Il paradosso dell’attività fisica

Matteo Franco1, Fulvio Ricceri1

1Centro di Biostatistica, epidemiologia e sanità pubblica (C-Beph), Dipartimento di Scienze cliniche e biologiche, Università di Torino.

Pervenuto su invito il 27 maggio. Non sottoposto a revisione critica esterna alla redazione della rivista.

Riassunto. Recenti scoperte hanno mostrato che gli effetti dell’attività fisica sulla salute non sono uguali in tutti i suoi domini. In particolare, essi differiscono, oltre che per modalità e intensità, anche in base al contesto in cui l’attività viene svolta. Diversi studi hanno osservato che coloro che svolgono un’intensa attività fisica al lavoro tendono ad avere esiti di salute peggiori rispetto a coloro che fanno meno attività fisica al lavoro ma più esercizio nel tempo libero. Questo fenomeno è stato definito come “paradosso dell’attività fisica”. Tuttavia, è bene riportare che differenze in esiti di salute sono state osservate per differenti posizioni socioeconomiche e che posizioni socioeconomiche più favorevoli tendono ad avere stili di vita di più sani.

The physical activity paradox.

Summary. Recent discoveries have shown that the effects of physical activity on health are not the same in all its domains. In particular, the health effects of physical activity differ not only in terms of modality and intensity, but also based on the context in which it is carried out. Several studies have observed that those who do a lot of physical activity at work tend to have worse health outcomes than those who do less physical activity at work but more exercise in their free time. This phenomenon has been defined as the “physical activity paradox”. However, it is worth reporting that differences in health outcomes have been observed for different socioeconomic positions and that more favorable socioeconomic positions tend to have healthier lifestyles.

Introduzione

Le malattie non trasmissibili costituiscono il più grande problema di salute per le persone anziane nei Paesi ad alto reddito in quanto costituiscono la principale causa di morte in questa fascia di popolazione. Ogni anno, il 74% dei decessi nel mondo è attribuibile alle malattie non trasmissibili (dette anche croniche), colpendo circa 41 milioni di persone1. Le malattie cardiovascolari rappresentano la causa principale di decessi per malattie non trasmissibili, alle quali seguono le malattie oncologiche. L’eziologia delle malattie cardiovascolari include l’interazione tra diversi fattori ambientali, metabolici e relativi agli stili di vita1. Nei topic sulla salute proposti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’inattività fisica viene riportata come uno dei principali fattori di rischio di alcune malattie non trasmissibili, tra cui quelle cardiovascolari1.

L’attività fisica regolare, infatti, viene raccomandata come intervento di prevenzione delle malattie cardiovascolari, ma anche di alcuni tipi di cancro (prostata, mammella, vescica), del diabete e dei disturbi cognitivi e dell’umore (ansia e depressione). Inoltre, fare attività fisica regolare riduce il rischio di mortalità per tutte le cause2. Viceversa, è stato osservato che uno stile di vita sedentario e/o l’inattività fisica possono determinare un aumento del rischio di incidenza delle malattie cardiovascolari3.

L’Oms definisce l’attività fisica come il «movimento corporeo prodotto dai muscoli scheletrici che richiede un dispendio energetico, […] si riferisce a tutti i movimenti, anche durante il tempo libero, per spostarsi da un luogo all’altro o come parte del lavoro di una persona»3, e raccomanda almeno «dai 150-300 minuti di attività fisica aerobica di intensità moderata; o almeno 75-150 minuti di attività fisica aerobica di intensità vigorosa; o una combinazione equivalente di attività di intensità moderata e vigorosa nell’arco della settimana» per gli adulti di età compresa tra i 18 e i 64 anni4. Per gli individui di età uguale o superiore a 65 anni, l’Oms raccomanda la stessa quantità di attività fisica consigliata ai giovani adulti, suggerendo però di diversificare la tipologia di attività, dando maggiore enfasi agli esercizi che aiutano a migliorare l’equilibrio4 per prevenire il rischio di caduta.

L’attività fisica viene solitamente misurata con i metabolic equivalent of task (Met), cioè assegnando un valore di dispendio metabolico per minuto a ogni tipologia di attività. A questo riguardo, Ainsworth et al. hanno redatto il “Compendio delle attività fisiche” con il quale è possibile convertire in Met ogni tipo di attività fisica5. Il range di Met raccomandato dalle linee guida va da 450 a 750 Met per minuto a settimana6.

All’interno della definizione di attività fisica suggerita dall’Oms possiamo individuare almeno tre diversi setting di attività fisica: nel tempo libero (attività fisica ricreativa), negli spostamenti da un luogo all’altro e al lavoro (attività fisica occupazionale). Nell’ambito dell’attività fisica ricreativa rientrano tutte quelle attività ludiche che richiedono uno sforzo fisico d’intensità media o elevata, sostenuto per un certo intervallo di tempo o ripetuto a intervalli regolari, svolte in determinati contesti o che richiedono l’utilizzo di particolari strumenti. Nello specifico, rientrano in questo tipo di attività la corsa, il nuoto, l’andare in bicicletta, le attività di fitness, il calcio, il tennis, il padel e tutte le attività sportive in generale.

Gli spostamenti da un luogo all’altro, invece, comprendono i trasferimenti che si fanno durante l’arco della giornata eseguiti a piedi o con veicoli privi di motore (per es., biciclette, skateboard), come quelli che solitamente si fanno per andare e tornare dal lavoro, oppure per andare a fare delle commissioni.

Infine, per attività fisica svolta al lavoro ci si riferisce a quella tipologia di lavori che richiedono movimenti corporei e sforzi fisici d’intensità lieve o moderata. Rientrano in questa categoria quei lavori definiti lavori manuali, come per esempio le professioni nell’ambito della ristorazione, della logistica, dell’agricoltura, dell’artigianato, della meccanica e dell’edilizia.

Il paradosso dell’attività fisica

Studi condotti su individui che svolgono lavori manuali pesanti mostrano risultati sugli esiti cardiovascolari che vanno in direzione opposta rispetto ai risultati ottenuti sull’attività fisica ricreativa7: infatti, al contrario dell’attività fisica svolta nel tempo libero, che, come detto, ha un ruolo protettivo sul rischio cardiovascolare e sulla mortalità per tutte le cause, l’attività fisica svolta al lavoro sembra determinare un aumento del rischio di malattia cardiovascolare e di mortalità per tutte le cause8. Questa differenza di effetto tra i due setting di attività fisica sugli eventi cardiovascolari è stata descritta in letteratura come “paradosso dell’attività fisica”9.

Quale può essere una possibile spiegazione di questo fenomeno? Secondo Holtermann10, a cui viene attribuita la paternità della tesi, una possibile causa della discordanza dell’effetto che i due setting di attività fisica hanno sul rischio cardiovascolare risiede nella differenza che c’è tra i due tipi di attività: l’attività fisica occupazionale è caratterizzata solitamente da una intensità bassa sostenuta per un lungo periodo di tempo con pause e tempi di recupero inadeguati, mentre l’attività fisica ricreativa viene solitamente svolta in un arco di tempo più breve ma con maggiore intensità, seguita da tempi di recupero adeguati. Probabilmente, le attività occupazionali a bassa intensità associate a pause inadeguate determinano una infiammazione prolungata che influenza il rischio di malattie cardiovascolari11,12. Un’altra possibile spiegazione della natura del paradosso risiede nei gesti fisici e nelle posture che si adottano negli ambienti di lavoro: sollevare carichi pesanti, mantenere la posizione eretta per un lungo periodo di tempo, avere postazioni di lavoro scomode e fare movimenti ripetuti può portare a stress cardiovascolare e muscoloscheletrico13.

In aggiunta, è stata osservata una correlazione inversa nell’abitudine all’attività fisica tra quella occupazionale e quella ricreativa all’interno dei diversi strati socioeconomici: le persone che mostrano alti livelli di attività fisica nel tempo libero svolgono più frequentemente lavori sedentari (tipico di posizioni socioeconomiche più elevate), mentre le persone che svolgono lavori che richiedono un’attività fisica intensa (tipico di posizioni socioeconomiche più sfavorevoli) mostrano bassi livelli di attività fisica nel tempo libero14,15. Negli studi a cui si fa riferimento è stato osservato che i colletti bianchi sono soliti fare più attività fisica ricreativa, mentre i colletti blu, che svolgono solitamente attività occupazioni più intense rispetto ai primi, tendono a fare meno attività fisica nel tempo libero16.

Sembra inoltre che il paradosso dell’attività fisica sia associato all’assenza prolungata per malattia dal lavoro e all’uscita anticipata dal mondo del lavoro. Infatti, gli individui che dedicano più tempo all’attività fisica ricreativa con un grado d’intensità elevato mostrano un rischio più basso di assenza prolungata per malattia al lavoro. Al contrario, coloro che svolgono lavori manuali pesanti mostrano un rischio più alto di assenza prolungata per malattia da lavoro14. I risultati ottenuti nello studio di Gupta et al.14 mostrano che è possibile ridurre il rischio di assenza prolungata per malattia dal lavoro del 20% sostituendo 20 minuti del proprio tempo libero con un’attività fisica moderatamente intensa.

In aggiunta, le persone che svolgono lavori manuali pesanti e, in generale, coloro che hanno posizioni socioeconomiche più sfavorevoli sembrano peggiorare il loro livello di attività fisica ricreativa nel tempo. In uno studio condotto dal nostro gruppo di lavoro, e proposto per la pubblicazione alla rivista BMJ - Open Sport & Exercise Medicine17, sono stati studiati i livelli di attività fisica ricreativa tra i lavoratori della coorte EPIC-Italia confrontando le rilevazioni ottenute al momento dell’inizio dello studio con quelle ottenute al primo richiamo, circa 11 anni dopo. I risultati hanno mostrato che le persone che eseguono lavori manuali hanno un rischio di peggiorare i loro livelli di attività fisica ricreativa al follow-up del 29% in più rispetto a coloro che svolgono professioni manageriali. Per quanto riguarda la posizione socioeconomica, misurata con il livello d’istruzione standardizzato per coorte di nascita, residenza e sesso, è stato osservato che le persone meno istruite avevano un rischio di peggiorare i loro livelli di attività fisica ricreativa nel tempo del 9% rispetto alle persone più istruite, aumento di rischio che raggiunge il 15% nel sesso maschile17.

Le differenze nell’abitudine all’attività fisica ricreativa tra gli individui in attività lavorativa contribuiscono a rafforzare l’entità del fenomeno.

È opportuno sottolineare che buona parte degli studi che hanno analizzato l’attività fisica nei suoi diversi setting è stata condotta su gruppi di lavoratori di tipo colletti blu prevalentemente di sesso maschile. Gli studi con un numero di partecipanti adeguatamente rappresentativo del sesso femminile sono ancora pochi e, per questo, i risultati sulla relazione tra diversi tipi di attività fisica e il rischio cardiovascolare riguardanti il sesso femminile sono ancora incerti15.

Conclusioni

Recenti scoperte hanno mostrato che gli effetti dell’attività fisica sulla salute non sono uguali in tutti i suoi domini. In particolare, gli effetti sulla salute dell’attività fisica non differiscono solo in base alla modalità e all’intensità ma anche in base al contesto in cui viene svolta. Diversi studi hanno osservato che coloro che svolgono tanta attività fisica al lavoro tendono ad avere esiti di salute peggiori rispetto a coloro che fanno meno attività fisica al lavoro ma più esercizio nel tempo libero. Questo fenomeno è stato definito come “paradosso dell’attività fisica”. Tuttavia, è bene riportare che differenze in esiti di salute sono state osservate per differenti posizioni socioeconomiche18 e che posizioni socioeconomiche più favorevoli tendono ad avere stili di vita di più sani16.

Promuovere la salute delle persone lavorativamente occupate può fruttare un duplice beneficio: da una parte migliorare la salute dell’individuo, dall’altra aumentare la forza lavoro e la produttività19.

Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

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