sottoposta a RX mammografica con ecografia mammaria e ascellare di completamento, con evidenza in Q1-2 destra di lesione nodulare di 24 mm a margini irregolari, ecograficamente corrispondente ad area ipoecogena disomogenea a margini irregolari del diametro di 3 cm; nel cavo ascellare destro si evidenziava linfonodo ovalare di circa 27 mm con ilo adiposo ma ben riconoscibile, e corticale lievemente ispessita, insieme a un ulteriore linfonodo ipoecogeno di 9 mm a margini irregolari con ilo non riconoscibile. Sia la lesione mammaria sia il linfonodo sono contestualmente stati sottoposti ad agobiopsia con conferma della natura neoplastica della lesione, associata ad adenopatia ascellare, anch’essa sottoposta a verifica istologica con conferma di secondarietà.

La biologia tumorale della lesione indicava una bassissima responsività ai recettori ormonali e una negatività del recettore HER2, ovvero ER 3%, PgR 3%, Ki67 35%, c-erb 1+.

La paziente è quindi stata sottoposta a RM mammaria, con conferma di lesione di tipo mass di 2,5 cm, associata a linfonodi ascellari sospetti per secondarietà. La stadiazione sistemica di malattia è risultata negativa. Si è pertanto deciso collegialmente di avviare la paziente a chemioterapia (CT) neoadiuvante e di richiedere l’analisi BRCA per la ricerca di eventuale mutazione, poi rivelatasi assente.

La paziente ha eseguito 4 cicli di epirubicina 90 mg/m2 e ciclofosfamide 600 mg/m2 con schedula dose dense con supporto G-CSF, e successivamente 12 cicli di carboplatino AUC 1,5 e paclitaxel 80 mg/m2 settimanali. Alla rivalutazione radiologica si è dimostrata una netta regressione della lesione mammaria destra con diametro di circa 1 cm e persistenza di un solo linfonodo con caratteri sospetti per secondarietà.

A maggio 2021 la paziente è stata sottoposta a intervento chirurgico di ampia resezione Q1 destra con dissezione ascellare, con esame istologico definitivo deponente per microfocolaio residuo di carcinoma duttale infiltrante di 2 mm, ypT1a, con positività di due linfonodi ascellari su 8 esaminati con la presenza di superamento capsulare, ypN1a, confermandosi anche la biologia triplo negativa (ER e PgR 0, Ki67 70%, c-erb 1+).




Considerando il non ottenimento della risposta patologica completa e la negatività della mutazione BRCA, la paziente è stata avviata a un trattamento radioterapico sulla mammella residua e sulla fossa sopraclaveare omolaterale e successivamente a un trattamento chemioterapico adiuvante con capecitabina.

Nel febbraio 2022 venivano completati 6 cicli di trattamento complessivi e la paziente avviata al follow-up. Alla visita di controllo di luglio 2022, si rilevava la comparsa di plurime aree rilevate, in parte con tendenza all’ulcerazione, a livello della mammella destra, che venivano sottoposte a biopsia con conferma dell’origine mammaria e della stessa biologia tumorale rilevata in precedenza, ovvero ER 0, PgR 0, Ki67 70%, c-erb 1+. Sulla biopsia cutanea veniva inoltre richiesta la determinazione del PD-L1, che risultava positiva.

Trascorsi 13 mesi dal termine del trattamento neoadiuvante e 5 dal termine del trattamento adiuvante, la paziente viene candidata a trattamento di prima linea con atezolizumab e nab-paclitaxel.

Dopo 3 cicli di terapia, a settembre del 2022, si è rilevato un incremento delle lesioni cutanee, alcune con gemizio ematico, con insorgenza di dolore cutaneo urente. Anche la PET ha dimostrato una progressione di malattia in tale sede, escludendo la presenza di malattia in altri distretti, viscerali e non.

La paziente, essendo purtroppo andata incontro a una ricaduta precoce di malattia, dopo soli 5 mesi dal termine del trattamento adiuvante, ha potuto avviare una seconda linea di trattamento con SG, ottenendo una progressiva detersione delle lesioni cutanee fin dai primi cicli, con una cessazione del sanguinamento e un miglioramento della sintomatologia algica.

Alla ristadiazione di malattia dopo 3 cicli la PET rileva una risposta parziale a livello delle lesioni cutanee della regione mammaria destra, ridotte dimensionalmente e meno intensamente captanti (figure 2 e 3).

La paziente sta tuttora proseguendo il trattamento con SG, con un ottimo profilo di tolleranza e senza necessità di riduzione di dose. Ha potuto anche effettuare un lungo viaggio (posponendo di una settimana il XII ciclo di terapia) per andare a salutare la sua famiglia a Cuba.

Discussione e conclusione

Diversi sono gli spunti di discussione che emergono dal caso presentato.




Dal punto di vista biologico, la maggior parte delle linee guida fissa il limite di positività dei recettori ormonali all’1% (ricordiamo che in questo caso il referto anatomopatologico riportava una positività del 3% per ER e PgR). Tuttavia è noto come diversi livelli di espressione siano associati a diversi gradi di sensibilità alla terapia endocrina, dal momento che l’espressione dei recettori ormonali può influenzare la biologia tumorale essendo una variabile continua. I tumori ERlow, definiti come quelli con espressione recettoriale compresa tra l’1 e il 10%, rappresentano un gruppo relativamente piccolo di carcinomi della mammella, con una prevalenza stimata tra il 2 e il 7%. Questi tumori sono simili alla malattia ER negativa in termini di assetto molecolare, caratteristiche clinicopatologiche, prognosi e risposta alle terapie3. La paziente pertanto è stata trattata come un TNBC e non come un tumore luminale, pur avendo una espressione recettoriale superiore all’1%.

Per quanto riguarda il trattamento in fase precoce, purtroppo al momento in cui la paziente ha affrontato la CT neoadiuvante non era ancora possibile in Italia aggiungere pembrolizumab al trattamento. Certamente l’immunoterapia in fase neoadiuvante rappresenta un’opzione terapeutica in più per queste pazienti, come si evince dai dati dello studio KEYNOTE-522, uno studio di fase 3 in cui le pazienti venivano randomizzate con ratio 2:1 a ricevere pembrolizumab o placebo in fase neoadiuvante in associazione alla CT standard con antracicline, carboplatino e paclitaxel. Dopo la chirurgia le pazienti proseguivano la sola immunoterapia (oppure il placebo) per 9 cicli. La percentuale di risposte complete patologiche (pCR) è risultata significativamente maggiore nel braccio di studio (64,8% vs 51,2%). Il beneficio è risultato indipendente dall’espressione o meno di PD-L1, a differenza di quanto accade nella malattia metastatica, a conferma di quanto la biologia tumorale possa cambiare nelle diverse fasi di malattia4. Certamente in futuro sarà da valutare quale possa essere un intervallo congruo dal termine dell’immunoterapia neo­adiuvante a un’eventuale ulteriore immunoterapia di prima linea, considerando anche la possibilità di poter impiegare un agente immunoterapico differente. Altro punto tuttora molto controverso è la necessità di proseguire o meno il trattamento con pembrolizumab dopo la chirurgia; a tal proposito, sono in corso due studi simili, OPTIMICE-pCR e OPTIMICE-RD, rispettivamente in caso di ottenimento di pCR e in caso di presenza di residuo di malattia.

Sempre riguardo al trattamento scelto nella fase precoce, è evidente dai dati di letteratura che le pazienti che, come la nostra, hanno un residuo di malattia alla chirurgia dopo un trattamento chemioterapico neoadiuvante possono beneficiare di terapie antineoplastiche addizionali. Lo studio CREATE X ha valutato l’impiego di capecitabina verso nessuna terapia addizionale in donne con residuo di malattia dopo trattamento primario e ha dimostrato un vantaggio in particolare nelle pazienti affette da TNBC, con una sopravvivenza libera da malattia (DFS) del 69,8% rispetto al 56,1% del braccio di controllo e una sopravvivenza globale (OS) del 78,8% verso 70,3%5. Lo studio CREATE X, insieme allo studio KATERINE nella malattia HER2 positiva, ha dimostrato per la prima volta e con grande forza metodologica che nelle pazienti in cui la malattia persiste dopo CT neoadiuvante è possibile migliorare la prognosi con un trattamento addizionale6.

Per quanto invece riguarda la fase metastatica di trattamento, la scelta di valutare la positività o meno di PD-L1 è dettata dai dati degli studi IMpassion1307 e KEYNOTE-3558. Nello studio di fase 3 IMpassion130 pazienti affette da TNBC metastatico e mai trattate per tale patologia sono state randomizzate a ricevere nab-paclitaxel in associazione ad atezolizumab o placebo. I fattori di stratificazione prevedevano il fatto di aver ricevuto un trattamento con taxani in fase precoce di malattia, la presenza di metastasi epatiche e l’espressione di PD-L1. Tale espressione viene valutata nell’ambito dell’infiltrato linfocitario tumorale come la percentuale di area con presenza o meno di cellule PD-L1 positive (<1% PD-L1 negative vs ≥1% ­PD-L1 positive). Sono state arruolate 451 pazienti e nelle pazienti PD-L1 positive la PFS mediana è risultata 7,5 vs 5 mesi, con una OS mediana di 25 vs 15,5 mesi7. Analoghi risultati sono emersi dallo studio KEYNOTE-355, in cui veniva valutata l’associazione di pembrolizumab a CT con nab-paclitaxel, paclitaxel o carboplatino e gemcitabina, con beneficio a favore del braccio di studio nelle pazienti con iperespressione di PD-L1, valutato questa volta attraverso la determinazione di CPS score (≥10 o <10). Sono state arruolate 847 pazienti con una PFS mediana di 9,7 vs 5,6 mesi a favore del braccio con pembrolizumab8. Alla luce di questi studi tutte le linee guida consigliano di valutare la positività di PD-L1 se possibile con entrambi i test in tutte le pazienti affette da TNBC alla prima ricaduta di malattia, candidabili a ricevere immunoterapia.

Infine, veniamo alla scelta della terapia di seconda linea. SG è un anticorpo (Ab) diretto contro l’antigene di superficie antitrofoblastico 2 (Trop-2), altamente espresso in molti tipi di tumore e in oltre il 90% dei tumori della mammella, coniugato attraverso un legame idrolizzabile al chemioterapico SN38, metabolita attivo dell’irinotecan. Il SN38 libero, cioè scisso dall’Ab attraverso l’idrolisi del linker oppure all’interno della cellula, è permeabile e può pertanto esercitare un’azione antitumorale contro le cellule tumorali adiacenti a quella alla quale si è legato l’Ab (effetto by stander).

Un primo studio basket (IMMU-132-01) aveva valutato l’impiego di SG in pazienti affetti da plurime neoplasie, e nella coorte di pazienti affette da TNBC (108 pazienti) si era ottenuta una percentuale di risposte obiettive del 33% e una PFS mediana di 5,5 mesi, con una OS mediana di 13 mesi9.

Lo studio ASCENT10 è uno studio di fase 3 randomizzato che ha valutato l’efficacia di SG confrontata alla CT di scelta del medico (eribulina, vinorelbina, capecitabina o gemcitabina) in pazienti con TNBC metastatico sottoposte in precedenza ad almeno 2 linee di terapia per la malattia metastatica comprendenti un taxano (in qualunque setting). Lo studio ha arruolato 529 pazienti in 7 Stati diversi, randomizzate a ricevere con ratio 1:1 SG vs un trattamento chemioterapico. Tutte le pazienti, come specificato dai criteri di inclusione, avevano ricevuto un trattamento con taxano, oltre l’80% era stato trattato anche con antracicline e un terzo circa delle pazienti (27%) aveva ricevuto anche una immunoterapia in prima linea; il 7% delle pazienti aveva ricevuto anche un trattamento con PARP inibitori (per la presenza di mutazione BRCA).

Il 30% circa delle pazienti non era TN alla diagnosi, ma tale riscontro era avvenuto in occasione di biopsia delle lesioni secondarie: ciò sottolinea l’importanza di effettuare una rideterminazione dei fattori biologici alla ricaduta, perché appunto in alcuni casi potrebbe permetterci di offrire nuove opportunità terapeutiche alle nostre pazienti.

Lo studio ha dimostrato un vantaggio per SG in termini di PFS e OS, con una mediana di 4,8 vs 1,7 mesi e 11,8 vs 6,9 mesi rispettivamente. Inoltre le pazienti trattate con SG hanno ottenuto una percentuale di risposte obiettive pari al 35% rispetto al solo 5% della CT convenzionale.

Il beneficio con SG è stato consistente in tutti i sottogruppi, incluse le pazienti che avevano ricevuto in precedenza una immunoterapia ed è stato similare anche nel sottogruppo di pazienti con malattia cerebrale. La performance del braccio di controllo è stata sovrapponibile a quella rilevata in altri studi con monochemioterapia, per esempio allo studio KEYNOTE -119, che coinvolgeva pazienti meno pesantemente pretrattate rispetto a quelle dello studio ASCENT e che valutava l’aggiunta di pembrolizumab alla CT con agente singolo (ottenendo quest’ultimo una PFS mediana di 3,3 mesi e OS mediana di 10,8 mesi), oppure all’analisi congiunta degli studi EMBRACE e 301 in cui eribulina veniva confrontata con altra CT (PFS mediana 2,6 mesi e OS mediana 8,2 mesi a favore di eribulina) (figura 4).




SG è il primo Ab monoclonale coniugato che ha dimostrato un beneficio significativo rispetto alla CT in termini di PFS e OS nelle pazienti affette da TNBC.

Conflitto di interessi: AB ha percepito diritti d’autore da Il Pensiero Scientifico Editore – soggetto portatore di interessi commerciali in ambito medico scientifico.

Dichiarazioni: l’open access del documento è stato reso possibile grazie al contributo non condizionante di Gilead.

Bibliografia

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2. National Comprehensive Cancer Network. NCCN clinical practice guidelines in oncology: breast cancer, version 3/2024.

3. Reinert T, Cascelli F, de Resende CAA, Gonçalves AC, Godo VSP, Barrios CH. Clinical implication of low estrogen receptor (ER-low) expression in breast cancer. Front Endocrinol 2022; 13: 1015388.

4. Schmid P, Cortes J, Pusztai L, et al.; KEYNOTE-522 Investigators. Pembrolizumab for early triple-negative breast cancer. N Engl J Med 2020; 382: 810-21.

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7. Schmid P, Adams S, Rugo H, et al.; IMpassion130 Trial Investigators. Atezolizumab and nab-paclitaxel in advanced triple-negative breast cancer. N Engl J Med 2018; 379: 2108-21.

8. Cortes J, Cescon D, Rugo H, et al.; KEYNOTE-355 Investigators. Pembrolizumab plus chemotherapy versus placebo plus chemotherapy for previously untreated locally recurrent inoperable or metastatic triple-negative breast cancer (KEYNOTE-355): a randomised, placebo-controlled, double-blind, phase 3 clinical trial. Lancet 2020; 396: 1817-28.

9. Bardia A, Mayer IA, Diamond JR, et al. Efficacy and safety of anti-Trop-2 anti- body drug conjugate sacituzumab govitecan (IMMU-132) in heavily pretreated patients with metastatic triple-negative breast cancer. J Clin Oncol 2017; 35: 2141-8.

10. Bardia A, Hurvitz S, Tolaney S, et al.; ASCENT Clinical Trial Investigators. Sacituzumab govitecan in metastatic triple-negative breast cancer. N Engl J Med 2021; 384: 1529-41.