Risposta mantenuta al trattamento di seconda linea con sacituzumab govitecan in paziente con malattia encefalica e sistemica da TNBC

Vincenzo Di Lauro1

1SC Oncologia clinica sperimentale di senologia, Dipartimento Corp-S assistenziale e di ricerca dei percorsi oncologici del Distretto toracico, INT Irccs Fondazione “Giovanni Pascale”, Napoli.

Pervenuto il 2 maggio 2024. Accettato il 6 maggio 2024.

Riassunto. La maggiore frequenza di metastatizzazione e la prognosi infausta della patologia mammaria triplo negativa richiedono un’expertise appropriata nell’impostare un adeguato ed efficace piano di cura per le pazienti affette. Il presente caso ripercorre la storia clinica di una donna di 63 anni BRCA1/2 wild-type con performance status sec ECOG 0 e tumore mammario PD-L1 negativo con secondarismi a sede encefalica, linfonodale ed epatica. Dopo progressione a livello frontale a un anno dal termine del trattamento chemioterapico neoadiuvante per un tumore localmente avanzato, la paziente è stata radiotrattata e candidata a un primo trattamento con platino, non completato per scarsa tolleranza. Gli esami strumentali di controllo hanno confermato una nuova progressione, stavolta anche viscerale, per cui alla paziente è stato proposto un nuovo regime con sacituzumab govitecan (SG). In corso di terapia, la paziente ha riportato riduzione delle lesioni target a livello epatico e linfonodale. La comparsa dopo mesi di due piccolissime ripetizioni cortico-sottocorticali, su cui è stata praticata radioterapia stereotassica, non ha indotto la discontinuazione del trattamento che è stato proseguito per altri sei mesi, con ottimo controllo della malattia encefalica e sistemica, in assenza di sintomatologia di rilievo, fino alla nuova progressione di malattia che ha coinvolto anche altri siti e ha richiesto un ulteriore cambio terapeutico. L’utilizzo degli anticorpi farmaco coniugati ha nel nostro caso permesso un prolungamento significativo del tempo alla progressione e della sopravvivenza globale, in uno scenario caratterizzato da prognosi infausta a causa della recidiva precoce e dell’interessamento cerebrale.

Parole chiave. Malattia encefalica, malattia metastatica, recidiva precoce, risposta prolungata, terapia di seconda linea, tumore mammario triplo negativo.

Long-term response to second-line treatment with sacituzumab govitecan in a patient affected by brain disease and early relpased TNBC.

Summary. The higher frequency of metastasization and poor prognosis of triple-negative breast cancer require suitable expertise in order to set up an appropriate and effective treatment plan for these patients. Our case describes the clinical history of a 63-year-old BRCA1/2 wild-type woman with excellent ECOG performance status and advanced PD-L1 negative breast cancer with brain, nodal and hepatic metastases. When occurred the brain progression within one year from neoadjuvant chemotherapy for a locally advanced tumor, the patient was treated with brain stereotaxis and a systemic platinum-based therapy that was not completed due to poor tolerance. Later instrumental examinations confirmed a new systemic and visceral progression, for which the patient underwent new therapy with sacituzumab govitecan (SG). During this treatment, we observed a reduction of the target liver and nodal lesions. The onset after several months of two very small cortico-subcortical metastases, on which stereotactic radiotherapy was performed, did not lead us to discontinuate the treatment, that was ongoing for another six months, with an excellent control both of brain and systemic disease without any symptoms, until a new disease progression at other sites requiring a therapeutic change. The use of antibody-drug conjugates allowed a significant prolongation of time to progression and overall survival in our clinical scenario characterized by poor prognosis due to early recurrence and brain involvement.

Key words. Brain metastases, early relapse, long-term disease control, metastatic triple-negative breast cancer, second-line treatment.

Introduzione

Il carcinoma mammario triplo negativo (TNBC), che rappresenta il 10-15% di tutti i nuovi casi di tumore mammario, si configura come un istotipo dal comportamento biologico aggressivo e prognosi peggiore, riscontrandosi frequentemente nelle pazienti giovani, portatrici di mutazione BRCA1. La velocità di crescita e la precoce e frequente metastatizzazione a distanza anche a livello encefalico rendono questi tumori difficili da trattare in maniera efficace, specialmente a causa delle limitate possibilità terapeutiche attualmente disponibili1,2. Tra le opzioni terapeutiche introdotte nella malattia avanzata da qualche anno con grandi risultati, accanto all’immunoterapia di prima linea per la patologia PD-L1 positiva e ai PARP-inibitori nella malattia con mutazione dei geni BRCA1/2, sicuramente l’avvento degli anticorpi farmaco coniugati (antibody-drug conjugates - ADC), in particolare sacituzumab govitecan (SG), ha rappresentato una svolta, garantendo ottime risposte obiettive e un buon controllo di malattia, indipendentemente dal livello di espressione di Trop-23 e prolungando pertanto la sopravvivenza delle pazienti trattate. Rispetto alla chemioterapia standard che per anni ha rappresentato l’unica possibilità disponibile per ritardare la progressione seppur in maniera non soddisfacente, SG permette oggi nel TNBC il raggiungimento di tutti gli endpoint di efficacia e sopravvivenza e al contempo offre un profilo di tossicità maneggevole, non impattando negativamente sulla qualità di vita. È possibile utilizzarlo anche nei tumori recidivati precocemente dopo trattamento chemioterapico nel setting peri-operatorio, a progressione da una prima linea standard per malattia metastatica. Inoltre, nei tumori con coinvolgimento cerebrale, caratterizzati da una prognosi particolarmente sfavorevole, SG permette un buon controllo di malattia intracranica rispetto alla terapia standard. In questo lavoro descriviamo il caso di una donna di media età con recidiva entro un anno dalla terapia neoadiuvante e metastasi cerebrali trattate e stabili che, dopo fallimento di una prima linea, peraltro scarsamente tollerata, ha proseguito con SG con buoni risultati in termini di risposte e tollerabilità.

Caso clinico

Presentazione del caso

Nel dicembre 2022 giungeva alla nostra osservazione una donna di 63 anni, socialmente attiva, in apparente buona salute con un BMI pari a 20. Ex fumatrice, riportava tra le sue copatologie solo malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) e psoriasi in fase non attiva non in trattamento. In anamnesi riferiva una storia familiare positiva per neoplasie (padre deceduto per tumore polmonare, zio materno affetto da epatocarcinoma e zia materna operata per tumore del retto), pur avendo effettuato l’analisi mutazionale dei geni BRCA1/2 e pannello HBOC risultati negativi per mutazioni. A settembre 2021 si era sottoposta a intervento chirurgico di mastectomia radicale destra con dissezione ascellare dopo chemioterapia neoadiuvante secondo lo schema epirubicina 90 mg/mq + ciclofosfamide 600 mg/mq q14 per 4 cicli seguiti da paclitaxel 80 mg/mq q7 per 12 somministrazioni da febbraio a luglio 2021 per un carcinoma localmente avanzato con scarsa risposta patologica al trattamento EI: CI NST ypT2 (2.2) ypN0 (0/9) ER: PgR: 0 Ki67: 80% HER2: 0. Dopo aver praticato prelievo per i polimorfismi di DYPD, aveva effettuato terapia adiuvante con capecitabina a dosaggio standard per un solo mese fino a dicembre 2021, interrotta per riacutizzazione della malattia psoriasica e malessere. Nel marzo 2022 afferiva al pronto soccorso per ipostenia dell’emilato sinistro, con riscontro alla RMN encefalica in corrispondenza della convessità frontale superiore destra di una formazione cortico-sottocorticale associata ad alone perilesionale, evocativa di secondarismo. A seguito di discussione multidisciplinare presso altro Istituto, la paziente era stata trattata con radioterapia stereotassica in un’unica seduta con miglioramento clinico, e candidata a nuova terapia sistemica con carboplatino + gemcitabina g1,8 q21, dopo analisi immunoistochimica dell’espressione di PD-L1 (test SP142) su campione mammario, risultata <1%. Aveva però discontinuato il trattamento dopo circa 6 mesi per astenia G2, neutropenia G3 e piastrinopenia G2 persistenti.

Trattamento

La rivalutazione strumentale di novembre 2022 con nuova Tc effettuata presso la nostra struttura evidenziava la comparsa di almeno due localizzazioni epatiche ipodense di natura secondaria, a livello dei segmenti VIII e V, a sede paracolecistica (la maggiore di 2 cm). Linfoadenopatie (max: 19 × 15 mm) a sede intercavo-aortica. Pressoché stabile (circa 26 mm) l’areola al giro post-centrale di destra alla RMN encefalo con mdc (figura 1 a,b,c).




Il caso veniva da noi ridiscusso in ambito multidisciplinare e, alla luce della progressione di malattia sistemica e del buon performance status della paziente, si valutavano le opzioni terapeutiche disponibili più efficaci. Dallo studio clinico ASCENT sappiamo che SG, il capostipite della classe degli ADC, composto da un anticorpo mirato al recettore Trop-2 legato al payload SN-38 tramite un linker idrolisabile4, si è dimostrato superiore in termini di efficacia nella overall population rispetto alla monochemioterapia standard scelta dal clinico in pazienti pretrattati con TNBC metastatico5. Nello studio erano inclusi anche pazienti con metastasi cerebrali purché in stabilità di malattia da almeno 4 settimane. Il trattamento con SG ha incrementato la sopravvivenza libera da progressione (PFS), oltre ai tassi di risposta, rispetto alla chemioterapia classica in pazienti con metastasi cerebrali stabili, senza tuttavia migliorare la sopravvivenza globale (OS). Una quota di pazienti inoltre ha ricevuto la terapia con SG alla recidiva di malattia verificatasi entro 12 mesi dal completamento della chemioterapia neoadiuvante, dopo una sola linea precedente di terapia nel setting metastatico. Una sottoanalisi dello studio relativa al gruppo di pazienti con malattia metastatica senza metastasi encefaliche all’esordio, che ha praticato SC come trattamento di seconda linea, ha confermato il vantaggio di sopravvivenza6. Sulla base di queste evidenze scientifiche robuste che hanno permesso l’introduzione di SG nelle principali linee guida internazionali relative al TNBC metastatico, la nostra paziente è stata pertanto candidata a terapia di seconda linea con SG, intrapresa a inizio dicembre 2022.

Follow-up

Il trattamento è stato ben tollerato fin dall’inizio, non riscontrandosi tossicità degne di nota che che richiedessero interruzioni anche temporanee o riduzioni di dose ed evidenziando una risposta mantenuta in corso di terapia. Alla RMN encefalo di marzo 2023 si evidenziava la comparsa di una piccola formazione solida sottocorticale del giro temporale inferiore destro di 3 mm e di un’altra minutissima formazione cercinata nella porzione anteriore dell’insula di sinistra, pur mantenendosi stabile la nota lesione frontale destra, per cui si decideva di radiotrattarle con tecnica stereotassica e proseguire terapia con SG. Continuava quindi la stessa terapia, in assenza di sintomatologia cerebrale e con consolidamento dell’eccellente risposta anche a livello sistemico. Alla Tc total body di maggio 2023 si apprezzava l’ulteriore riduzione dimensionale della nota formazione linfoghiandolare in sede intercavo-aortica (11 × 12 mm) e il significativo decremento della lesione epatica target (9,6 mm) (best response) (figura 2 a,b,c).




Proseguiva fino a settembre 2023, quando una nuova rivalutazione programmata documentava una franca progressione di malattia per evidenza di lesioni in ambito polmonare al LSD, linfoadenopatie a sede paratracheale destra, pre- e sub-carenale; localizzazioni epatiche ipodense di tipo secondario (almeno 5, la maggiore di quasi 2,6 cm), al IIs, al IIIs e alla cupola, gettoni solidi a livello omentale e in contiguità con il colon ascendente e con la flessura epatica dello stesso, in prossimità del trasverso, e linfoadenopatia a sede intercavo-aortica (max 16-14 mm attuali, in progressione). La RMN cerebrale mostrava un incremento di volume della nota lesione intra-assiale alla giunzione cortico-sottocorticale del giro post-centrale destro cui si associava ipodensità perilesionale da aumentata componente di edema vasogenico (figura 3 a,b,c).




Si candidava pertanto la paziente a successiva linea terapeutica con eribulina, praticata per pochi mesi.

Discussione

Nella scelta del trattamento di seconda linea per la nostra paziente è stato fondamentale valutare, oltre alle caratteristiche cliniche, il tempo alla recidiva di malattia, le sedi interessate e le opzioni terapeutiche supportate dalle maggiori evidenze scientifiche derivanti da trial randomizzati. Nel dettaglio, nello studio ASCENT, tra le 468 donne prevalentemente con TNBC all’esordio, senza metastasi encefaliche al basale e trattate alla recidiva di malattia occorsa entro un anno dal completamento della terapia neoadiuvante, il 14% (33/235) aveva ricevuto precocemente SG. In questo sottogruppo di pazienti, come abbiamo visto, SG ha mostrato un miglioramento significativo della PFS (mediana 5,7 vs 1,5 mesi; HR 0,41; 95% IC 0,22-0,76) e della OS (10,9 vs 4,9 mesi; HR 0,51; 95% IC 0,28-0,91) rispetto allo standard scelto dallo sperimentatore. Si confermava inoltre la maneggevolezza del farmaco relativamente al suo profilo di tossicità, in linea con la popolazione generale. Pertanto SG è attualmente approvato anche in pazienti con recidiva precoce dopo un precedente trattamento nel setting metastatico, alla luce dei risultati significativi in termini di sopravvivenza emersi dallo studio ASCENT6.

Altra questione che rappresenta un vero unmet need riguarda l’efficacia dei trattamenti nel gruppo di pazienti a prognosi sfavorevole, come nel nostro caso, con metastasi encefaliche da TNBC, seppure in presenza di malattia stabile, definita da protocollo come non progredita o in diminuzione da almeno due settimane alla sospensione della terapia anticonvulsivante e corticosteroidea e prima della randomizzazione. Pochi sono i farmaci attualmente impiegati in questo setting di malattia a garantire una sufficiente biodisponibilità cerebrale. SN-38 può attraversare la barriera ematoencefalica ed è un partner farmacologico utilizzato per la penetrazione a livello del sistema nervoso centrale, come dimostrato in modelli pre-clinici di xenotrapianto7. Un’analisi esplorativa post hoc presentata al San Antonio Breast Cancer Symposium (SABCS) del 2020, i cui risultati sono stati confermati da una recente analisi di sottogruppo non specifica per la malattia encefalica condotta sempre nell’ambito dello studio ASCENT8, ha analizzato 61 pazienti con metastasi cerebrali, precedentemente trattate, stabili per almeno 4 settimane alla risonanza magnetica rispetto a un esame basale9. Trentadue di questi pazienti sono stati sottoposti a SG e il 6% proseguiva il trattamento al momento del cutoff dei dati mentre nessuno risultava ongoing nel braccio di controllo, principalmente per progressione di malattia. La maggior parte dei partecipanti, negativi per le mutazioni BRCA1/2, aveva già praticato una mediana di cinque linee terapeutiche (range tra 2-10). SG si è dimostrato migliore in termini numerici rispetto alla monoterapia standard relativamente ai tassi di risposta e alla PFS, sebbene la dimensione campionaria fosse modesta. L’ORR in questa sottopopolazione a cattiva prognosi è stata del 3% con SG rispetto allo 0% con la chemioterapia con un controllo di malattia rispettivamente del 9% e del 3%. La maggior parte delle risposte riportate comprendeva una stabilizzazione della malattia (47% vs 31% nel braccio di controllo). Sebbene, come abbiamo visto, non si sia osservato un vantaggio in OS in questo sottogruppo, la PFS mediana è stata di 2,8 mesi (IC al 95% 1,5-3,9) con l’ADC e 1,6 mesi (IC al 95% 1,3-2,9) con la terapia classica (HR 0,65; IC al 95% 0,35-1,22). Inoltre, il tasso di PFS a 3 mesi nei pazienti con metastasi cerebrali è risultato rispettivamente del 41,4% contro 27,7% (circa il 14% in più con SG) e a 9 mesi del 9% contro 0% con terapia standard. In definitiva, i pazienti con metastasi cerebrali stabili trattati con l’ADC hanno ottenuto una riduzione del rischio di progressione della malattia o decesso. Nel caso in esame, che rispecchia almeno in parte le caratteristiche demografiche della popolazione compresa nelle analisi di sottogruppo dell’ASCENT, il trattamento proposto alla recidiva precoce ha incrementato la sopravvivenza e ritardato la progressione, grazie anche all’impiego di trattamenti loco-regionali che hanno consolidato la stabilità di malattia encefalica.

Conclusioni

Con una PFS di 10 mesi, in linea con i risultati dello studio registrativo, SG è stato l’unico trattamento tra quelli offerti alla paziente ad aver ottenuto il migliore risultato in termini di prosecuzione della cura e maneggevolezza del trattamento. L’impossibilità di proporre altri trattamenti target, come inibitori di PARP e immunoterapici, ha rivestito il SG del ruolo di farmaco cardine del piano di trattamento, soprattutto in seconda linea, e i risultati nella pratica clinica ne hanno confermato l’utilità anche nel controllo della malattia encefalica. L’impiego del farmaco in una linea precoce10 testimonia la migliore tollerabilità ed efficacia, a fronte di un discreto profilo di tossicità, in pazienti non pesantemente pretrattati e in condizioni cliniche non precarie. Sono necessari tuttavia ulteriori studi focalizzati sul trattamento di seconda linea in pazienti con lesioni cerebrali pretrattate o stabili per confermarne definitivamente la validità anche in questo sottogruppo di pazienti a cattiva prognosi.

Conflitto di interessi: l’autore ha percepito speaker’s honoraria per Amgen, Seagen, Accord, Wavepharma, Genetic, Veracyte, Novartis; diritti d’autore da Il Pensiero Scientifico Editore – soggetto portatore di interessi commerciali in ambito medico scientifico.

Dichiarazioni: l’open access del documento è stato reso possibile grazie al contributo non condizionante di Gilead.

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