In questo numero

«Sebbene la motivazione ufficiale di ogni guerra sia quella di ristabilire confini o sicurezza, una volta dichiarata, nessuna guerra rispetta più alcun confine. Tutto diventa bersaglio: militari, civili, infrastrutture, strutture sanitarie, scuole, industrie e campi agricoli. Perché l’obiettivo finale di ogni conflitto è quello di distruggere l’ambiente fisico e la fibra sociale di un territorio, con effetti che perdurano nel tempo, anche molto dopo la cessazione delle ostilità». L’intervento alla giornata di Forward di Pirous Fateh-Moghadam (pag. 308) rimanda alla drammatica evidenza dei numeri riportati alla pagina seguente: oltre 35 mila persone uccise e più di 10 mila disperse dall’inizio dell’aggressione israeliana a Gaza. Oltre a 85 mila persone ferite, molte delle quali rese disabili in modo permanente. Non basteranno dieci anni per ricostruire Gaza restituendola a una vita quasi normale, anche se non sembra possibile associare questo aggettivo alla realtà di una città assediata da decenni.

In una delle più recenti offline del Lancet, il direttore Richard Horton racconta che insieme all’Organizzazione mondiale della sanità, alla United Nations Relief and Works Agency e alla International Federation of Medical Students’ Associations, The Lancet ha ospitato un evento sulla situazione sanitaria a Gaza1. «È una crisi umanitaria, ma anche una crisi per la stessa umanità. Perché la comunità internazionale permette questo massacro di massa?».

Oltre 700 operatori sanitari sono stati uccisi. La storia di Fadi Al-Wadiya la troviamo a pagina 366. Oltre 900 professionisti sanitari sono stati feriti e più di 120 detenuti o arrestati. «Il personale sanitario rimanente è esausto», scrive Horton. «I farmaci essenziali scarseggiano. La malnutrizione è in aumento. I pazienti sono sotto assedio». E conclude: «Il sistema sta fallendo perché la nostra umanità – la nostra compassione verso l’altro – è stata erosa e, in alcuni casi, cancellata. Siamo insensibili al dolore degli altri. Ci rifiutiamo di riconoscere l’angoscia del nostro prossimo. Ci allontaniamo dalle condizioni di miseria in cui vivono altre persone. Non sembriamo quasi più esseri umani».

La stessa disumanità che ha informato le politiche di revisione della spesa in molti paesi del “primo mondo”. Ugualmente, nella sua relazione al congresso di Forward (pag. 309), Sir Michael Marmot ha sottolineato che tra il 2010 e il 2020 nel Regno Unito ci sono stati tagli alla spesa pubblica di circa 200 miliardi di euro all’anno: hanno peggiorato la salute dei cittadini, hanno ridotto il numero di infermieri, ridimensionato l’attività delle istituzioni scolastiche e dei servizi sociali. Come l’aggressione israeliana è stata annunciata e descritta come una risposta a un atto di terrorismo, anche l’austerità britannica è stata presentata come una necessità economica e morale. Al contrario si tratta di scelte politiche con drammatiche ripercussioni sulla vita delle persone. Ne fanno le spese sempre le popolazioni più fragili e sofferenti. Nel Regno Unito, anche nelle aree con minore aspettativa di vita la spesa pubblica è stata tagliata del 50%. La domanda di Marmot ancora ci sembra di sentirla: in quale universo morale è giusto fare una cosa simile?




Bibliografia

1. Horton R. Offline: il sistema non funziona. Lancet 2024; 8 giugno.